Milk – Il coraggio di essere se stessi
Che cos’è il diverso? Le definizioni a esso legate sono molteplici. Può significare orientarsi verso una direzione che sia altra rispetto alla normale prospettiva di insieme, oppure può evidenziare tutto ciò che non è uguale, il dissimile che si distingue per aspetto, natura o qualità. Ciò che conta, però, è notare che a questo termine sembra legarsi una concezione di pura varietà, positiva o negativa che sia, di cambiamento per un ipotetico unicum sociale. In altre parole si tratta della differenza a latere di uno stigma, in grado di scardinare le regole e le prerogative annesse.
Se volgessimo lo sguardo alla nostra realtà potremmo tranquillamente riconoscere il diverso ovunque. Alle volte tende persino a legarsi a noi stessi, alla nostra storia personale. Quante volte, infatti, ci siamo trovati in situazioni di estraneità con l’ambiente circostante, avvertendo una sensazione di “disagio” per il nostro essere non conformi alla convenzione che in quel momento vigeva?
Il diverso, nel suo viver-si, ha una pluripotenzialità, in quanto si mostra, si nasconde, è oggetto di critica, di denuncia, di etichetta. E nel suo costante diramarsi verso uno sguardo più sociale, da un lato sembra accettato, dall’altro respinto.
È un dato innegabile, purtroppo. Il rifiuto che intorno al diverso si compie è principalmente indice di una diffidenza, di un sospetto, giacché è proprio della diversità il portare-altro nel già stabilito, nel già deciso e detto. E, il più delle volte, il portare-altro è quasi sempre sinonimo di grande incognita, nonché complice di una ipotetica disomogeneità.

Il diverso ha quell’incredibile pretesa di scandalizzare, specie qualora non venga soggiogato, respinto o recluso. Scandalizzare equivale a minare l’ordine sociale costituito, scatenandovi tutte quelle reazioni opposte che spingono il dissimile verso il tentativo di ri-omologazione, col fine ultimo di impedire che questo non sovverta o non rompa il sopracitato ordine. È una reazione quasi fisiologica di una società incerta del proprio divenire, la quale si rifugia nel già trascorso per non pagare lo scotto di una cronica insicurezza.
Tale prospetto emerge con grande vigore nella pellicola diretta nel 2008 dal celebre regista Gus Van Sant, noto ai più per Will Hunting – Genio ribelle. L’opera di cui si fa menzione è invece Milk, un film biografico con protagonista Sean Penn, insignito proprio dal premio Oscar come miglior attore protagonista per questa pellicola. Milk ricostruisce la vita di Harvey Milk, il primo omosessuale dichiarato a essere stato eletto a una carica politica negli Stati Uniti.
Milk: una vita in lotta
L’opera è ambientata nel 1970, precisamente a San Francisco. Sono anni cruciali sia per la storia americana, giacché sotto la direzione del presidente Nixon è in corso la Guerra nel Vietnam e di lì a due anni sarebbe scoppiato lo scandalo Watergate, sia per l’affermazione identitaria della società, che ha visto già diramarsi il fenomeno hippie e anni prima l’emancipazione e l’autoconsapevolezza degli afroamericani. Mentre adesso è il momento di un nuovo “nemico”: l’omosessuale.

Harvey Milk, insieme al suo compagno Scott Smith, comincia a costruire la sua notorietà inaugurando un negozio di fotografie: la Castro Camera. Situato in un quartiere popolato prevalentemente da cattolici e irlandesi, ben presto il negozio diventa il ritrovo di un gruppo di amici che sostengono il neoattivismo di Milk, il quale comincia a proclamare la parità di diritti e di opportunità degli omosessuali. E divenendone sin da subito paladino, Milk si candida per la carica di consigliere comunale.
È chiaro che gli inizi siano nefasti per il giovane Harvey. Le sue idee sono contrapposte alla feroce resistenza di quella popolazione che vede nella sua idea un errore, una colpa ai danni di Dio. E sebbene tale ostilità impedisca qualsivoglia vittoria, durante le successive elezioni Harvey Milk viene eletto consigliere per il quinto distretto, inaugurando la propria carriera politica.
Una vera e propria boccata di ossigeno concretizzata da importanti successi, che vedono trionfare la parità di diritti a chi è definito come diverso per orientamento sessuale, pensiero e stile di vita. La simpatia, l’ingenuità e gli obiettivi di Milk, però, non sono condivisi da tutti.
Il senatore John Briggs, ad esempio, è l’artefice della Proposition 6, ovvero la legge che avrebbe permesso il licenziamento di tutti gli insegnanti per il loro orientamento sessuale. E, ancora, il conservatore Dan White vede in Milk un ostacolo da eliminare. Sarà lui a freddare il giovane consigliere il 27 novembre 1978 con due colpi di pistola, sparati all’interno del proprio ufficio.
Oltre il dato biografico: il racconto di un’affermazione identitaria
Benché faccia da padrone per l’intera pellicola, l’aspetto biografico è un valido espediente per narrare ciò che giace in profondità. Tale operazione non è mai semplice perché, di solito, un film che ha come oggetto la vita di una persona si limita, quasi sempre, a un racconto piatto e superficiale. Lo scopo di Van Sant, invece, è di andare oltre il semplice dato biografico.
A essere importante, infatti, è tutto ciò che la vita di Milk è riuscita a trasmettere ai posteri. Harvey ha votato tutto se stesso all’attività pubblica e politica, lottando per un valido ideale in cui credere. E il punto di partenza per questa battaglia è proprio la rispettiva condizione di omosessuale, di “straniero” nato e vissuto all’interno di una società costruitasi sotto l’ombra della convenzione e del bigottismo.

