Torino Underground Cinefest 2021 – Per un Cinema Indipendente

Tommaso Paris

Settembre 12, 2021

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Il 9 settembre, verso mezzanotte, si è conclusa l’ottava edizione del Torino Underground Cinefest, quando dopo la cerimonia di premiazione del festival – Silenced Tree di Faysal Soysal, Dear Child di Luca Ammendola e My Planet di Valery Carnoy, rispettivamente della sezione lungometraggi, documentari e cortometraggi -, il film turco vincitore è stato sommerso dagli applausi di un pubblico reale, concreto e presente in sala, composto da persone tangibili che, insieme ad altri sconosciuti, condividevano un’esperienza collettiva.

Come se la magia del cinema fosse tornata.

Il Festival si è concluso all’Ambrosio Cafè, cinema imponente dalle luci al neon su Via Vittorio Emanuele II, di proprietà di un attore sulla sessantina che lo comprò dopo aver recitato in CentroVetrine. Chissà se, consapevole dell’avvenuta della pandemia, lo avrebbe preso lo stesso. Avere un cinema di questi tempi non è il massimo, e i primi giorni del festival ne hanno dato la prova, rivelando come sia difficile far alzare le persone dal divano con davanti una televisione e un telecomando che esaudisce i propri desideri, soprattutto aggiungendo la componente di mascherine, green pass e distanziamento che rompono quel carattere collettivo e popolare che si respirava prima della pandemia e che è all’origine dell’esperienza cinematografica.

Tuttavia, il Festival presenziava anche al Baretti, una piccola sala in San Salvario, uno dei quartieri più underground di Torino che rispecchia perfettamente l’identità di un festival che agisce nel sottosuolo, ricerca l’origine di una poetica, e viaggia oltre le regole di un’arte che, per sua nascita, dovrebbe essere a-sistematica, libera e sperimentale, poichè, come diceva Metz, il cinema è «un linguaggio senza lingua».

Indipendente” è la parola che, forse, è stata più pronunciata lungo questi giorni. E non è un caso. Ricevendo quasi 2800 film da tutto il mondo, e selezionandone 117 tra anteprime nazionali ed europee, il Torino Underground Cinefest è un festival che non prende sovvenzioni importanti, e sceglie di essere autonomo in senso totalizzante. Essendo nella sua struttura indipendente e distribuendo film indipendenti, è stato possibile per un certo sottosuolo mondiale venire alla luce, libero da categorie cinematografiche e necessitante di esprimersi, mostrando e non raccontando il proprio mondo.

E così noi spettatori ci siamo avventurati in una notte berlinese con Chasing Paper Birds, per approdare nei licei americani di Giants being lonely, fino a perdersi nella miseria brasiliana di Rodantes – premio della migliore regia a Leandro Lara perchè, a parole della giuria, «la regia è il vero viaggio del film. Una giostra che spereresti non finisca mai», e della migliore fotografia sempre a Adolpho Veloso «per aver saputo elevare la narrativa senza snaturare i contesti torbidi raccontati. Un maturo e consapevole utilizzo della potenza visiva, delle le forme, dei colori e dei controluce senza mai banalizzare in cartoline didascaliche».

Rodantes

La magia del cinema assume connotazioni così fiabesticamente reali che fuori dall’Ambrosio Cafè è passata una persona perfettamente uguale a Javier Botet, il vincitore del premio miglior attore per il ruolo di Javi nel film spagnolo Amigo di Óscar Martín, vincitore anche del premio alla miglior sceneggiatura. «La sua recitazione, sfaccettata, ma sapientemente misurata, raggiunge dei climax di cronenberghiana memoria, prodigandosi in contorsioni fisiche, capaci di trasmettere la sofferenza di un’anima imprigionata in un corpo e l’incapacità di raggiungere il suo unico scopo: la vendetta».

Analoga alla sua prova è quella della vincitrice alla miglior attrice: Susan Parvar del film iraniano Botox, «in quanto ha saputo rendere con un potente “minimalismo espressivo” e con surreale ironia la drammatica condizione di una donna, oppressa dal duplice peso della malattia mentale e della discriminazione sociale operata da una società patriarcale e maschilista».

Javier Botet in Amigo

Nell’eterno limbo tra finzione e realtà, tra film e documentario, da intermezzo si situa Angelo Bianco di Vincenzo Basso che riceve il Premio Speciale della Giuria «per l’impressionante lavoro documentaristico di raccolta delle testimonianze reali, poi sapientemente rielaborate a produrre una drammaturgia potente che, fra dialetto e letteratura, filosofia e racconto popolare, sembra partorire l’embrione di un “nuovo linguaggio espressivo».

Sarà proprio il documentario  a far immergere lo spettatore in spaccati di realtà, a scoprire pezzi di mondo nascosti, come la storia mai raccontata del proto-neorealista Adolfo Baruffi in Paternicillina – Story of a Forgotten Director.
Si rivelano, dunque, frammenti di vita senza filtri che mostrano fenomenologicamente il mondo: dalle montagne italiane e dalle pratiche tradizionali di vita di un pastore come in Zenerù – premiando Andrea Grasselli alla miglior regia perchè «riesce a inserire la poesia in un film, raccontando i contrasti sottili tra storia e modernità, tra tradizione e globalità, attraverso un silenzio che lascia spazio all’osservazione» -, fino ai centri di detenzione per immigrati in Australia con Stop the Boats di Simon V Kurian, vincitore del premio speciale poichè «esteticamente complesso, valido e intenso, arriva a spiegare che, alla base di scelte disumane, ci sia la costruzione dell’emozione più deterrente e pericolosa: la paura».

