Il significato della regia nel cinema è tutt’altro che scontato. Essere un regista infatti non significa semplicemente riprendere la scena costruita davanti alla macchina da presa, ma trovare il linguaggio più adatto a veicolare determinate idee e sentimenti. Di tutti i grandi film di Alfred Hitchcock, è Notorious – L’Amante Perduta (1946) quello che più di tutti svela cosa voglia dire essere un vero regista.
Il film del regista inglese non rappresentava certo una novità ai tempi in cui uscì. L’intreccio era piuttosto semplice, il linguaggio facilmente comprensibile, la scansione nei tre tempi aristotelici (inizio, sviluppo e fine) abbastanza netta. Eppure, Notorious riuscì in breve tempo a diventare uno dei film più famosi di Hitchcock, e questo grazie appunto alla perfezione della sua componente registica.
In una celebre recensione, François Truffaut affermò che Hitchcock era “riuscito a ottenere il massimo degli effetti col minimo di elementi”, proprio per sottolineare come nonostante l’essenzialità del film, e la sua apparente semplicità, ogni elemento tecnico all’interno di esso rasentasse la perfezione, l’apice di un percorso coerente che aveva portato Hitchcock a sviluppare un linguaggio maturo e di un’efficacia inedita. Infatti, Notorious venne definito l’ultimo dei film classici, e allo stesso tempo il primo dei film moderni, proprio perché dei primi riprese l’importanza e il ruolo fondamentale dell’intreccio narrativo, mentre dei secondi introdusse la rilevanza di una regia non più anonima, ma ben visibile, per dirlo in altri termini, una regia autoriale.
Il grande uso di zoom, soggettive e carrelli – come quello straordinario nella scena della festa a casa Sebastian – rende evidente la presenza del regista nel prodotto filmico, con implicazioni senza precedenti per il cinema americano, che in quegli anni era ancora in pieno stile classico e dunque preferiva utilizzare stilemi anonimi e limitare al minimo l’intervento di complessi movimenti di macchina. Le emozioni dello spettatore vengono così veicolate dall’intervento dell’autore che attraverso il suo strumento dirige lo sguardo del pubblico dove è più funzionale, mentre la costruzione delle soggettive permette l’identificazione con i personaggi facilitando la partecipazione emotiva.
Nella scena in cui il personaggio di Ingrid Bergman origlia la conversazione fra Alex (Claude Rains) e sua madre, riguardo la famigerata chiave, Hitchcock utilizza una soggettiva che ci colloca nella stessa posizione di Alicia, fino a che Alex non esce dalla porta e si dirige verso di lei. In questo momento il regista inglese sta ancora utilizzando la soggettiva, facendoci credere che la donna sia stata scoperta, e solo nella successiva inquadratura scopriamo che invece è rientrata nella sua stanza. Con questa costruzione attraverso una falsa soggettiva, Hitchcock ci fa provare la stessa – se non maggiore – suspence del personaggio femminile.
In generale sono molte le occasioni in cui, attraverso l’utilizzo della soggettiva, il regista rende Alicia soggetto guardante e non oggetto guardato. A differenza del cinema classico in cui la donna è sempre oggetto passivo, in Notorious – almeno nella parte centrale della pellicola – il personaggio di Ingrid Bergman è spesso attivo, ed è anzi il corrispettivo dello spettatore nella pellicola. Sono suoi i sentimenti che condividiamo, sue le azioni che permettono lo svolgimento della vicenda.
Lo zoom e i dettagli sono altri strumenti fondamentali che Hitchcock utilizza per dirigere il nostro sguardo. Essi distruggono qualsiasi relazione spaziale convenzionale proprio perché collocano in primo piano non dei volti, ma degli oggetti. Essi, occupando tutta la superficie dello schermo, acquisiscono una potenza drammaturgica senza eguali, che ne sottolinea l’importanza fondamentale ai fini dello sviluppo della narrazione.
L’efficacia di Notorious sta proprio in questo trasformare in immagini delle tendenze più o meno inconsce. Si tratta di mettere in scena i desideri e le paure dei personaggi attraverso un metodo puramente visivo, realizzando immagini espressivamente narrative. Nessuna didascalia, nessun dialogo, è lo sguardo della macchina da presa – e quindi del regista – ad amplificare le sensazioni generate dagli eventi che si svolgono di fronte a noi.
Questa componente dello sguardo è il vero tema della pellicola. Il cuore di Notorious, mascherato da una vicenda apparentemente semplice, è proprio il discorso sullo sguardo e sulle implicazioni dovute al suo punto di origine. Hitchcock compie un lavoro incredibile spostando continuamente le sue direttrici. Nel suo guardare lo spettatore non è mai solo, ma risulta inserito all’interno di un meccanismo complesso che include i tre personaggi principali. I loro desideri e i loro conflitti interni – altro elemento inedito per il cinema americano del periodo – sono il vero motore dell’azione.
Tutti sono alla ricerca di qualcosa che solo a un livello superficiale si identifica con un oggetto, mentre analizzando la vicenda nel profondo, è evidente che quello che i personaggi cercano è una realizzazione nella vita. Alicia ha perso il padre e cerca l’approvazione di Devlin (Cary Grant), che incarna la figura dell’uomo forte e protettivo di cui la donna crede di avere bisogno. Alex invece è confuso, deluso dal rifiuto ricevuto da Alicia tanti anni prima e voglioso di prendersi la sua rivincita e affermare di nuovo la sua superiorità. Mentre Devlin è il protagonista ligio al dovere che trova nell’amore per Alicia quel senso che mancava alla propria vita.
Così, se nell’introduzione la struttura classica ci porta a occupare insieme a Devlin il ruolo di soggetto il cui sguardo attivo è rivolto verso Alicia, qui oggetto dello sguardo, successivamente, attraverso un ribaltamento concettuale, la donna diventa agente attivo e soggetto guardante, e noi con lei, mentre il tutto si svolge sotto l’attenzione vigile di Alex, la cui triste storia genera in noi sentimenti ambigui portandoci a condividere parzialmente persino le sue emozioni.
Una costruzione fortemente psicanalitica, che è possibile percepire solo grazie alla genialità registica di Hitchcock che non si limita a mostrare una storia, ma si impegna a costruire un contesto fatto di sguardi in cui si inserisce quello esterno dello spettatore. Il pubblico percepisce così la profondità della vicenda ben oltre lo strato essenziale della narrazione classica, che pure irrompe nella conclusione e riporta le cose verso un linguaggio tradizionale.
Nel momento in cui Alex e la madre iniziano ad avvelenare Alicia, finisce anche il ruolo della donna come soggetto attivo, sostituita da Devlin che, attraverso il suo salvataggio, riprende il posto di soggetto attivo e permette alla vicenda di concludersi, ma non senza un ultimo colpo di tacco alla Hitchcock, che trasforma ancora una volta il linguaggio con uno stile più adatto al momento.
I due protagonisti si baciano e si dichiarano il proprio amore, mentre la macchina da presa gira intorno a essi, vicina ai loro volti. L’ordine è stato ristabilito, la pace è tornata e i buoni hanno vinto:la messa in scena si adatta magistralmente, ancora una volta, alle necessità della narrazione.