Dalla simbolica e visionaria penna magica di Akira Toryiama, Majin Bu appare sulla Terra di Goku e degli altri Saiyan, provocando il panico tra migliaia di innocenti e dando vita ad una delle saghe più avvincenti e memorabili di Dragon Ball.
La sua progettazione è il primo elemento che lo differenzia dagli altri due iconici villain di Goku, Freezer e Cell: Majin Bu, che nasce in principio come Fat Bu, è il frutto della magia di uno stregone, il quale lo controlla a suo piacimento. Nel tentativo di ottenere il dominio dell’universo, Babidy sprigiona il potere di Bu contro i Saiyan che proteggono la Terra, causando scontri quasi letali per questi ultimi.
Rievocare l’intera storia della saga di Majin Bu sarebbe scontato e superfluo, perché in misura maggiore o minore tutti conosciamo le epiche avventure di Goku, l’eroe col quale siamo cresciuti e al quale dobbiamo tanti pomeriggi trascorsi davanti alla tv dopo scuola. Un intento più profondo e introspettivo guida questo articolo: proporre un confronto tra questo personaggio (intrinsecamente doppio, il buon Fat Bu ed il malvagio Kid Bu) e Medardo, il celebre e sventurato Visconte Dimezzato del nostro immortale Italo Calvino, squarciato in due metà da una palla di cannone.
Fat Bu e Kid Bu: scissione volontaria di un Sé inaccettabile
Majin Bu è un demone inquietante, che prospera ingerendo l’energia ed il corpo dei suoi avversari, incrementando la sua forza. Questa è una caratteristica fondamentale da comprendere prima di indagare la personalità e l’evoluzione del personaggio perché rappresenta il fondamento dei suoi conflitti, delle sue contraddizioni e delle sue fortune nella cosmogonia di Toriyama.
Schierato inizialmente dalla parte di Babidy e dei suoi malvagi seguaci, Majin Bu si scaglia contro i terrestri come una calamità incontenibile e solo a stento le forze unite di Goku, Vegeta, Junior e gli altri riescono a contrastarlo; di combattimento in combattimento egli riesce a sopraffare i suoi avversari e a fagocitarli grazie ai suoi poteri, amplificando le sue capacità e la sua intelligenza. Proprio qui si nota il primo elemento significativo della sua personalità: da demone rumoroso, grasso e infantile diventa un essere di volta in volta più scaltro, sicuro di sè e malvagio, evoluzione testimoniata dalle sue trasformazioni fisiche.
Gohan, Gotenks, Junior: nessuno riesce a prevalere e tutti alla fine vengono risucchiati e integrati nel corpo del villain, che ne acquisisce le doti. Gli episodi in cui Majin Bu cambia aspetto sono intimamente inquietanti perché portano lo spettatore a contatto con una potenzialità che da virtuale diventa attuale: la sua forza maligna si concretizza quanto più egli cambia aspetto e si emancipa dallo stadio primordiale.
Come tutti gli anime e i film d’animazione, Dragon Ball si distingue per la grafica e simbolica esagerazione espressiva, emotiva e scenica presente nelle interazioni tra i personaggi; la storia di Majin Bu non è esente da questo principio, e proprio questa caratteristica è la porta attraverso la quale la nostra introspezione può approfondirsi.
La Terra viene distrutta, Goku e Vegeta si radunano sul pianeta di Kaioshin per la battaglia finale e lì Kid Bu li raggiunge, determinato ad annientare i Saiyan; il celebre combattimento è ancora una delle memorie di DB più esaltanti che portiamo con noi.
Proprio durante questo scontro, tuttavia, Majin Bu è costretto letteralmente a espellere, sputare, Fat Bu, la sua prima forma, perché questi lo stava in qualche modo ostacolando. Il gesto è tanto drastico quanto fantascientifico, perché solo nelle opere che strizzano l’occhio al sovrannaturale assistiamo a simili svolte.
Compiendo tale drastico e significativo atto quello che il cattivissimo Kid Bu attesta è la percezione di una discrepanza intima causata dalla parte buona della sua personalità, quel caotico ed eccentrico Fat Bu, che non avverte l’impellente necessità di annientare ogni forma di vita.
