Juan Diego Escobar Alzate, giovane regista e sceneggiatore colombiano, a metà della video presentazione del suo esordio, ora in concorso al Ravenna Nightmare Film Festival, intitolato Luz: The Flower Of Evil, esplicita quello che sembra essere stato per lui, il principale modello cinematografico di riferimento, ossia Alejandro Jodorowsky.
Ciò che Escobar Alzate fa suo del cinema di Jodorowsky non è soltanto la scelta di porre la violenza più sporca, estrema e immorale in contrasto con la bellezza, l’armonia e la magnificenza della natura e dell’ambientazione della vicenda, ma soprattutto è la scelta di porre al centro della narrazione un oggetto fortemente fuori dal tempo.
All’interno di Luz: The Flower Of Evil infatti assume sempre più importanza un registratore a cassette che, se inizialmente sembra essere uno strumento salvifico in grado di sollevare le tre figure femminili chiamate “angeli”, diviene via via più pericoloso, trasformandosi in uno strumento di morte, fortemente legato alla perdita e alla follia della fede.
I titoli principali dell’interessantissimo regista cileno Alejandro Jodorowsky, cui Escobar Alzate sembra guardare per modellare e caratterizzare i suoi personaggi, così come la sua ambientazione per certi versi assurda e al di là di ogni collocazione terrena, sono El Topo del 1970 e Santa Sangre del 1989.
Non è un caso che anche Luz: The Flower Of Evil, si collochi tra il western, il fantasy e l’onirico, proprio come il precedentemente citato El Topo. Poiché di quel film, Escobar Alzate fa sua la gestione del paesaggio, l’oggetto fuori dal tempo (nel film di Jodorowsky era un ombrello nero), e la caratterizzazione del personaggio principale.
La figura maschile violenta, intollerante, tiranna e priva di coscienza che tutti chiamano “El Senor”, sembra infatti essere una vera e propria costola del cowboy in nero del già citato El Topo.
Escobar alzate però, non fa economia di parole, come spesso accade nel cinema del regista cileno, poiché sceglie di riempire il suo film di monologhi, dialoghi e voice-over, quasi totalmente di impostazione filosofica ed esistenzialista.
É dunque in questa particolare scelta che si può identificare un altro evidente riferimento cinematografico, ossia Terrence Malick, e più nello specifico, titoli come: I giorni del cielo del 1978, The New World del 2005 e The Tree Of Life del 2011.
Il dialogo fortemente filosofico ed esistenzialista è infatti un vero e proprio marchio del noto “regista filosofo” Terrence Malick. Così come la scelta di muovere gli individui all’interno di spazi magnificamente fotografati, all’apparenza teatrali e nient’affatto reali.
Luz: The Flower Of Evil, nel tentativo di prendere il meglio (stilisticamente e narrativamente parlando) dai tre film appena citati di Malick, soprattutto da The Tree Of Life, commette un grosso errore, ossia mancare di originalità, compiendo una sorta di buona esecuzione di qualcosa che già si è visto e che già si conosce, come appunto il cinema di Jodorowsky e Malick.
Il film di Escobar Alzate si pone dunque a metà strada tra il cinema horror e quello drammatico. Poiché racconta lo scontro tra il fanatismo religioso, la personificazione del diavolo in più forme e dunque la conseguente ansia, debolezza, pressione e disperazione subita dagli individui della comunità che il film vede estremamente sottoposti al controllo tirannico del santone cowboy “El Senor”.
Ciò che inizialmente sembra essere interessante è il discorso intorno all’albero, che si erge spoglio, ma vigoroso come un totem, sulla cima di una collina erbosa, inquadrata e fotografata magnificamente dalla prima all’ultima inquadratura, tra meravigliosi tramonti e notti incredibilmente stellate e di grande speranza.
Un albero che rappresenta il passaggio della vita e dell’armonia in quelle terre, ora abitate soltanto dal male e forse dal diavolo in persona. Poiché si tratta di una tomba, il luogo di sepoltura di Luz, la madre che, in un tempo ormai passato, ha amato El Senor, prendendosi cura di lui e delle tre ragazze che ora vivono sotto la sua ala.
Finché Escobar Alzate si concentra sul discorso dell’albero, e quindi sulla consapevolezza che l’addio alla madre, dunque alla bellezza e all’armonia, significherà lasciar spazio alla paura e alla disperazione, tutto sembra funzionare, e generare interesse. Considerato soprattutto il lavoro sugli ambienti, la fotografia e il dialogo.
Abbandonata quella traccia narrativa così pessimista e giustamente filosofica dell’albero, e del bene che ha abbandonato quelle terre, l’esordio di Escobar Alzate perde il controllo, deragliando a favore del registro dell’assurdo, del surreale e del B-movie delirante, che cerca in tutto e per tutto di risultare angosciante e visivamente raccapricciante, servendosi di scene dall’indubbia combo disturbata di violenza e fede.
Il folk horror, genere cui il film appartiene e non appartiene, viene richiamato attraverso alcuni stilemi classici, di cui Escobar Alzate si serve stancamente, senza nemmeno crederci fino in fondo, privandoli dunque della loro componente di terrore, ansia e impreparazione, ossia il bosco come luogo sconosciuto e dimora del diavolo, piuttosto che il fruscio del vento tra le piante come canto del demonio e poi i riti religiosi chiaramente disturbati, ma tollerati pienamente dalla collettività, che negli anni ha vissuto nella convinzione di quelle buone azioni.
C’è poi un terzo e ultimo evidente riferimento cinematografico, ossia il grandioso e angosciante penultimo film di Robert Eggers, The Witch. Un folk horror in piena regola, datato 2015, da cui Escobar Alzate prende la figura animale, estremamente simbolica e carica di paura del caprone, che nel film di Eggers funzionava alla perfezione e che crolla, invece, a causa di uno scarso ed errato utilizzo nel film di Escobar Alzate.
Luz: The Flower Of Evil è l’esempio perfetto di come una buona color correction, degli ottimi riferimenti cinematografici e una interessante base narrativa, non bastino a modellare un buon film.
La sola estetica, come già detto magnifica e sorprendente, finisce per stancare e annoiare, poiché non supportata né da una solida sceneggiatura, né da un buon lavoro sugli interpreti.