“Sì, l’uomo era un voyeur, ma non siamo tutti dei voyeur?”
Così, nella sua celebre intervista con François Truffaut, Sir Alfred Hitchcock parlava di uno dei suoi più noti capolavori, La finestra sul cortile. La pellicola nasce dall’idea di realizzare un intero film in un unico luogo e attraverso gli occhi di un determinato personaggio. In questo caso la situazione che mette in moto la storia è un infortunio che costringe il fotografo L.B. Jeffries, magnificamente interpretato da James Stewart, su una sedia a rotelle. La noia lo porterà a fargli passare le sue giornate osservando i vicini del palazzo di fronte.
Quella che inizialmente era semplice noia diventa però vera e propria curiosità. Il cortile su cui si affaccia la casa del protagonista è del resto un autentico spaccato di umanità, in cui trova coppie sposate, una giovane ballerina, una donna di mezza età single e tanto altro. È così che il personaggio di James Stewart diventa realmente interessato alle vite di queste persone, facendo supposizioni su ciò che accade nelle loro giornate, provando simpatie e antipatie.
Il vero punto di interesse nel film risiede nella facilità con cui si può sovrapporre la figura del protagonista con quella dello spettatore. Perché se in fondo siamo tutti dei voyeur, vedere un film e interessarsi ai suoi personaggi non è poi del tutto diverso da quello che fa il signor Jeffries.
La sua immobilizzazione forzata lo rende una parte sostanzialmente passiva nello svolgimento degli eventi. Egli si limita ad osservare quel che gli viene concesso di vedere, a formulare delle teorie sulla base di questo e magari a parlare di queste teorie con chi ha intorno. Così quando sospetta che un uomo del palazzo di fronte abbia ucciso sua moglie non può intervenire in prima persona per confermare o smentire i suoi sospetti. Ad aumentare il senso di impotenza è il fatto che tutti i personaggi a cui parla di questo suo sospetto si rivelano profondamente scettici, convinti che si tratti di voli di fantasia dovuti alla noia.
In questo modo Hitchcock riesce a fare sì che il pubblico si trovi del tutto immedesimato con il protagonista. Lo spettatore è l’unico che può comprenderlo pienamente, prima di tutto perché non lo perde mai di vista. Gli altri personaggi vanno e vengono dalla casa di Jeffries, ma lui è immobile e con lui il pubblico. Inoltre tutto ciò che Jeffries vede attraverso il suo binocolo è anche ciò che la telecamera decide di mostrare allo spettatore. Di conseguenza tutti i sospetti del primo diventano quelli del secondo. Quando questi è convinto che l’uomo abbia ucciso la moglie il pubblico lo segue e quando invece il fotografo dubita di se stesso, lo fa anche lo spettatore.
Si tratta di un abile modo di manipolare lo spettatore per creare una costante situazione di dubbio che accompagna il film fino al suo climax. Hitchcock riesce a far sembrare un momento convincente l’idea di Jeffries che l’uomo abbia ucciso la moglie, per poi magari mettere tutto in discussione in seguito all’interazione con un altro personaggio. Questo costante stato di incertezza non può che far aumentare il livello di tensione, in un crescendo che dura per l’intera pellicola.
Per via della natura stessa del soggetto il film risulta essere uno di quelli in cui il regista è a tutti gli effetti un personaggio della storia. Decidendo non solo ciò che lo spettatore vede, ma anche ciò che egli crede, raccontare la storia attraverso una serie di immagini piuttosto che un’altra può cambiare il modo in cui essa viene percepita ben più di qualsiasi azione di un protagonista costretto all’immobilità.
Il protagonista si ritrova così con una visione della situazione estremamente limitata e questo lo porta a fare supposizioni su tutto ciò che vede, esattamente come uno spettatore di un film. Per questo una delle chiavi di lettura del film risulta essere quanto spesso l’apparenza inganni. Le impressioni che il protagonista si fa sui suoi vicini risultano infatti spesso sbagliate, frutto di una visione parziale della realtà e da un pregiudizio di fondo completamente errato. Il protagonista grazie alla sua, forse eccessiva, curiosità completa un viaggio di crescita interiore nei pochi giorni coperti dal film.
Queste tematiche finiscono così per incastrarsi perfettamente con la storia, senza per questo sacrificare la suspense e la tensione, che in questo film la fanno da padrone come in pochi altri, perfino nella brillante carriera del maestro del brivido. E’ del resto questa la magia del cinema di Hitchcock: pellicole costantemente legate da un filo conduttore, ma sempre capaci di rinnovarsi, senza mai dare una vera idea di ripetitività.