Non c’è alcuna giustizia nella guerra, né morale né divina. E non c’è nessuna nobiltà in chi la fa. Ma soprattutto non c’è alcuna via di fuga; malgrado i continui sforzi per fuggire, lei inghiotte sempre con maggior veemenza, come un buio pozzo senza fondo. È proprio in questa guerra, la Seconda Guerra Mondiale, che il mondo si rese conto per la prima volta di tutto ciò. Nel 1961 nacque dalla penna di Joseph Heller uno dei più grandi romanzi della letteratura americana, Comma 22 (Catch-22), già trasposto egregiamente dall’immenso Mike Nichols nel 1970, e che oggi, nel 2019, riprende vita, questa volta in uno schermo più piccolo.
Il soldato John Yossarian, detto Yo Yo (Christopher Abbott), ha il compito di bombardare dagli aerei gli obiettivi delle varie missioni, con il rischio che il suo mezzo venga colpito e che, quindi, precipiti. La paura e la tensione si addensano sempre con maggior prepotenza nella mente di Yo Yo man mano che le missioni vengono svolte; sono pochissimi i momenti di svago nel campo militare situato nell’Italia del Sud. Momenti di paura e angoscia si alternano a svaghi teneri edaffettuosi con i suoi compagni, ad attimi in cui Yo Yo si lascia prendere da un’irresistibile malinconia, pensando ai suoi amici caduti e amori lontani.
Ad aumentare la tensione, però, è l’operato del clownesco colonnello Cathcart (Kyle Chandler); ufficiale tanto egocentrico quanto incapace, i cui ordini parossistici causano ogni giorno la morte dei suoi soldati. La sua linea di comando è scandita dall’incremento costante delle missioni di volo, imprigionando, quindi, i vari piloti e bombardieri in un circolo vizioso la cui unica fine è la morte. Yo Yo le prova tutte, malattie intestinali, simulazioni di ferite gravi, e, come ultime chance, la follia. Ma c’è qualcosa, una legge, un corollario, che lui non aveva mai preso in considerazione: il Catch-22, ovvero il Comma 22. Se un uomo vuole evitare le missioni, non può essere considerato pazzo, poiché la sua paura è razionalmente giustificata, quindi è costretto a volare, ma se è realmente pazzo, allora volerà senza alcuna esitazione.
Ma questo è solamente uno dei tanti aspetti paradossali della guerra; è soltanto una delle mille contraddizioni che in questa serie, come nel romanzo, vengono messi alla gogna. Con un umorismo tagliente, che spesso supera ampiamente i confini del black humor, tutta la retorica militaresca e patriottica viene smontata. Ma in questa serie non mancano affatto i momenti di pathos, momenti in cui la violenza esplode, la fotografia perde quel suo fascino aureo per incupirsi, e l’agghiacciante realtà della guerra si manifesta.
Con il passare delle puntate, il giovane Yo Yo diventa sempre più conscio che le vie di uscita non sono poi molte; una di queste è la morte, una strada oscura percorsa da molti suoi amici e compagni. Un’altra via ancora è la follia, quella che, in teoria, dovrebbe scagionarti da qualunque atto di guerra ma che in realtà, secondo il Comma 22, ti legittima ancor di più nei tuoi compiti. È una situazione che, quindi, qualunque sia la via di uscita, non lascia scampo; la sconfitta è inevitabile, a prescindere dal fronte o dal tipo di arma che si padroneggia. È come un girone infernale, una punizione infinita, come di quelle che impartivano a Yossarian e ai suoi compagni durante l’addestramento: percorrere un cerchio stretto portando dei pesi, fino allo sfinimento.
Catch-22 è un prodotto molto più amaro di quanto non si possa pensare a una prima visione; e i momenti di spensieratezza, le graffianti battute e i dialoghi spesso al limite del surreale non fanno altro che intensificare questa amarezza. Luke Davies e David Michôd, i due sceneggiatori della serie, attingono a piene mani al sardonico cinema di Robert Altman, all’irriverenza delle pellicole dei fratelli Coen, fino ad arrivare a quell’indomabile spirito creativo della Nuova Hollywood, di cui tra l’altro lo stesso Mike Nichols fu esponente.
Senza cercare il confronto con altre serie belliche, come Band of Brothers e The Pacific, Catch-22 si ritaglia comunque un posto nel cuore degli spettatori; personaggi grandiosi interpretati da ottimi attori, che vengono ben valorizzati da una regia asciutta che sa ben dosare ironia e dolore.
Che cosa resta da fare, dunque? Rimandare. Ma rimandare cosa? Rimandare a dopo i sentimenti, l’amore, l’amicizia; rimandare a dopo tutte quelle speranze e quei progetti di felicità, sorseggiare ogni attimo di calma, come se fosse acqua fresca in un deserto torrido. Bisogna rimandare tutto, con la speranza che, nel caos, venga rimandata anche la fine di ogni cosa.