Kill Bill, scritto e diretto da Quentin Tarantino. Siamo consapevoli, davanti a queste parole, di trovarci di fronte ad un capolavoro. E, per carità, non è un semplice e puro vanto. Il quinto film di Tarantino, apparso nelle sale nel 2003, è una pietra miliare dell’intero mondo cinematografico, sia per trama, sia per estetica, sia per stile.
Ideato per il trentesimo compleanno di Uma Thurman, non a torto Kill Bill è per molti (e per i fan) la più grande dichiarazione d’amore per il cinema che Tarantino potesse fare. Una mistura, con il quale decanta sia attraverso il genere delle arti marziali, caro ai cineasti degli anni ’60-’70, sia quel genere alla spaghetti-western con tanto di omaggio a Sergio Leone, sia al genere che l’ha reso famoso.
Già il titolo del film, ancor prima della trama atipica, è possibile cogliere la natura della pellicola: una vera e propria epopea cinematografica strutturata in due volumi, con una “cantica” iniziale che funge da prologo per una vicenda articolata. La vicenda si apre proprio con una donna, distesa a terra, morente. Un velo sopra la testa, ci comunica che è una sposa. Seguono dei passi; un paio di stivali che calpestano un pavimento di legno. Una parola e un colpo di pistola indirizzato sulla sua testa.
Kill Bill – La trama
L’intera trama ruota attorno alla vendetta che la protagonista, Beatrix Kiddo, nota anche come La Sposa, attua nei confronti del terribile Bill e i suoi 4 sicari: O-Ren Ishii, Vivica Fox, Elle Driver e Budd Gunn. Il movente di tale gesto, si rintraccia proprio in quel prologo: Bill, infatti, decide di sparare alla povera donna dopo che lei ha scelto di abbandonare la squadra di Bill per sposarsi, rinunciando così al suo più fedele e cinico sicario. Soltanto in Kill Bill volume 2 si scopre che Beatrix era promessa in sposa ad un uomo che diceva di amare, ma tuttavia incinta dello stesso Bill.
Passano quattro anni, in cui donna giace sul lettino di un ospedale, nel coma più profondo. Elle Driver la vorrebbe morta, ma Bill, sebbene le abbia ordinato di ucciderla, mosso forse da compassione, ordina che resti in vita. Improvvisamente, però, la giovane Sposa si risveglia dal coma e sin da subito prende coscienza dell’accaduto: lei è salva per miracolo ma ha perso il bambino.
Decide, così, di fuggire dall’ospedale, nonostante abbia perso l’uso degli arti inferiori. Ma è nella Pussy Wagon, un’auto precedentemente rubata ad un potenziale stupratore, che medita la vendetta, recuperando, inoltre, la funzione delle gambe e dei piedi. Così, questo secondo capitolo che ho appena descritto, rimanda al primo di capitolo, in cui Beatrix elimina il primo nome della lista: Vivica.
Il resto del film, invece, si articola sul vero e proprio cammino che la Sposa compie, affinché il suo piano si realizzi. La vediamo in Giappone, dove si allena presso Hattori Hanzo, un famoso forgiatore di spade, per poi voler eliminare l’altro nome stilato sulla lista. Ci aspetteremmo che sia proprio Bill, ma in realtà sarà O-Ren Ishii, il padrino della Yakuza di Tokyo. Qui assistiamo ai combattimenti più celebri del film, in cui donna dovrà fare i conti con gli 88 Folli, Gogo Yubari e la stessa O-Ren.
Tra postmoderno ed epica
In un precedente articolo su Pulp Fiction si è sottolineata la visione postmoderna che riecheggia per tutta la durata della pellicola. Tra postmoderno ed epica, a ben vedere, vige una tensione da un punto di vista strutturale. Tarantino ha sempre dichiarato che Kill Bill è il film adatto al pubblico che preferisce Pulp Fiction. E, in un certo senso, la somiglianza tra le due pellicole c’è, al tal punto che, secondo alcune teorie, tra i due film assistiamo ad una intersezione.
Facciamo un esempio: Bruce Willis in Pulp Fiction sceglie la katana perché avrà visto proprio Kill Bill o, ipotesi più accreditata, un film che lo ricordi. Volpi Forza Cinque, la serie tv in cui recita Mia Wallace, potrebbe essere l’episodio pilota di Kill Bill, sicché la Sposa, anziché essere un personaggio reale di un film, è Mia che recita in una normale serie (Vi siete mai chiesti perché la Sposa imbarca sull’aereo un katana?).
Teorie alquanto vertiginose, degne di un racconto di Borges. Ma si frappone una dialettica, se vogliamo hegeliana, qualora si volesse prendere un azzardo, per cui tesi, antitesi e sintesi sembrano trovare una loro distensione. E non è un caso che proprio Tarantino, mediante il metacinema, adotti queste teorie, in modo che siano i suoi film a parlare.
