Suspiria – I colori dell’orror

Enrico Sciacovelli

Aprile 30, 2017

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Suspiria
Una scena del film.

Suspiria

Parlare di film horror e della loro efficacia, del perché un film può farti conficcare le unghie nel bracciale della poltrona mentre un altro può solo farti sbadigliare, significa discutere di “atmosfera“.

La capacità che eleva i maestri dell’horror di qualsiasi sottogenere è il controllo dell’atmosfera attraverso il linguaggio filmico. Ciò permette loro di firmarsi con scelte stilistiche uniche.
Uno di questi maestri era presente al Bif&st 2017, dove ha presentato uno dei suoi film più acclamati.

Il suo nome era Dario Argento, e quello del film Suspiria.

L’opera quarantenne del “Maestro del Brivido” si presenta forte della sua maturità, ma non invecchiata. Già dalle prime inquadrature, Argento stabilisce un tono intimidatorio. Ne sono esempio la scenografia arricchita da forti luci acide e la colonna sonora (a cura de I Goblin, storici collaboratori del regista) che inizia a seguire Jessica Harper con discrezione per tornare a tormentarla per il resto del film.

Queste scelte trasmettono immediatamente allo spettatore una sensazione di angoscia, senza sprecare tempo o preziose battute di sceneggiatura.

L’impressione è quella di un film con cattive intenzioni verso i suoi protagonisti, che fiata letteralmente (di nuovo, tramite la colonna sonora) sul collo della sfortunata Susy Benner, e di conseguenza, sul collo dello spettatore.

Una scena del film.

Il film costruisce all’interno delle mura della Tanz Academy di Friburgo una presenza tanto maligna quanto varia nella sua aggressività: dallo splatter al silenzio macabro, dal disgustoso all’esoterico.

La trama procede in picchiata, lasciando giusto il minimo spazio necessario per far respirare lo spettatore.

Anche gli elementi più goffi o marcati (in particolare la recitazione teatrale di alcuni comprimari o l’intensità visiva di certi eventi) giovano a consolidare l’atmosfera che permea la pellicola, creando un velo surreale, credibile solo all’interno di un film così stilizzato.
Le possibili critiche alla sceneggiatura per alcuni personaggi stereotipati o con personalità piatte cadono sterili davanti a una visione d’insieme coerente e d’impatto. I personaggi sono come impotenti bambole nelle mani di un regista che gioca con loro sadicamente, cercando di inserirle in scenari sempre più crudeli e audaci.

A distanza di quarant’anni dall’uscita originale, Suspiria conserva un’aura capace di attrarre lo spettatore.

Guardando la strada battuta dal film è quasi lapalissiano dire che anche registi come Nicolas Winding Refn o Guillermo del Toro hanno preso a piene mani dal “Maestro del Brivido” per creare altre opere mistificanti (The Neon Demon e Crimson Peak, gli esempi più recenti per entrambi).

La ciliegina sulla torta dell’evento è stata la presenza del regista romano stesso, che ha mantenuto una sagacia e una cordialità che si presta sì a un bonario signore di settantasette anni, ma anche a un’icona del cinema italiano e mondiale. Si presenta umile, ma non abbattuto, con giusto la punta di malizia che ci si aspetta dal Dario sanguinario, autore di una simile pietra miliare del macabro.

Leggi anche: Suspiria – Il Piacere del Perturbante

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