Su un manga come Detective Conan (Aoyama, 1994), ci sarebbe tanto da scrivere e approfondire. A partire dal particolare stile di pubblicazione, passando per la trama che strizza l’occhio alle avventure di Sherlock Holmes fino alla divisione della storia in casi diversi inframmezzati da un un unico, grande quadro generale, possiamo subito notare quanto ci sia da analizzare rispetto ad un fenomeno più unico che raro.
Il soggetto sul quale vorrei soffermarmi è il modo in cui la personalità del liceale Shinichi Kudo cambia nel momento in cui il suo aspetto fisico viene modificato, trasformandolo in un bambino.
Prima di proseguire, è bene specificare che il cambiamento della personalità è relativo e conseguente all’evento critico e inspiegabile che lo cambia nel fisico.
Così come Pinocchio ha una natura innatura, come Pollicina o Peter Pan sono creature al di fuori della comprensione umana, allo stesso modo i comportamenti di Shinichi prima e dopo il cambiamento sfuggono a qualsiasi metro di paragone.
Sebbene il fatto che la sua identità resti grossomodo invariata sia affascinante, in egual misura occorre riconoscere il fatto che Conan, diversamente da Shinichi, è un bambino, e come tale è obbligato a comportarsi.
Detective Conan: Egosintonia VS Egodistonia
Il Detective Conan Edogawa, come Goku in Dragon Ball GT, è il depositario in versione tascabile delle qualità più brillanti di Shinichi Kudo: risolve enigmi, collabora con la polizia e svela segreti.
Il problema è che proprio il fatto che sia tascabile lo costringe a vivere e a viversi in un perenne stato di forzata inibizione, per evitare di farsi notare troppo come fanciullo prodigio.
Dal punto di vista psicologico, ogni comportamento di Conan che richiama idee e desideri coerenti con l’Io di colui che fu Shinichi è egodistonico; viceversa, ogni comportamento scaturito dalla necessità di limitare la propria autonoma forza di volontà è egodistonico, perché asseconda la falsa maschera del Detective Conan.
L’oscillazione tra queste due espressioni della vita psichica è comune in tutti noi quotidianamente: non è mai davvero possibile mantenere una perfetta coerenza tra desideri, atteggiamenti e comportamenti. Per farla breve, il compromesso è un prezioso alleato della nostra mente.
Nel caso del povero protagonista del manga, però, quest’oscillazione assume connotazioni tragiche, perché il Detective Conan è obbligato a tenere insieme le proprie due personalità proprio attraverso questi continui passaggi tra comportamenti coerenti e incoerenti: da un lato non può fare a meno di risolvere i casi nelle vesti di Mori, dall’altro è costretto a celarsi per nascondersi all’Organizzazione Nera, responsabile del suo cambiamento.
Detective Conan: Il segreto delle origini
Più che la trama in sé, portata fin troppo per le lunghe attraverso episodi filler che dell’Organizzazione Nera non spiegano nulla, ciò che m’interessa di Detective Conan è il gioco intricato dei rapporti che il protagonista deve apprendere a gestire con ciascuno dei protagonisti principali del racconto.
Innanzitutto c’è la sua relazione sfumatamente romantica con Ran, la figlia di Mori che lui è costretto a proteggere nascondendole la sua vera identità; le telefonate e i giochi d’ombra che Conan mette in atto per esprimerle attenzioni di tanto in tanto sono al tempo stesso frustranti e affascinanti.
Mori e Agasa sono i due adulti più “pericolosi” ai quali Conan si rivolge: in quanto autorità investigative, svelare a loro il fatto che lui sia Shinichi potrebbe metterli in difficoltà rispetto alle attività criminali dell’Organizzazione Nera, incombente e minacciosa.
Solo al suo fornitore di gadget, Conan si sente abbastanza al sicuro da rivelare il proprio segreto; questo tipo di comportamento è ricorrente in opere che, come questa, sono fondate sulla costruzione di un personaggio vittima di un’ingiustizia che deve rimediare, come accade a Simba nel Re Leone.
L’antagonista contro il quale Conan deve battersi, quindi, non è tanto il potere oscuro dell’Organizzazione che voleva ucciderlo e che invece l’ha intrappolato in un corpo da bambino, quanto questo primordiale segreto delle origini, incomunicabile e inelaborabile perché barricato dietro il muro dell’incomprensibilità.
Personalmente, avendo abbandonato la narrazione perché monumentalmente lunga, non so quali siano i passi presi da Conan/Shinichi e quando la verità sarà scoperta: ciò che mi limito a commentare è l’aurea di amara dolcezza nella quale la sua esistenza costretta versa, giorno dopo giorno in attesa della svolta definitiva, mentre nel frattempo il segreto si scontra con l’inesorabile, definitivo scorrere del tempo.
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