Possiamo leggere una struttura narrativa di natura simbolica, seppur di base, all’interno del film. Assistiamo alla morte e alla resurrezione, così come assistiamo al viaggio alla ricerca del maestro. Vi è il tradimento degli amici e la ricerca dell’arma magica e della mossa finale.
Kill Bill è un’opera davvero magistrale. E se scritte come Pussy Wagon e i litri di sangue arrivano a distrarci, Tarantino cerca di mostrare che proprio esasperando il postmoderno si potrebbe tornare alle fiabe e alle mitologie. Oppure, e qui si rimanda al secondo capitolo del film, alle classiche storie che vengono raccontate attorno ad un falò.
Aspetti tecnici
Le teorie narrative appena menzionate trovano una loro ricchezza estetica, grazie alle invenzioni stilistiche di Tarantino. Merito è, sicuramente, di Robert Richardson, tre volte premio Oscar per la fotografia, nonché prediletto da registi come Martin Scorsese.
Kill Bill è un film dal montaggio rapido e veloce, e che non appesantisce le inquadrature. Quest’ultime sono a volte fisse, quelle più numerose e significative (basti pensare al combattimento finale), a volte mobili, grazie alle ampie movenze della macchina, proprio quando la scena passa dalla frenesia all’eleganza.
Nel capitolo Showdown in the house of the blue lives, lo stile di Tarantino raggiunge le vette più alte. Dapprima si assiste alla presentazione dell’arena di combattimento, tramite un’ampia visione sulla stessa. Subito dopo inizia la carneficina, in cui adrenalina sale e aumenta gradualmente. Inoltre, la scena si colora di bianco e nero, sino ad inquadrare le silhouttes pre-cinema. Molti sono stati quelli che si sono domandati il perché dell’utilizzo del bianco e del nero. Semplice censura? Probabile. Ma, ipotesi alquanto attendibile, Tarantino ha reso tali quelle scene per il semplice omaggio ai film di arti marziali giapponesi degli anni ’60.
È ovvio, Kill Bill non è un film di kung fu vero e proprio. I combattimenti si articolano attraverso l’eleganza e l’ adrenalina a cui siamo abituati. Oltre alle katane, la Sposa combatte mediante le travi, i tavoli, i vetri che si frantumano e mosse atletiche davvero pazzesche. È la coreografia tipica di Tarantino che cattura pienamente lo spettatore, il quale dona allo stesso la violenza tipica del suo genere. Basti pensare alla morte dello stupratore e dell’infermiere a inizio film, la cui brutalità è abbastanza nota.
Uma Thurman
Ma se Kill Bill si aggiunge all’olimpo dei film di Tarantino, il merito è anche dell’attrice/protagonista: Uma Thurman. La sua gialla tuta bordata da fasce nere, rimarrà impressa nell’immaginario di chiunque. È noto, infatti, che la creazione della pellicola non è soltanto opera del regista, il quale ha trovato proprio nella Thurman il suo partner ideale. L’uno è la mente, l’altra è il braccio.
L’interpretazione di Uma è talmente perfetta che il personaggio stesso non può fare a meno di lei. La Sposa è intrappolata del tutto nelle emozioni e nei sentimenti che l’attrice riesce a donarle. E questo carico di tensioni lo notiamo sin da subito, specialmente quando dialoga con la figlia di Vivica, la quale scopre la brutale uccisione ai danni della madre.
Attraverso la visione di entrambi i film, vediamo un progressivo mutamento di emozioni. Nel primo volume, la donna potrebbe apparire fredda, cinica, impassibile dinanzi alla realtà, assetata e accecata dalla vendetta. Nel secondo, invece, scorgiamo una tenerezza nascosta, un’ingenuità che riafferma nei flashback con Bill, nello smarrimento nel fissare il test di gravidanza, nel violento sconvolgimento al momento dell’incontro con la figlia. Tutto questo inquadrato nell’occhio innamorato di Tarantino.
Conclusione
In Kill Bill lo spettatore può trovare tutto il mondo di Tarantino. Il film è sormontato da una serie di aspetti, che lo rendono una pietra preziosa. Da una colonna sonora raffinatissima, incessante e perfettamente combinata con l’immagine. Alle immagini sia di violenza, sia di tensione e sia di pathos che comunicano un forte impatto visivo. E poi, ovviamente, ci sono: i capitoli privi dell’ordine cronologico, all’amore per i dettagli inutili, al feticismo per i piedi.
Ma vi è un ulteriore aspetto importante. Kill Bill è un doppio unicum della cinematografia di Tarantino. La pellicola è un vero e proprio spartiacque, con il quale il regista termina il suo discorso sul postmoderno. Con Kill Bill è come se avesse raggiunto un punto saturo della sua visione e ideologia. E non è un caso che il suo sguardo sarà rivolto alla Storia.