«Il mondo è diventato una stanza rumorosa, il silenzio è il luogo magico in cui si realizza il processo creativo».
(David Lynch)
Realtà e fantasia raccontano e si raccontano attraverso il cinema di David Lynch, sintetizzando universi e registri apparentemente inconciliabili. Certi aspetti dei suoi film sono limpidi, altri oscuri desideri che rappresentano un faticoso compromesso tra processo creativo e razionalità libera.
Con la sua visione unica e irripetibile, il regista americano contemporaneo suscita un fascino difficilmente spiegabile, caratterizzato da una poetica indeterminata e disorientante.
È opinione di molti che le opere di Lynch affondino parzialmente le loro origini nei contributi che Sigmund Freud ha dato alla psicologia. L’emancipazione dei processi psichici umani dal dominio della coscienza e l’esistenza della realtà soggettiva sono, infatti, due degli elementi condivisi sia dal padre della psicoanalisi che dal regista americano.
Nel cinema di Lynch, pensieri indefiniti trovano il modo di cristallizzarsi in immagini ambigue, producendo un paradosso che la semplice visione non può risolvere: così come la psicoanalisi freudiana (nella clinica e nella pratica) può essere compresa solo attraverso la figura retorica della metafora, nello stesso modo allegorie e simboli sono uno dei pochi modi per sintonizzarsi con l’arte di Lynch.
Lynch: le immagini dall’Io allo schermo

Eraserhead
Nella psicoanalisi, l’immagine è un concetto ambiguo: pur essendo largamente usato, esso è spesso sottovalutato, oppure citato solo in relazione alle sue corrispondenze con i processi psichici inconsci e in relazione al ruolo della libido.
Di conseguenza, sistematizzare un discorso analitico che rifletta questa ambiguità è molto complesso, e lo è ancor di più se l’intento è quello di costruire un approfondimento sull’immagine psicoanalitica in relazione a Lynch.
Eppure, forse proprio questa difficile impresa può garantire precisazioni funzionali per l’interesse cinematografico e artistico (e dunque simbolico) che circonda questo tema.
«Il regno della fantasia, per realizzare i propri effetti, deve realizzarsi sull’impossibilità della verifica».
(Sigmund Freud)
Queste parole provengono da un fondamentale saggio scritto da Freud nel 1919, Il perturbante: si tratta di uno scritto relativo all’arte, all’estetica e al rapporto che l’inconscio dell’uomo stringe con questi particolari domini espressivi.
Non sembra particolarmente necessario riconoscere in questo primo fattore un elemento di vicinanza con David Lynch, considerato che avere familiarità con il suo cinema significa costitutivamente essere in contatto con mondi governati dall’inquietudine.
Ambienti, personaggi e trame del cinema del regista americano possono essere analizzati sia dal punto di vista del significato manifesto che latente: dal più piccolo dettaglio, alla cornice più ampia, tutto passa da un modo unico di rappresentare la realtà.

L’apparato psichico secondo Freud (1932)
Quella del fantasticare è un’attività del pensiero ben nota a Freud, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo infantile; poiché nell’arte i due principi dell’accadere psichico (quello di realtà e quello di piacere) s’incontrano, allora il mondo della fantasia non può essere ignorato perché diventa una trasformazione essenziale del mondo oggettivo, che assume per il soggetto un significato terrificante e stupendo.
Il modo più immediato attraverso cui l’Io può accogliere un’intensità così ambivalente è quello dell’immagine: essa appare, viene percepita a un livello superficiale e profondo, ma quello che più conta è che un significato inconscio germoglia grazie a essa, ben più importante rispetto a quello conscio.
Sin dall’inizio, la psicoanalisi insegna a coloro che la apprezzano il valore dell’illusione: poiché la realtà soggettiva ha un’importanza maggiore di quella oggettiva, l’uomo deve necessariamente scontrarsi con le sue rappresentazioni del mondo; si tratta di un labirinto insopportabile eppure inevitabile, che David Lynch ha provato a esplorare attraverso il suo cinema.
A partire da Eraserhead (1977), «un sogno di cose oscure e ingarbugliate», questo concetto è chiaramente espresso dal regista. Questo cult pone questioni senza mai insinuare che delle risposte arriveranno. Lynch utilizza il tempo e la funzione del sogno in maniera chiara, esprimendo le sue idee attraverso suggestive rappresentazioni di un mondo onirico e incomprensibile.
Immagini come quelle di questo film servono sia al cinema che alla psicoanalisi: al cinema, perché propongono elementi incomunicabili per comunicare il sogno stesso; alla psicoanalisi, per offrire una rappresentazione alternativa al testo scritto dei fenomeni inconsci che governano la psiche.
Lynch: immagini di nessun luogo

