The Last of Us 1×02 – La familiarità della fantascienza

Gianluca Colella

Gennaio 26, 2023

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Dopo la visione del secondo episodio di The Last of Us, un interrogativo emerge con precedenza: se la pandemia da COVID-19 non si fosse verificata, alcuni aspetti della storia sarebbero stati sottolineati con la stessa insistenza?

In altre parole, una scena come quella introduttiva, che ruota intorno alla figura dell’esperta e al suo parere scientifico rispetto alla diffusione del Cordyceps fungus nella specie umana, sarebbe stata trattata con la stessa inquietante serietà? E soprattutto, la sensazione d’inquietudine provata in seguito a quella scena, sarebbe stata davvero così familiare senza il COVID?

E così, qualche ora dopo lo sviluppo della storia del gioco in versione cinematografica, nel momento in cui Joel, Tess ed Ellie si affacciano nella zona infestata dai Clicker, siamo qui ad analizzarne il senso, perché della sua estetica e della sua profondità poco può essere commentato.

Che senso dare a quella che HBO ci propone come la più in-attuale delle riproposizioni seriali di un videogioco nel momento storico contemporaneo, il primo apparentemente normale (solo ed esclusivamente dal punto di vista sanitario) dopo tre anni caratterizzati da restrizioni e attenzioni specifiche destinate alla diffusione di un virus “nuovo”?

The Last of Us – La natura trova la sua via

the last of us
Cordyceps fungus at work in real world

Credo che la curiosità abbia risvegliato in tutte e tutti l’esigenza quasi infantile di cercare su Google maggiori informazioni sul Cordyceps, il fungo protagonista del contagio che affligge il mondo in The Last of Us. I videogiocatori lo sapevano già, ma quell’agente è reale, estremamente reale.

Non siamo dunque di fronte a una sconosciuta o fantascientifica fonte d’infezione, come in The Walking Dead.

Sebbene anche questa sia una pandemia fantascientifica, i suoi presupposti biologici ed evolutivi sono a noi abbastanza vicini. Forse è per questo che il terrore della professoressa universitaria ci appare così comprensibile. E forse perché Jakarta poteva facilmente essere sostituita da Wuhan, possiamo riconoscere i prodromi di un’apocalisse annunciata.

Nella realtà (fortunatamente e viene da aggiungere un macabro “per ora”), il Cordyceps colpisce solo insetti.

Nel secondo episodio “Infected”, Ellie, Tess e Joel hanno rischiato la vita seriamente per la prima volta in un viaggio che durerà alcune simboliche settimane in un Nord America governato da involucri umani guidati da questo parassita senziente, inquietante e inevitabilmente mortifero.

Di oggi è invece la notizia che il Doomsday Clock, il conto alla rovescia verso la fine del mondo, si è avvicinato di altri dieci secondi alla mezzanotte. Da cento a novanta secondi, quindi.

Ora non si parla di funghi apocalittici, ma ci sono guerre, violenze, ingiustizie e una buona dose di perverse devastazioni ambientali al centro di questo countdown, in un calderone che di luminoso e incoraggiante presenta ben poco.

L’articolo, ripeto, dovrebbe affrontare la perfezione estetica della fotografia, dei colori, delle inquadrature della serie. Potrebbe soffermarsi sulla timida e al tempo stesso potentissima versione primordiale della relazione tra Ellie e Joel, che si guardano male, a stento si sfiorano, proprio come succede nel gioco a questo punto.

L’articolo potrebbe soffermarsi sul fantastico fatto che il 2023 è iniziato con questa serie sublime, che scena dopo scena sta ripagando le alte attese riposte. Ma non lo fa, fa anche altro. Perché, sebbene non è la paura il sentimento che si vuole trasmettere come prevalente, la paura inevitabilmente serpeggia, e opprime gli animi di coloro che sanno.

The Last of Us – L’inquietante estraneità della serie

The Last of Us – Bella Ramsey è Ellie

Il Perturbante è un saggio di Freud del 1919 che in diversi articoli, dal 2018 a oggi, scritti per Arte Settima ho citato diverse volte. Le ragioni di questa scelta sono tante: mi piace, lo trovo estremamente vero ed è una chiave di lettura critica e allegorica che si applica perfettamente a diverse opere cinematografiche.

Non a caso, fa parte dei saggi sull’arte scritti dal padre della psicoanalisi.

Se serie come The Walking Dead oppure film come Joker o Taxi Driver sono perturbanti perché raccontano di un mondo e di un’umanità perversi ma non così lontani dalla nostra condizione attuale, così come Apocalypse Now e Avatar 2 sono perturbanti nella rappresentazione della capacità mortifera e distruttiva dell’uomo rispetto all’ambiente, allo stesso modo The Last of Us è perturbante.

Nell’accezione freudiana, perturbante (Un-heimliche) è qualcosa che in origine era familiare e in un secondo momento è stato rimosso, e in virtù di questa antica sensazione di familiarità, suscita un vago e incomunicabile sentimento d’inquietudine.

Questa serie (e questo sublime videogioco) esercitano il risveglio di quest’inquietudine. La portano a livelli più alti, cristallizzandola nei cuori e nelle menti degli spettatori affezionati e dei neofiti, obbligandoli a riconoscere che quello che si vede potrebbe succedere (che non è così remoto).

Non è nostra intenzione essere apocalittici. Sono anni che il nostro intento è opposto: proviamo a diffondere arte, cultura, bellezza, sentimenti associati al valore sociale della condivisione del significato soggettivo e oggettivo dei capolavori della storia del cinema.

A volte ci riusciamo meglio, altre meno. A volte abbiamo pubblicato recensioni, a volte dialoghi, a volte news. Ci scusiamo per le volte in cui leggere un nostro articolo non è valsa la pena.

Quello che funziona (e vuole funzionare, parlando di questa serie in questo modo) non è un’ossessiva preoccupazione per le sorti del futuro dell’umanità, ma il suo contrario: fermiamoci, contempliamo quanto possa essere bello darci il tempo di prenderci cura gli uni degli altri.

Perché quando il prossimo Cordyceps colpirà, potrebbe essere troppo tardi per farne una serie magnifica con Pedro Pascal e Bella Ramsey, e potrebbe essere troppo tardi per finire il gioco. Perché potrebbe essere reale, troppo reale.

Questa piccola, microscopica, infima consapevolezza, non è altro che l’auspicio dell’ennesima tappa di un parziale e sempre incompleto lavoro di civiltà. Facciamo etica se ci soffermiamo sull’estetica: attraverso l’arte proviamo a veicolare messaggi che si propongono di sublimare i nostri traumi.

Ci vediamo dopo il terzo episodio.

Leggi anche: The Walking Dead – L’evoluzione dell’intersoggettività

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