«Il rosso è uno dei colori più forti. È come il sangue, colpisce l’occhio. Credo che sia per questo che i semafori sono rossi, così come i segnali di stop. Uso sempre il rosso nelle mie opere».
(Keith Haring)
Questa frase fu pronunciata dall’artista americano Keith Haring, attivo nella seconda metà del secolo scorso e famoso per il costante utilizzo di colori accesi e vivaci. È nota l’enorme potenza visiva ed emotiva che il colore ha nell’arte figurativa, in primis la settima arte. Eppure, quanti di noi spettatori prestano reale attenzione ai colori dominanti all’interno di una pellicola?
Presi dalla storia narrata, ci dimentichiamo che un film è soprattutto un’opera d’arte visiva, in cui l’utilizzo di una specifica gamma cromatica è spesso fondamentale per comprenderne il reale significato. Non ce ne rendiamo conto, ma l’utilizzo di determinati colori sullo schermo influenza il nostro modo di percepire una storia.
E quale colore è più intenso e potente del rosso?
A che cosa associamo questo colore? Rabbia, violenza, sangue, amore, passione… Elementi differenti tra loro, ma con una caratteristica in comune: l’intensità. Il rosso è un colore forte, che cattura subito l’attenzione, creando spesso un effetto straniante ai nostri occhi. Proprio per questo motivo moltissimi cineasti hanno deciso di utilizzarlo, colorando letteralmente di significato ciò che desideravano raccontare.
Stanley Kubrick, autore di alcuni dei più grandi capolavori della storia della settima arte, diede moltissima importanza all’utilizzo del colore nell’horror cult Shining (1980), tratto dal romanzo di Stephen King. Il rosso accompagna costantemente la progressiva discesa di Jack Torrance (Jack Nicholson) nella follia omicida: rossi sono i corridoi dell’Overlook Hotel e i muri dei bagni, rossa è la giacca indossata dallo stesso Jack per buona parte della pellicola, rossa è la “Red Rum”, evocata dal piccolo Danny (“stanza rossa”, ma anche anagramma di “Murder”, omicidio).
Emblematica in questo senso la famosissima scena dell’ascensore, tanto esplicita da sconvolgere il pubblico dell’epoca: Danny, dotato del potere della “luccicanza”, ha la visione di una cascata di sangue proveniente dall’ascensore dell’hotel. In Shining, questo colore rappresenta dunque il sangue di cui è macchiato l’hotel, teatro di terribili omicidi. La violenza nella sua forma più macabra ed estrema, portata sullo schermo da Kubrick attraverso un utilizzo preciso e maniacale dei colori, quasi avesse voluto creare un delirante dipinto in movimento.
Il rosso, però, non rappresenta solo la violenza in senso stretto. Moltissimi cineasti hanno utilizzato questo acceso colore per enfatizzare particolari e complessi stati emotivi che coinvolgevano i personaggi delle loro opere. Il “maestro del brivido” Alfred Hitchcock rientra senz’altro in questa cerchia, in particolare con il suo capolavoro Vertigo (1958). A differenza della maggior parte della sua filmografia, dallo stile realistico ed essenziale, Vertigo è un delirante e onirico viaggio nella mente del protagonista John Ferguson (James Stewart), in cui l’immagine e il simbolo giocano un ruolo fondamentale. Fin dai bellissimi titoli di testa, firmati dall’illustratore Saul Bass, è chiara la centralità del colore: il rosso, in particolare (anche colore della famosa locandina), domina lo schermo, accompagnato dal dinamico disegno di una spirale.
Rosso come tensione, inquietudine, espressione della passione distruttiva di John nei confronti dell’amata Madelaine (Kim Novak). Questo colore appare in tutta la sua luminosità e prepotenza in molte scene del film. Saranno rosse le pareti del ristorante in cui il protagonista incontrerà per la prima volta Madelaine, in netto contrasto con il vestito blu indossato da quest’ultima; ancora, il rosso accompagnerà i suoi incubi, in una delle sequenze più originali del cinema hitchockiano. In Vertigo, il colore rosso rappresenta un amore lontano da ogni sensazione di equilibrio e armonia: una passione totalizzante, tramutata presto in vera e propria ossessione.