Harvey Milk appare, nella sua essenza, come altro, un diverso che l’omologata e omologante società di massa non accetta o che, in alternativa, prova a “correggere”. Vista in questa prospettiva, l’omosessualità si mostra come una creatura disomogenea dai contorni instabili, che merita di essere relegata mediante il silenzio, l’umiliazione o la morte.
All’interno della società di massa vige un ordine che non può mai essere destrutturato o, per usare un’altra terminologia, sporcato. L’idea di una società pulita è la visione di uno stato di cose perfette, dove non occorrere aggiungere o togliere nulla. E uno stato così altamente costruito va scrupolosamente protetto da ogni genere di pericoli.
Milk rappresenta, per questa tipologia di società, una minaccia.
Il sociologo Zygmunt Bauman, in uno degli ultimi saggi apparsi postumi dal titolo Il disagio della postmodernità, focalizza l’attenzione su questa problematica che, silente, affligge i tempi nei quali viviamo. Bauman, infatti, mette in evidenzia che se quel diverso, quello sporco, quella indelebile macchia tende a non svanire, nonostante i ripetuti tentativi di “lavaggio”, l’unica alternativa da adottare è disfarsene.
Ciò che Harvey Milk compie è includere, tramite la concessione di diritti, dentro un ordine già formato e costruito, tutti coloro che vivono ai margini, scatenando la reazione dei depositari dell’ordine, i quali non accettano la reciprocità e la condivisione di tali diritti ottenuti per natura.
Guns Van Sant mette in evidenzia che la lotta contro l’omosessualità si muove principalmente sul piano giusnaturalista, specificando che i diritti concessi per mano divina non posso essere allargati a coloro i quali sono contro la natura di Dio. Integrarli equivale a una blasfemia.

L’omosessuale fa vacillare la scala sulla quale poggia la sicurezza della vita quotidiana. Diventa colui che è in grado di mettere in discussione quasi tutto ciò che vige all’interno del gruppo sociale. La richiesta, da parte del senatore Briggs, di smascherare i presunti docenti omosessuali rientra nella degradante e degradata mentalità conformista, la quale ricerca e annuncia tutte le varie anomalie del sistema, con lo scopo di tracciare sempre nuove linee di confine.
Per questo la risposta di Milk è da sempre già decisiva per l’uso che fa della parola, in grado di arrivare a tutti. Egli è un attivista, un oratore. Il suo slogan: «il mio nome è Harvey Milk e sono qui per reclutarvi tutti» funge da importante mezzo per la trasmissione di determinati valori e ideali. Perché, in fondo, tra i tanti punti da mettere in evidenzia, la battaglia di Milk è anche idealistica, oltre che umana.
Gli omosessuali sono esseri umani la cui visione di amore non è distorta, bensì naturale. Ed essendo tale, il diritto che hanno di amarsi è del tutto legittimo, quindi coerente con quella visione del singolo inteso sia come uomo sia come cittadino libero e felice.
Secondo Jacques Derrida, l’umano costituito dal moderno umanismo filosofico è ancora troppo subliminalmente virile, etnico, nazionale, ecc. L’errore della moderna concezione sull’essenza dell’uomo e sui suoi diritti è stato l’aver lasciato troppo dell’identità “strutturata” e “insidiata”. Proprio per tale ragione, questo concetto dovrebbe essere riconsiderato e sottoposto a una valutazione critica.
Salvare la possibilità di emancipazione è un compito, oltre che filosofico, anche politico. Harvey Milk questo lo sapeva, ha combattuto per esso ed è morto. Bisogna allora proseguire dove lui e gli altri si sono interrotti, per vivere in un mondo più giusto e, si spera, diverso.