Tuttavia, il premio al miglior documentario se lo aggiudica Dear Child di Luca Ammendola, conducendo lo spettatore nella disperazione e nella criminalità brasiliana, mostrando «una realtà che colpisce tutti, che fa paura e richiama alla responsabilità e a quanto la mancanza di riferimenti e supporti possa portare a derive di disperazione e pericolosità tali. Dear Child è un documentario ricco e complesso che ha come fil rouge l’arte come volano per generare senso, riflettere su se stessi e stimolare la forza sostenitrice e trasformatrice del gruppo».

Analogamente, il vincitore del miglior cortometraggio, My Planet, «mostra ancora una volta come l’arte sia capace di spostare il nostro punto di vista in luoghi inaspettati e mostrarci il mondo esattamente dal lato opposto rispetto a quello che siamo abituati a vedere»

Dear Child

Con l’attenzione mediatica spostata verso il Lido di Venezia, verso i labirinti senza pareti dei red carpet e accecati dai costanti flash dei paparazzi, a Torino si è sentito prendere voce l’eco di una generazione, di un mondo sottostante, sconosciuto e libero, che aveva l’urgenza di emergere, di reclamare un proprio posto nel mondo, denunciando quello che gli è stato lasciato senza alcuna possibilità di scelta. Gli autori e le autrici, principalmente sulla trentina e quarantina, si sono rivelati una maggioranza frammentata che si è ritrovata a Torino, insieme a un pubblico, sempre più presente nel corso dei lunghi otto giorni, che si è sentito rappresentato, riconosciuto, ognuno a modo suo, attraverso lo sguardo di occhi provenienti da tutto il mondo, lasciando così ben sperare a una nuova ondata cinematografica di matrice generazionale.

La conclusione del festival avviene con la proiezione di Silenced Tree del regista turco Faysal Soysal, vincitore del miglior montaggio secondo Hervé Schneid  – montatore de Il favoloso mondo di Amélie – «per l’utilizzo di un linguaggio espressivo libero e indiretto, come la poesia, preferito ad una narrativa lineare» e, per la giuria, vincitore del miglior film «per l’importante questione morale che il film solleva a proposito del “senso di responsabilità” dell’individuo, e dell’artista, verso la collettività, per il poetico, struggente augurio che viene lanciato, affinché l’essere umano possa elevarsi e aspirare ad una nuova esistenza, fatta di empatia e consapevolezza, per averci insegnato che nessun sacrificio è mai vano, e che ogni fine porta con sé i germogli di un nuovo inizio».

Silenced Tree

Tuttavia, il festival non si è concluso con i titoli di coda del film vincitore, ma quando, tutti – dai numerosissimi giovani volontari ai critici cinematografici, dai proiezionisti agli spettatori, dagli autori agli organizzatori – hanno proseguito quel rito portato a termine tutte le sere precedenti: festeggiando, insieme. Chi con un mix di birra, san simone, genepì e cocacola, chi scrivendo una poesia impressionista, chi litigando sul futuro dei cortometraggi, chi bevendo per essere più sciolto con l’inglese per parlare con gli autori e le autrici presenti, chi demoralizzato dal mondo perchè l’ha conosciuto e chi spaventato e al contampo estasiato perchè lo sta per affrontare.

«Il festival è aggregazione, è una festa, una festa in cui si lavora e si incontrano persone. E sarà un successo perché ci permetterà di tornare a vivere, di ritornare a confrontarci, a fare cose insieme, in presenza, live. Il cinema, come la vita, deve essere live.»

(Mauro Russo Rouge)

Mauro Russo Rouge

Così parla Mauro Russo Rouge, direttore artistico del festival e regista di sei film indipendenti, un voyeur che i film li guarda e li realizza, come il recente Bloom up.

E ha avuto ragione. Dal 2 al 9 settembre, a Torino, c’è stata una festa fatta di vita, di passione e di cinema. Certo, in condizioni non pandemiche sarebbe stata altra cosa, personaggi come Hervé Schneid sarebbero potuti presenziare, il pubblico sarebbe stato maggiore; eppure, questa edizione del Torino Underground Cinefest è stata lo stesso una festa.

Una festa in una una città ricolma di festival artistici, talmente viva che l’acqua dalle fontane (o meglio, dai torelli) scorre eternamente, che trasuda talmente tanta di cultura che permette, oltre a trovare un vinile dei Rolling Stones a 5€ al Balon, di fumarti una sigaretta sotto casa di Nietzsche, Gramsci e Pavese.

Ringraziamo per questa festa Torino, e tutti coloro che ci sono stati. Ma ringraziamo particolarmente il fondatore del festival Mauro Russo Rouge, sempre affiancato dall’essenziale Annunziato Gentiluomo, coordinatore di produzione e ufficio stampa del festival che, attraverso la sua testata ArtInMovimento, è stato parola e voce del Torino Underground Cinefest.

Ma ringraziamo soprattutto il cinema per questi film indipendenti meravigliosi che, purtroppo o per fortuna, sono difficili da dimenticare.

Ci vediamo l’anno prossimo, con la nona edizione e, già ufficializzato, con nove giorni di festival, live e gratuito.

Leggi anche: Torino Underground Cinefest – Mauro Russo Rouge e il ritorno del Festival live a settembre

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