Un regista italiano che ha più volte dichiarato di essersi ispirato a Hitchcock è Dario Argento, considerato il maestro dell’horror nostrano. Capace di creare le più inquietanti e terrificanti atmosfere, Dario Argento ha sempre amato giocare con i colori e le loro sfumature. L’opera in cui questa sua abilità raggiunge il massimo dell’efficacia visiva è senz’altro l’horror Suspiria (1977): l’uso del colore è qui talmente prepotente e ossessionante, da divenire quasi un personaggio della stessa pellicola.
Lavorando a stretto contatto con il direttore della fotografia Luciano Tovoli, Dario Argento decise di utilizzare principalmente il rosso e il blu, ponendoli spesso in contrasto tra loro. Il rosso, in particolare, domina l’intero film, creando un marcatissimo gioco di luci e ombre: viene così a crearsi un’atmosfera innaturale, espressione dell’inquietante vicenda narrata. Proprio come la protagonista Susy Benner (Jessica Harper), anche lo spettatore si sentirà intrappolato nella folle Accademia di Danza, privo di qualsiasi certezza razionale a cui aggrapparsi. Il vero motivo per cui Suspiria è tuttora in grado di spaventare, dopo quarant’anni dalla sua uscita, risiede proprio nell’atmosfera di inquietudine e incertezza che Argento e Tovoli sono riusciti a creare.
Quando si parla di rappresentazione della follia e dell’inquietudine, non si può prescindere dal citare David Lynch. E non si può parlare di Lynch, senza nominare quella che è la sua opera più rappresentativa: la serie televisiva Twin Peaks, trasmessa tra il 1990 e 1991, per poi venir rinnovata ventisei anni dopo, nel 2017. Partendo dal tragico omicidio di Laura Palmer, David Lynch ci immerge in un universo bizzarro e affascinante, di cui lo spettatore scoprirà a poco a poco i più oscuri segreti. In particolare, veniamo a conoscenza dell’esistenza di due luoghi soprannaturali, al confine tra la vita e la morte: la Loggia Nera e la Loggia Bianca.
Non è completamente chiara la loro reale natura né se vi sia una fisica separazione tra di essi: ci viene unicamente presentata un’ampia stanza dalla pavimentazione irregolare, circondata da tende rosse. In questo luogo, risiedono alcune oscure e enigmatiche entità, tra cui il Nano, anch’egli vestito di rosso, con uno strano e innaturale modo di parlare e interagire. Quando l’agente Cooper (Kyle MacLachlan), il personaggio più positivo della serie, visiterà la Loggia Nera, si troverà ad affrontare il caos più assoluto. Nella Loggia va abbandonato ogni tentativo di comprensione razionale: persino il Tempo, da sempre un nesso logico che collega gli eventi tra loro, non esiste.
David Lynch ha quindi deciso di portare sullo schermo la follia, nella sua forma più inquietante e straniante, ideando un luogo metafisico, rimasto da anni impresso nella mente dello spettatore. Le tende rosso scarlatto, attraverso cui Cooper entra nella Loggia, rappresentano proprio l’ingresso del razionale nell’irrazionale, attraverso la perdita di ogni linearità conosciuta dall’essere umano.
Apparentemente molto differenti tra loro, queste pellicole possiedono tutte un tema comune: la perdita dell’equilibrio. Un padre di famiglia precipita nella follia; un uomo prova un amore distruttivo e totalizzante; una giovane ballerina assiste a eventi inspiegabili; un agente dell’FBI visita un luogo al confine tra la vita e la morte. Tutti questi personaggi vivono nel caos emotivo più totale, incapaci di trovare un reale senso a ciò che loro accade.
Acceso e sgargiante, il colore rosso ha proprio la funzione di tradurre in immagine questa condizione emotiva. D’altronde, il cinema si pone uno specifico e difficile obiettivo: rendere Arte l’essere umano, in tutte le sue più folli e complesse sfumature.