Matthew si guarda attorno meravigliato e aperto a ricevere tutte quelle sensazioni e spinte di libertà, passione e stravaganza della Parigi di fine anni sessanta. Mentre un voice-over ci informa che questo momento è l’inizio di tutto. Così comincia The Dreamers – I sognatori (2003), lo splendido penultimo film del maestro ormai compianto, ma in qualche modo immortale, Bernardo Bertolucci.
L’iniziazione di Matthew agli insaziabili. Ossia i cinefili più estremi ad appassionati, quelli che siedono nelle prime file delle sale buie e colme di spettatori della Cinémathèque française. Pur di ricevere per primi le immagini che giungono dagli schermi, ancora nuove e fresche, prima che divengano altro, avanzando lungo le file. Fino a tornare alla camera di proiezione, annullandosi di fatto, per poi rivivere in un’occasione futura non più nuova.
The Dreamers ragiona proprio su questo elemento. Sul cinema come filtro della realtà, o meglio ancora, come specchio della realtà.
Ma non la realtà di allora, piuttosto quella personale e idilliaca di Bernardo Bertolucci e Gilbert Adair, lo sceneggiatore del film, nonché l’autore del romanzo dal quale The Dreamers è tratto, The Holy Innocents (di Adair, 1988).
Non è casuale la riflessione attorno allo specchio della realtà. Poiché il cinema di Bertolucci riprende alcuni temi cari alla Nouvelle Vague, la quale muoveva i suoi intenti proprio a partire da questo, come già era stato proposto dal Neorealismo.
La corrente francese rappresentava una svolta per il suo pubblico, che si recava nelle sale in cerca di una voce, un pensiero, distante dal modello cinematografico Hollywoodiano. Era la ricerca di una rottura degli schemi classici.
Anni dopo l’uscita di The Dreamers, gli stessi Bertolucci e Adair rifletteranno sul modo in cui la Nouvelle Vague aveva creato una sorta di cortocircuito.
Rappresentando sì il cinema come specchio dei tempi, sia dal punto di vista formale, che di contenuto; ma allo stesso tempo proponendo un modello di cinema non così distante da quello americano, anzi, fin troppo simile: proponendo scenari francesi e nuovi stili registici, fatti talvolta di imperfezioni e di intuizioni del tutto nuove, ma pur sempre d’importazione americana.
Bernardo Bertolucci dunque, da grande storico prima e da regista attento poi, rende The Dreamers, una vera e propria lezione di Storia del cinema, facendone allo stesso tempo il suo film più sentito e intimista, che racconta un periodo storico chiave per il cinema e l’evolversi della società e quindi della sessualità, tema molto caro a Bertolucci.
Il sessantotto quindi viene rappresentato nel suo clima rivoluzionario, caotico e conflittuale, vissuto da lontano (interessante ad esempio il dialogo a cena tra il padre di famiglia e i tre ragazzi, sull’importanza di vivere ed osservare la fase storica al di fuori, dall’alto), ma sotterraneamente presente e sul punto di esplodere, raggiungendo l’apice nel contatto, nell’incontro/scontro con la morte.
The Dreamers racconta dunque un momento storico di rivoluzione, di pensiero che evolve facendosi speranza e poi forte desiderio di cambiamento.
Nasce così un legame tra desiderio di rivoluzione e desiderio erotico, che trova nelle ombre dell’incesto e nella morbosità di un rapporto familiare e poi passionale, la chiave d’interpretazione di tutto ciò che esiste, seppur celato, sbagliato e immaturo in chi vorrebbe farsi protagonista di quella battaglia intellettuale, prima sotterranea e poi sempre più presente.
Una battaglia che Bertolucci principalmente combatte attraverso il sentimento della nostalgia, e quindi la memoria del cinema, l’uso di frammenti e sequenze di veri e propri capisaldi. Tutto questo diventa non soltanto un uso stilistico, ma anche e soprattutto un elemento chiave per alcuni sviluppi del film.
La cinefilia infatti assume il ruolo di trappola che genera effetti talvolta pericolosi. Lo vediamo sin dal primo incontro tra i tre ragazzi: Matthew (Michael Pitt), Isabelle (Eva Green) e Théo (Louis Garrel) intenti a risolvere un quiz sul cinema, che se non soddisfatto può portare ad una azione subita o perpetrata, quasi sempre legata alla sfera sessuale.
L’amore viscerale per il cinema unisce dunque un giovane ragazzo americano, Matthew, a due figure (quelle dei due gemelli Isabelle e Théo) temibili e contagiose, nel loro vivere l’unione, l’amore ed il legame che le unisce.
Ma anche l’amicizia, in modo del tutto estraneo alle logiche della società e poi del contesto sociale e politico di cui inevitabilmente fanno parte.
Le citazioni con cui Bertolucci riempie la sua lezione di Storia del Cinema profondamente intimista e sensuale, entrano a far parte del tessuto narrativo del film, che si arricchisce, diventando ancora più denso e attrattivo.
Da Gioventù Bruciata di Nicholas Ray a Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard, e poi La regina Cristina di Rouben Mamoulian, Luci della città di Charlie Chaplin, Bande à part di Jean-Luc Godard, e ancora Scarface di Howard Hawks e Freaks di Tod Browning.
Un interesse per il cinema maniacale, tanto da parte di Bernardo Bertolucci, quanto da parte dei tre ragazzi. Ma non per un semplice gioco cinefilo, utile più a comprendere l’epoca in cui i protagonisti si stanno muovendo e innamorando pericolosamente.
È comunque la genesi di un mondo, che per quanto piccolo, poiché isolato tra le mura di un appartamento borghese parigino, già esisteva, in una forma differente, solitaria. Vissuta sui e con i corpi dei gemelli, che trova una improvvisa e apparentemente perfetta mutazione e armonia con l’arrivo della terza figura.
Il cinema di Bertolucci d’altronde ha sempre ragionato attorno all’imprevisto che presentandosi improvvisamente può generare caos, violenza, inizio e fine.
Per quanto riguarda The Dreamers, ciò che la terza figura (Isabelle) porta nell’appartamento è anche il caso. Quello del fuoco e del momento che nasce al di fuori del copione. Dando avvio a una forma di vita reale e non più fittizia di questo rapporto magico e per certi versi illecito tra i ragazzi.
Il fuoco e i capelli di Isabelle richiamano quell’idea di cinema tanto cara a Bertolucci. L’idea della porta aperta di Jean Renoir e del rifiuto totale del reality show.
Concludendo, come Bertolucci stesso consigliava, è bene approcciarsi a questo film tenendo sempre a mente il suo titolo. I suoi ragazzi sono veri e propri sognatori, che fanno del sogno un’ultima forma di anarchia.
Sono terribilmente affamati di vita, erotismo e cambiamento e vivono nell’ebrezza di un idillio celato, scomodo per quanto vicino alla morte. Un racconto di formazione estremamente doloroso, poetico e sentito sulla cinefilia. Su di un momento specifico della giovinezza e poi sulla rivolta, individuale e collettiva, nei confronti di una grande illusione.
Così come Bertolucci si concentra sullo sguardo meravigliato e dalle grandi speranze di Matthew nella scena d’apertura, avviene lo stesso anche rispetto a quella conclusiva. In cui lo sguardo di Matthew viene privato di qualsiasi speranza. Volontà di reagire e di unirsi alla rivolta violenta della folla, ed è la fine, e forse l’inizio di una nuova ricerca individuale.