Green Book – Occhi Sulla Strada

Matteo Melis

Febbraio 5, 2019

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Il Green Book era un librettino che veniva distribuito negli anni ’60 ad autisti e girovaghi statunitensi nel quale venivano indicati i locali e gli alberghi dove i neri erano ben accetti. Il razzismo e la segregazione ancora imperavano negli States e in alcuni stati del profondo Sud gli afroamericani non erano di certo i benvenuti. Per il buttafuori italo-americano Tony Vallelonga, detto Tony Lip, quel libricino diventò fondamentale; assunto nel 1962 dal raffinato e talentuoso pianista Dr. Don Shirley come autista per il suo tour, Tony dovrà scegliere i luoghi indicati nel Green Book, scarrozzare il suo cliente ed essere sempre disponibile, puntuale e rispettabile, se vorrà essere pagato.

Quanti cliché tutti insieme, verrebbe da pensare, e non sarebbe un’affermazione avventata. Il film di Peter Farrelly, in effetti, ha tutte le basi per essere il classico ‘oscar bait’ americano. Un autista bianco che trasporta un afroamericano in giro per degli Stati Uniti dai panorami meravigliosi, ma corrotti dal diffuso razzismo. Uno rozzo e ignorante ma dal gran cuore, l’altro colto e posato ma estremamente fragile d’animo. Entrambi impareranno qualcosa l’uno dall’altro, in un road movie ben bilanciato tra dramma e commedia. Si potrebbe chiudere l’articolo qui, consigliare la visione del film e giustificare i premi vinti dall’opera.

Ma Green Book non è tutto qui, nella sua storia che ci ricorda quanto sia bella l’integrazione e, perché no, quanto siano affascinanti le buone maniere; la forza del film risiede nella costruzione minuziosa dei personaggi, due uomini talmente particolari da farci dimenticare, battuta dopo battuta, di stare assistendo a una sorta di riadattamento rovesciato di A Spasso con Daisy.
Tony è un uomo rozzo, rissoso e non esattamente pio. Amante del cibo e della sua famiglia, come ogni buon italiano, pronto al sacrificio se si tratta di guadagnare soldi onesti da portare a casa. Viggo Mortensen lo impersona con grande maestria, imparando perfettamente la cadenza italo-americana e mostrando sempre più le proprie emozioni.

Don è un eccellente pianista, un uomo elegante e raffinato, perso, però, nei dolori che la propria genialità comporta e nella sofferenza data dalla discriminazione e dalla solitudine. Mahershala Ali getta l’ombra della sua mano sull’Oscar con un’interpretazione da applausi, agendo, al contrario del collega, per sottrazione, reprimendo spesso la rabbia e la vergogna, e aprendosi solo sporadicamente con il compagno di viaggio, con il quale instaurerà un rapporto fraterno.

Questa vicenda non coinvolge un solo outsider, entrambi i protagonisti vengono dipinti come tali. Don viene discriminato per il suo colore di pelle, nei locali di lusso non c’è un bagno per lui o un posto a tavola, è un uomo nero che si è elevato di rango, ma è pur sempre un nero agli occhi dei suoi clienti. Tony è bianco, certo, ciò lo rende più socialmente inserito, ma è anche un uomo poco colto e poco misurato, nonché italiano, non proprio la punta di diamante degli Stati Uniti negli anni ’60. Due uomini diametralmente opposti, ma anche profondamente uguali.
E’ di questo che Green Book parla, di contrasti forti che diventano sfumature, di distanze che si accorciano, di emozioni solitarie che diventano condivise, di quanto la storia di due uomini possa essere così normalmente eccezionale.

La raffinatezza, che a tratti costituisce uno scudo per Don, sarà un valore che Tony apprenderà, soprattutto nelle splendide scene nelle quali gli insegnerà come esprimere i propri sentimenti scrivendo una lettera da inviare a casa. La spensieratezza e la noncuranza di Tony saranno un valore aggiunto per il pianista, spaccando l’armatura di Don e invitandolo ad aprirsi di più col mondo esterno. I protagonisti di Green Book ammirano uno i pregi dell’altro (la risolutezza di uno o il talento al piano dell’altro, ad esempio), ma riescono nella splendida impresa di imparare dai difetti del compagno di viaggio.

Un film strepitoso? Forse no, anzi. A momenti è imperfetto, qualche scena è eccessivamente melensa e il film non approfondisce la sofferenza  in modo viscerale.
Una trama scontata, quindi? Probabile. Ma se a viverla sono degli uomini così variopinti immersi in piccole ed eccezionali situazioni, allora forse il film vuole dirci qualcosa in più, e Green Book ci riesce. Perché a volte ci si può sentire isolati o presi a pugni dalla vita, ma l’ordine martellante che Don impartisce a Tony mentre guida, “Occhi sulla strada, grazie!”, vale ogni giorno. Imparare, crescere, mettersi in discussione, sempre con gli occhi sulla strada.

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