Il finale di Io e Annie – A proposito di Woody Allen
Alvy Singer: «E c’è un’altra battuta che è importante per me; è quella che di solito viene attribuita a Groucho Marx, ma credo dovuta in origine al genio di Freud, e che è in relazione con l’inconscio; ecco, dice così – parafrasandola – ehm…: “Io non vorrei mai appartenere a nessun club che contasse tra i suoi membri uno come me”. È la battuta chiave della mia vita di adulto in relazione alle mie relazioni con le donne».
Così parlò Alvy Singer. O meglio, così parlò Woody Allen, colui che non vorrebbe appartenere a nessun film che contenesse tra i suoi personaggi uno come lui. Perché, alla fine, se ci pensate, non sembra sussistere alcuna reale differenza tra il comico-commediografo newyorkese e il, beh, l’altro comico-commediografo newyorkese.
Ah, e se ve lo steste chiedendo, sì, è un discorso che va oltre la mera uguaglianza fisica, visto che è sempre la persona Woody Allen a interpretare il personaggio Alvy Singer in Io e Annie e sé stesso nella vita. Sì, certo, direte voi, alla fine c’è sempre Woody Allen nei film di Woody Allen, fisicamente e biograficamente. E io non potrei trovarmi più che d’accordo. Ma secondo l’umile parere di questo narratore, non c’è film quale Io e Annie per rivelare l’essenza più intima del regista americano.
Alvy Singer: «Io sono stato un bimbo ragionevolmente felice, credo. Sono cresciuto a Brooklyn durante la seconda guerra mondiale».
E infatti, Woody Allen, o meglio colui che allora si faceva ancora chiamare Allan Stewart Königsberg, nasce e cresce in un quartiere di Brooklyn nel 1935, presumibilmente sotto le montagne russe del distretto di Coney Island; anche se, psicoanaliticamente parlando, diciamo che potrebbe aver leggermente travisato i suoi ricordi d’infanzia.
Siamo sicuri, tuttavia, che all’età di tre anni la madre lo portò per la prima volta al cinema a vedere Biancaneve, permettendogli di compiere il primo passo verso quel sentiero ininterrotto che lo ha portato a divenire ciò che è.
Alvy Singer: «Senti, anche da piccolo mi piacevano sempre le donne sbagliate. Forse è questo il mio problema. Quando la mia mamma mi portò a vedere Biancaneve, tutti si innamorarono di Biancaneve. Io no. Io immediatamente mi innamorai della Regina Cattiva».
Non siete ancora convinti? E se vi dicessi che, proprio come Alvy Singer, anche Woody Allen si è sposato due volte prima di incontrare Diane Keaton… ehm… volevo dire Annie Hall…forse.
Già, perché come Alvy Singer si innamorò di Annie Hall, così Woody Allen si innamorò di Diane Keaton. Potreste non credere a ciò che sto per dirvi, visto che porta fin troppa acqua al mio mulino, ma credeteci perché è tutto vero, oppure no, fate come vi pare; ma il vero nome dell’attrice americana è in realtà Diane Hall, e Annie è il soprannome con il quale Woody chiamava la sua compagna.
Il regista newyorkese, dunque, con Io e Annie si mette a nudo, rivelando sé stesso senza filtri, mostrando al mondo le proprie convinzioni, dubbi e incertezze. Per certi versi questo film assume i connotati di una seduta psicoanalitica, nella quale il paziente di turno, un certo Alvy Singer-Woody Allen, racconta la propria storia con un’indecente sincerità.
Già, la psicoanalisi, quella pratica che Woody Allen iniziò nel 1959 perché si sentiva malinconico senza alcun apparente valido motivo, e che da allora non abbandonò mai, divenendo una tematica centrale nella sua vita come nel suo cinema.
Annie: «Oh, vai dallo psichiatra?».
Alvy: «S-sì. Da quindici anni soli…».
Annie: «Quindici anni?».
Alvy: «Sì… gli concedo un altro anno… poi vado a Lourdes».
