“Volevo solo essere uno di loro”
Vincent Van Gogh voleva solo essere uno di loro, un comune cittadino della piccola località francese di Arles. Van Gogh voleva solo essere uno di noi, una persona ordinaria che non fosse condannata a dover sorreggere l’enorme potenziale conferitogli dal destino.
“Dentro di me c’è qualcosa, non so cosa sia…vedo ciò che gli altri non vedono!” Vincent Van Gogh
Amava le notti stellate, il fratello Theo, le radici degli alberi e i girasoli. Van Gogh lo conosciamo, lo conosciamo tutti. Le sue opere occupano le migliori gallerie d’arte del pianeta, sono state intitolate canzoni a suo nome e moltissime pellicole ne hanno tratto ispirazione. Questo film, però, è diverso dagli altri. At Eternity’s Gate, più che la storia di un pittore, narra principalmente dell’atto del dipingere, di arte, di pura creazione. L’opera racconta l’ultimo periodo della vita di Van Gogh, l’incontro con Gauguin (interpretato da un sempre ottimo Oscar Isaac), il rapporto con il fratello Theo e le sventure con gli abitanti del posto. È un film molto intimo e profondo che rende omaggio alla visione del mondo di uno dei più grandi artisti della storia.
Il sessantenne Willem Dafoe interpreta magistralmente un Van Gogh di 37 anni, capelli rossi, occhi lucenti e dal corpo malato, che oscilla tra sconfitte e un’angosciante solitudine. L’attore, incarnandone lo spirito, manifesta il folgorante dono del pittore, tradito da un tempo incapace di comprenderlo fino a fondo.
Così come Van Gogh non imitava perfettamente la natura, allo stesso modo il regista decide di affidare il ruolo ad un attore dall’avanzata età. Così, insieme ad immagini che prendono spunto dai luoghi dei suoi più grandi quadri, lo spettatore viene immerso in tutt’altro mondo, nell’universo della pura opera d’arte.
Noi, de La Settima Arte, abbiamo avuto l’onore di presiedere all’anteprima nei cinema italiani di Van Gogh – At Eternity’sGate, il 17 dicembre, all’Anteo Palazzo del Cinema di Milano. Il film verrà distribuito in sala dal 3 gennaio da Lucky Red.
«Non è una biografia, ma un film sul significato dell’essere artista».
Così sostiene Julian Schnabel, così sostiene il regista, nato pittore, che decise di esprimere se stesso non più su una tela, ma su una macchina da presa. In questo film l’artista incontra l’artista, la creatività si mescola al genio, e l’Arte racconta l’Arte. Tutto ciò viene dichiarato ed esplicitato da Schnabel, che ha sostenuto come il suo intento fosse quello di mostrare al mondo ciò che ha sentito, percepito e provato nell’esperienza visiva dell’opera di Van Gogh. Il regista, essendo anche pittore, non copre con la propria pennellata il dipinto di Van Gogh, ma mostra le emozioni nate nell’animo dell’artista al contatto con la natura.
Il protagonista, paradossalmente, non è il pittore olandese, o meglio non l’uomo Van Gogh, ma sono le sfumature, i paesaggi e le sensazioni che acquisiscono il ruolo di autentico portavoce del racconto.
Il regista percorre la tormentosa decisione di analizzare lo stato d’animo dell’artista, nell’attimo della pura creazione dell’opera d’arte, dell’autentica manifestazione di sé. Così facendo si allontana dallo sterile genere biografico, per addentrarsi nei meandri di ciò che significa essere artista.
Durante il film, Gauguin suggerisce a Van Gogh di dipingere ciò che percepisce il suo animo; il regista così tenta di sprofondare nell’interiorità del pittore, oscillando nel labile confine tra pazzia e genio artistico.
Schnabel entra così nella mente di Van Gogh, e non ne esce, il mondo che viene mostrato allo spettatore, infatti, è quello che l’artista percepisce nel suo incontro con il reale. Tutto ciò è caratterizzato da un incessante movimento di macchina, come fosse una camera a mano, come fossimo fisicamente nella testa del pittore quando si reca con passo svelto e nervoso verso il campo di girasoli.
L’immagine del prossimo quadro è già scolpita nel profondo della sua anima, e necessita solo di esplodere in modo magico e talvolta violento. Un’esplosione capace di fondersi con la fugace luce del tramonto, che si abbatte su quel prato che urge di essere reso immortale tramite tempere, pennelli e l’amore per la vita di un’artista. In tale momento di pura creazione artistica, Vincent entrava in contatto con Dio attraverso la bellezza armoniosa della natura.
Questa estasi, caratterizzata da un perpetuo e nauseante movimento di macchina e da immagini talvolta sfuocate per entrare più in contatto con l’artista, conduce lo spettatore a perdersi nell’animo del pittore, fino allo spaesamento più totale.
Schnabel non va alla ricerca di una figura, di un profilo fisso, ma di un’essenza, di un’effabile entità che non lascia cogliersi pienamente, ma rilascia tracce per intraprendere la via. In questo modo il regista, perdendosi nel se stesso che contempla l’opera d’arte, diventa egli stesso Van Gogh. Così facendo, però, abbandona per un attimo lo spettatore che si trova destabilizzato da una tecnica registica interessante, perché coerente con l’animo del pittore, ma forse esasperata in alcuni momenti.
Il viaggio all’interno di Van Gogh è animato da immagini e musiche che danzano e si fondono come fossero un autentico quadro, nel quale lo spettatore contempla se stesso e la totalità dell’esistere.
“L’essenza della natura è la bellezza” dirà il pittore mentre compone un quadro all’aperto, inevitabilmente all’aperto, perché è lì che si nasconde il sublime, l’autentico sublime che lui, e soltanto lui, può liberare. Van Gogh dipinge nella natura e per la natura in modo frenetico, generando e generandosi nella bellezza.
La sua non è una rappresentazione naturalistica della natura, ma non per questo è meno reale. Anzi, era forse in grado di vedere il tutto più vivo di come fosse “realmente”, cogliendo il movimento intrinseco e vibrante del giallo, delle radici, dei girasoli. Quando si stendeva nei campi, Vincent, diveniva terra, diveniva cielo, e perciò era in grado di afferrarne l’autentica essenza.
La sua visione del mondo, seppur eccentrica, ha avuto la forza di imporsi nella Storia, nell’Arte, nella mente e nel cuore di quasi tutte le persone sulla terra. E non potrebbe esserci nulla di più reale.
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