Il momento in questione riveste un’importanza metapsichica per Majin Bu, perché frutto di meccanismi che in psicoanalisi sono definiti scissione e proiezione, applicati a quelle componenti del Sé che vengono percepite come incoerenti e intollerabili dall’Io, sicché espulse. Quell’egodistonico Fat Bu che in Dragon Ball Super è la nota comica della serie rappresenta quella parte di Sè che Kid Bu nega, poiché fonte di incertezze esistenziali insopportabili.
Medardo: involontaria scissione metafora dell’Umano
“Così si potesse dimezzare ogni cosa intera, così ognuno potesse uscire dalla sua ottusa e ignorante interezza. Ero intero e tutte le cose erano per me naturali e confuse, stupide come l’aria; credevo di veder tutto e non era che la scorza. Se mai tu diventerai metà di te stesso, e te l’auguro, ragazzo, capirai cose al di là della comune intelligenza dei cervelli interi. Avrai perso metà di te e del mondo, ma la metà rimasta sarà mille volte più profonda e preziosa. E tu pure vorrai che tutto sia dimezzato e straziato a tua immagine, perché bellezza e sapienza e giustizia ci sono solo in ciò che è fatto a brani.”
La prima cosa che nel Visconte Dimezzato salta all’occhio e che separa immediatamente Medardo da Majin Bu è la dimensione imprevista e improvvisa della frattura, separazione che simbolicamente rappresenta la linea di confine umana tra bene e male, tra gli incompleti stati d’animo dell’uomo e ciò che questi potrebbe diventare.
Lo squarcio al quale miracolosamente il protagonista sopravvive non è solo fisico, ma anche intimo, spirituale. Sfortunatamente a tornare dalla guerra è la metà cattiva di Medardo, quel Gramo che si distingue per prendere le decisioni più orribili.
Mentre Terralba vive nel terrore della malvagità del Visconte, nella vicina Pratofungo appare la sua metà sinistra, salvata per miracolo da alcuni guaritori. Il Buono si trova coinvolto in dinamiche analoghe al suo alter ego, ma agisce nel tentativo di favorire la prosperità e il benessere del villaggio, generando inevitabili, imbarazzanti equivoci.
Quello che ci colpisce della sua ambivalenza è il contrasto profondamente morale che si crea tra le due metà, fonti di un’opposizione intima e paradossale che non trova soluzione se non in se stessa.
Il surreale incontro tra i due si gioca sull’altare che dovrebbe proclamare Medardo (per Intero) marito della bella Pamela. Discutendo e negoziando con la madre della ragazza, il Gramo intende costringere il Buono ad accettare il matrimonio per rivendicare i suoi diritti sulla giovane. Dal canto suo, il Buono intende lasciare la città ed ostacolare questo piano.
Il giorno della cerimonia, tuttavia, lo scontro è inevitabile perché a causa di una forzata, perversa, attrazione fatale, che Calvino riesce magicamente a trasmettere, entrambi si percepiscono come rivali. Il duello finale è quasi un dialogo, che si conclude in maniera tanto scontata quanto suggestiva: tagliando reciprocamente le bende e le suture, il Gramo e il Buono consentono al Dottor Trelawney di ricucire Medardo nella sua integrità.
Questa svolta garantisce al visconte la possibilità di sposare Pamela e di essere felice per aver realizzato se stesso. Sta quindi nel dialogo e nella capacità d’integrare il Sé la seconda differenza fondamentale tra questo personaggio e il cattivo, impersonale Majin Bu, al quale Toriyama non offre la stessa introspettiva chance di confronto.
A proposito della sua opera, Calvino ha sempre dichiarato che si trattasse di una rappresentazione iconica dell’uomo contemporaneo, interiormente dimezzato e costretto a compiere continue scelte. Scelte che, potremmo dire, implicano l’accettazione e l’integrazione tra le varie parti che compongono il nostro prezioso, frammentato Io.
Sulla scia di questo tema il confronto tra Medardo e Majin Bu potrebbe concludersi, evidenziando che mentre nel primo avviene una necessaria opera di riconoscimento che lo aiuta a crescere, nel secondo non si verifica nient’altro che una violenta, netta separazione, senza possibilità alcuna di una ricucita.
Si tratta di un distanziamento anche morale da Sé comune e collettivamente pericoloso: alla luce delle attuali svolte politico-culturali, se crescere significa integrare il Gramo al Buono e il Buono al Gramo, allora tutti, come Medardo, dovremmo trovare il modo di ricongiungerci con noi stessi.
“Alle volte uno si crede incompleto ed è soltanto giovane.”