Beh, non penso sia necessario che vi dica che, proprio come Alvy, a inizio carriera Woody Allen si esprimeva come stand-up comedian in numerosi night club newyorkesi. Nemmeno quello che sto per dirvi penso sia necessario, ma già che siamo in ballo, balliamo. I temi e gli interessi toccati da Alvy durante la pellicola, quali la psicoanalisi appunto, il cinema svedese, la morte, l’ebraismo, l’esistenzialismo e il jazz, sono tutte tematiche che hanno accompagnato, e tutt’ora accompagnano, il cammino dell’odierno 84enne Woody Allen verso quello che, ormai, si avvicina sempre di più a essere un sentiero interrotto.
Alvy Singer: «Io, sai, sono ossessionato dalla morte, credo. Sì, è il tema di fondo per me. Io sono molto pessimista nella vita. Devi saperlo, se noi staremo insieme. Sai io… io sento che la vita è divisa in orribile e in miserrimo. Sono come due categorie, sai. L’orribile sarebbe… per esempio un caso limite sarebbe quando uno è cieco, storpio… Io non so come si faccia a vivere così. È un mistero per me, sai? E il miserrimo sono tutti gli altri. Ecco allora, allora devi ringraziare Iddio se sei miserrimo perché sei fortunato… a essere nato miserrimo».
Siate contenti di essere dei miserrimi dunque. Questo narratore è un miserrimo, la maggior parte di voi è miserrima, e va bene così.
Come dite? In Stardust Memories c’è Woody Allen che dichiaratamente interpreta Woody Allen? Beh, sì, è vero, ma è troppo semplice così. Sempre secondo l’umile opinione di questo narratore, è più interessante perdersi, magari per ritrovarsi, nel sottile confine tra il reale e l’immaginario, tra il mondo vero e la favola.
Alvy Singer: «Sapete, soffro di iperattività immaginativa. La mia mente tende a saltare un po’ qua e là e… e io ho qualche guaio tra fantasia e realtà».
E infatti il finale di Io e Annie è emblematico, poiché quel libero gioco tra immaginazione e realtà trova la sua più grande manifestazione meta-cinematografica.
Alvy e Annie hanno rotto. Lui è volato a Los Angeles per riconquistarla e farla tornare a New York, con lui. E questo lo sappiamo tutti. Sappiamo anche che, purtroppo o per fortuna, Annie decise di rimanere, abbandonando quello che è stato un amore della sua vita. Alvy è costretto a tornare alla sua esistenza, solo, ma con un futuro in divenire. La sua carriera da comico, infatti, è dirottata verso il teatro e il cinema, tanto che realizza la sua prima commedia.
E come Woody Allen decide di raccontare la sua vita personale nei suoi film, così Alvy Singer decide di narrare la sua storia con Annie Hall in una commedia, mostrando tutto: stesse parole, stesse emozioni, stesse sensazioni, dall’inizio alla fine. Ecco, la fine, la fine però prende un’altra strada, perché nella commedia, Annie, denominata Sunny in quel mondo, decide di tornare a New York, concludendo la commedia con un «ti amo» finale.
Alvy Singer: «Beh, che volete, era la prima commedia… Sapete come si cerchi di arrivare alla perfezione almeno nell’arte, perché, è talmente difficile nella vita».
Alvy Singer nella dimensione rappresentativa, della quale il cinema si erge a massima espressione, necessita di trasformare la realtà. La commedia, all’interno di un film, all’interno della vita.
Ed ecco che si crea una copia della copia – della copia aggiungerebbe Platone -, e se ci pensate, per quanto possa sembrare nascosta nel profondo come all’interno di una matriosca, la verità non può che trovarsi in bella vista.
Alvy Singer: «Pensai a quella vecchia barzelletta, sapete, quella dove uno va da uno psichiatra e gli dice: “Dottore, mio fratello è pazzo. Crede di essere una gallina.”
E il dottore gli dice: “Perché non lo interna?” E quello risponde: “E a me poi le uova chi me le fa?”
Beh, credo che corrisponda molto a quello che penso io delle relazioni tra uomo e donna, e cioé che sono assolutamente irrazionali e pazze e assurde, ma credo che continuino perché la maggior parte di noi ha bisogno di uova».
Sì, certo, ora potreste chiedermi il reale motivo sotteso, il perché abbiamo bisogno di queste fantomatiche uova.
Beh, a questo punto non saprei più davvero rispondervi, penso anche di aver narrato abbastanza, tanto che mi addentrerei verso l’uscita, salutandovi con un sonoro e canzonato «La-de-da La-de-da».