La rosa purpurea di Sherlock Jr. – Ombre parlanti e mute realtà

Andrea Tiradritti

Giugno 8, 2021

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C’è un momento ne La rosa purpurea del Cairo (1985) di Woody Allen nel quale illusione e realtà sono una di fronte all’altra, ormai indistinguibili e in lotta per accaparrarsi il cuore di Cecilia. È il climax finale del film, l’attimo in cui il personaggio interpretato da Mia Farrow è davanti a quel bivio che ha rincorso per anni e che finalmente sembra possedere il magico potere di cambiare per sempre la sua esistenza. La scena si svolge nel cinema di cui Cecilia è cliente abituale e all’interno del quale ha imparato a sognare.

Una proiezione dopo l’altra e senza mai perdersi un film, lei ha infatti trovato in quelle poltrone inghiottite dall’oscurità, in quell’enorme schermo e in quelle storie così romantiche ed emozionanti, che attraverso esso trovano luce, l’unico antidoto a una vita misera e colma di dispiaceri. Ovunque, una volta calato il sipario, il suo spirito è oppresso e vilipeso.

La rosa purpurea

Mia Farrow in una scena de “La rosa purpurea del Cairo”

La rosa purpurea del Cairo: il cinema è ombra

Per mantenere un marito violento è costretta a lavorare insieme alla sorella in una tavola calda dove viene ripetutamente insultata da clienti e superiori. Conosce l’affetto e la cura solo tramite le storie che ogni sera paga per vedere. Il cinema è la sua educazione sentimentale e la sala il suo rifugio, l’unico luogo in cui può immaginare di evadere, saziare il desiderio e innescare a piacere il gioco che la rende libera. Per Cecilia la finzione cinematografica non è soltanto migliore della vita, ma la sola realtà che valga la pena di essere vissuta. In questo senso reale per lei è tutto ciò che è sogno, proprio perché un incubo è la sua realtà e una prigionia la sua quotidiana umiliazione.

Allen descrive in modo così umano e appassionante il mondo di questa donna che non si può non sussultare insieme a lei quando, nel bel mezzo dell’ennesima replica a cui assiste, l’avventuriero Tom Baxter decide di lasciare il suo posto nell’opera per raggiungerla in platea e dichiararle il suo amore. Chi dorme e chi è sveglio ora? Il personaggio del film in fuga dal copione che lo imbriglia, rendendo monotona e ripetitiva la sua esistenza, o la svampita spettatrice che all’improvviso vede avverarsi l’impossibile?

La rosa purpurea

Mia Farrow e Jeff Daniels in “La rosa purpurea del Cairo”

Reale natura o immaginaria esistenza?

Entrambi si avvertono manchevoli e credono di poter trovare nella dimensione dell’altro la felicità che da sempre gli è stata negata nella loro. In compagnia di Cecilia, l’esploratore Baxter inizia quindi a conoscere la realtà che si estende oltre le linee eternamente uguali dei suoi dialoghi: scopre che sapore hanno i popcorn, che Dio non è lo scrittore che l’ha creato, ma il fine di tutte le cose, e che nessuna dissolvenza arriverà più a sfumare un bacio dato alla sua amata. Il cinema si è fatto corpo e la meraviglia di Cecilia si specchia nella nostra, ma l’inaudito comporta un prezzo e l’illusione a ogni passo è assediata da quella realtà che crudele esige il suo primato.

Come la vita, d’altronde, anche la finzione ha le sue regole e un film orfano di un suo personaggio non può proseguire. Mentre Gil Shepard, l’attore in rampa di lancio che interpreta Baxter nella pellicola, vola in città alla ricerca del suo alter ego, la sala del cinema in cui è avvenuta la diserzione diventa teatro di un’improbabile e collettiva seduta psicoanalitica. Gli spettatori inveiscono contro gli attori e chiedono il rimborso del biglietto, i produttori e gli esercenti sono sommersi da un mare di guai e i personaggi rimasti nello schermo riflettono pirandellianamente sulla reale natura della loro immaginaria esistenza.

Woody Allen e Mia Farrow sul set de “La rosa purpurea del Cairo”

Buster Keaton, Woody Allen e il senso del cinema

«Voglio che nel film succeda quello che succedeva ieri, altrimenti che senso ha più la vita?» dice una signora all’uscita del cinema, dando voce all’impellente bisogno, comune all’intera umanità, di credere alle proprie fantasie assicurandone il valore. Ancora una volta realtà e illusione che si mescolano, ancora una volta la prima che ha l’obbligo, per dirsi concreta, di farsi guidare dalla seconda affinché non venga smarrita la sua più profonda e radicale ragion d’essere. E se la vita non fosse un sogno, ma noi vivessimo per sognare? Dovremmo allora capovolgerci, e una volta all’ingiù chiederci se le ombre parlanti che ci abitano e riteniamo ingannevoli non siano in fondo molto più essenziali al nostro vivere delle mute realtà con le quali invece da secoli siamo costretti a identificarci.

Questo del resto si chiese, sessant’anni prima di Allen e rispondendosi con folgorante incanto, anche il genio di Buster Keaton. Il suo Sherlock Jr. del 1924 racconta infatti di un impacciato proiezionista che studia per diventare detective e di un sogno che congiunge realtà e finzione, sovrapponendo letteralmente il cinema alla vita. Se nella commedia alleniana è l’illusione a sfondare la parete che la separa dalla realtà, in quella di Keaton è quest’ultima a trovare nell’affascinante menzogna del cinema una possibilità di riscatto e un prezioso trucco per trovare il coraggio di imparare a vivere.

Sherlock Jr.

La rosa purpurea del Cairo: il cinema è realtà

Ma abbiamo colpevolmente abbandonato Cecilia al suo dilemma. Chi scegliere fra Baxter e Shepard, il quale anch’esso nel frattempo ha trovato il modo di farle una corte spietata per conquistarla? Chi amare fra il personaggio e l’uomo che dietro di lui si nasconde? Entrambi si sono incredibilmente innamorati di lei, l’uno è perfetto, ma l’altro è vero.

Simultaneamente alla sua decostruzione Allen rimette quindi in scena il dispositivo cardine del cinema, ovvero la fascinazione nei confronti di un’immagine spettrale e l’erotica seduzione che questa è in grado di esercitare nell’universo sensoriale di chi guarda.

Cecilia ai nostri occhi è divenuta un’illusione, proprio come i personaggi, che prima esistevano solo nella sua mente, si sono adesso tramutati in carne e ossa. La donna infine sceglierà ciò che pensa essere “reale”, scoprendo nell’amaro epilogo, una volta abbandonata, quanto la più vera delle illusioni possa deludere e quanto di contro ogni realtà, per esistere, debba prima essere immaginata.

È proprio al centro di questo discorso che deflagra l’incolmabile scarto, l’abisso e il mistero che lega il sorriso della Farrow e la stralunata espressione di Keaton alle nostre ombre sempre più rumorose.

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