Vertigo – Sogni, incubi, estasi e desiderio

Gabriel Carlevale

Ottobre 13, 2020

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«È come se io stessi percorrendo un lungo corridoio che è ricoperto di specchi… e alcuni frammenti di quegli specchi sono ancora là… e quando arrivo alla fine del corridoio non c’è altro che oscurità… e io so che, addentrandomi nell’oscurità, vado a morire…»

(Madeleine Elster)

La storia del cinema ci insegna che ogni grande film che si rispetti, ha bisogno di tante e nuove visioni per far sì che, ogni volta, questa possa regalare nuovi spunti e idee con cui analizzarla. Se questa prassi è ormai legge per le centinaia di opere che, nel corso degli ultimi cento e più anni hanno riempito di bellezza gli occhi degli spettatori, devo esserlo una volta di più per Vertigo (1958), uno dei tanti capolavori del maestro Alfred Hitchcock.

Un viaggio incredibile che inizia a velocità supersonica già dagli indimenticabili titoli di testa del genio Saul Bass, che ci proiettano in una serie di spirali che ruotano attorno alla figura di una donna. Le splendide musiche di Bernard Herrmann – che trovano ispirazione nel classico melodramma italiano – fanno il resto, mentre siamo già partecipi di un’esperienza di rapimento visivo e sensoriale.

L’apertura sui tetti di sera, in una San Francisco buia e claustrofobica, con l’inseguimento del ladro a provocare una caduta fatale, condanna il protagonista John Ferguson (conosciuto come Scottie) alle dimissioni dal corpo di polizia. Nella sequenza che segue, lo vediamo apparentemente guarito mentre l’amica Midge gli da consigli e lo supporta; poi un nuovo incarico torna a impegnarlo con riluttanza.

Il lungo peregrinare in auto e le soste in macchina (un negozio di fiori, il cimitero, la galleria d’arte, un albergo), sono momenti quasi ipnotici di attesa che coincidono col punto di vista, interrogativo e disorientato, di Scottie alle prese con Madeleine, oggetto d’indagine e moglie del vecchio amico Galvin Elster.

Gli strani comportamenti della donna, che sarebbero dovuti al ricordo di Carlotta Valdes (bisnonna famosa per un ritratto rivelatorio), culminano nel tuffo alla baia sul ponte della città. A quel punto, Scottie diviene protettore di Madeleine e inconsapevole pedina d’un piano diabolico, portandolo ad uno shock di nuovo dominato dai sensi di colpa. Finché, tornando su alcuni luoghi conosciuti, non vede un’altra donna dall’aspetto familiare.

La vertigine del celebre titolo è anche quella dello spettatore, che per oltre due ore è immerso in un’atmosfera sospesa tra il sogno e l’incubo, il desiderio e l’estasi, l’incantesimo e lo svelamento. 

Se poi si parla di Hitchcock, la narrazione è sottoposta continuamente a una singolarità di dettagli, invenzioni, colori, effetti e prove recitative da manuale della Settima Arte. Ispirato dal romanzo noir D’Entre Les Morts di Boileu e Narcejac, il genio inglese guida il perfetto alter ego (che ha il volto del sempre incredibile James Stewart), alla scoperta d’una personalità femminile manipolata.

Madeleine è un’invenzione che finisce per esser reale e destinata a divenire un tranello per la stessa Judy, seconda occasione di Scottie che ha commesso l’errore d’innamorarsi a sua volta di lui. Amore e morte sono un binomio che avvolgono Vertigo della sua consapevole tragedia interiore e di un inganno psicologico che avvince Stewart all’indimenticabile Kim Novak, prima bionda e poi bruna, la quale sarà per sempre volto di un passato maledetto.

Quel passato a forma di missione spagnola, sul campanile dove Scottie vede di sotto le scale deformate e non riesce a liberarsi dai suoi fantasmi, grazie anche allo straordinario comparto fotografico che Hitchcock crea insieme al fidato direttore della fotografia Robert Burks, giocando continuamente con il Technicolor e utilizzando la luce come proiezione umorale dei personaggi e riscrivendo i manuali delle inquadrature cinematografiche, come nel caso del celeberrimo “effetto Vertigo”, nato grazie all’operatore Irmin Roberts, che diventerà uno delle tecniche più iconiche del cinema in divenire (ne sanno qualcosa Steven Spielberg e Martin Scorsese, che replicheranno “l’effetto Vertigo” in Lo Squalo e Toro Scatenato).

La fascinazione del film colpì anche il regista francese Chris Marker che, nel 1983, realizzò il suo film Sans Soleil recandosi a San Francisco alla ricerca dei luoghi in cui il film venne girato.

La visione di Vertigo, che sia la prima o la decima volta, provoca sempre uno spiazzamento particolare, che oltre all’ineguagliata suspense fa emergere i temi dell’ossessione e dell’amore idealizzato in maniera totale, unica. Se a distanza si oltre sessant’anni la sua bellezza rimane inalterata, è soprattutto merito di un maestro del cinema come Alfred Hitchcock, che attraverso i suoi innumerevoli e straordinari film, ha contribuito a rendere il cinema come la più bella delle arti.

Leggi anche: Notorious – Hitchcock e la Nascita dello Stile Autoriale

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