Twin Peaks – La Stanza Rossa
Una volta presentate le caratteristiche del sogno secondo Lynch, questa via regia per accedere all’inconscio trova nelle immagini cambiamenti funzionali per presentarsi in una forma nuova, più consona allo schermo cinematografico.
In psicoanalisi, è noto che ogni modello del funzionamento psichico sia solo una parziale rappresentazione speculativa della realtà, e ciò è tanto più vero per chi psicoanalista non è, come Lynch. Eppure, la confusa oscurità dei quadri che circondano i suoi personaggi ha qualcosa di magico e difficilmente riproducibile.
Tutto ciò che è interno trova nei film del regista americano il modo di apparire, spesso nel modo più inquietante e ambiguo. Ogni immagine è costruita in modo tale da svolgere una funzione simbolica, perché contiene un significato che lo spettatore deve interpretare: Lost Highway (1997), Mulholland Drive (2001) e Inland Empire (2007), ovvero i tre film che costituiscono la trilogia dell’onirico sono una testimonianza particolarmente alta di questo principio.
«Probabilmente il futuro stabilirà che l’importanza della psicoanalisi come scienza dell’inconscio oltrepassa di gran lunga la sua importanza terapeutica».
(S. Freud)
L’importanza di questa frase non sarà mai compresa fino in fondo: il contributo di Freud alla vita psichica e culturale individuale e collettiva trascende la creazione della psicoanalisi intesa come psicoterapia.
Attraverso la continua tensione verso l’elaborazione dei contenuti mentali inconsci, infatti, ogni prodotto umano (a maggior ragione quelli artistici) contribuisce a realizzare quel faticoso e interminabile lavoro di civiltà (Kulturarbeit) che accresce l’intelligibilità sul reale.
Le immagini di Lynch contribuiscono senza dubbio a questo sforzo.

Mulholland Drive
I suoi film riescono a raccontare, senza parlare, frammenti di realtà, ogni immagine è vincolata a un significato che va interpretato. Le emozioni sono le nostre reazioni alla scena in cui ci perdiamo: essa ci parla senza parlarci, usa l’allegoria e il simbolo per penetrare nella nostra psiche.
La vita artistica di Lynch permea ogni sua opera: questo significa che in ogni film da lui diretto è possibile rintracciare (anche parzialmente) gli elementi che lo caratterizzano. Questa ricorrenza rende il regista estremamente coerente, metodico e se possibile ancora più apprezzabile.
«L’arroganza della coscienza che, per esempio, rigetta i sogni con leggerezza, generalmente è causata da un forte apparato protettivo che li custodisce, impedendo ai complessi inconsci di farsi strada, rendendo difficile convincere gli interlocutori dell’esistenza dell’inconscio e spiegare nuovamente ciò che la loro conoscenza cosciente rifiuta».
(S. Freud)
È il 1910 e Freud pronuncia queste parole durante una conferenza alla Clark University; il tentativo di istituzionalizzare il suo insegnamento in un senso scientifico sposa perfettamente gli ideali artistici di Lynch, espressi in maniera magistralmente autobiografica nei suoi film.
Proprio questa sfumatura autobiografica colloca le sue narrazioni in nessun posto in particolare, questo spazio-tempo sospeso tra la sua mente e quella dello spettatore che lo accoglie.
L’intento culturale simbolico si realizza grazie a questa sintonizzazione tra la vita interiore di Lynch e quella dello spettatore, ma questa sintonizzazione non sarebbe possibile senza quelle immagini così irrimediabilmente sature di elementi soggettivi, siano essi affettivi, inconsci o razionali.
Diventando forze creative capaci di trasformare il Sé, queste immagini aderiscono all’identità del soggetto, cambiando il suo senso d’identità. Un intento mitopoietico unico nel suo genere, che Lynch realizza attraverso il suo linguaggio tipico, che esprime emozioni senza usare parole.