
Attacco dei Giganti – Le gioie violente hanno violenta fine
«Quel giorno l’umanità ricordò il terrore di essere controllata da loro… L’umiliazione di vivere come uccelli in gabbia».
(Eren Jaeger)
La trama
È facile pensare che sia la vista il catalizzatore più potente a far affiorare i ricordi. Niente di più sbagliato. Il senso più potente in questi casi è l’olfatto, probabilmente perché il più vicino all’ippocampo, dove vengono registrati i ricordi. Più delle immagini, gli odori risvegliano in maniera più nitida sensazioni e avvenimenti lontani nel tempo. Proprio come quel giorno, quando il gigante sorridente divorò mia madre davanti ai miei occhi.
Ricorderò per sempre l’odore della paura, quando il titano colossale si affacciò oltre le mura e vi aprì un varco facendo breccia nel Wall Maria, provocando un’invasione di giganti. Poi venne l’odore di macerie e distruzione, dovuto al crollo degli edifici minuziosamente costruiti e distrutti in un batter d’occhio dall’incedere costante e inarrestabile dei giganti.
Case distrutte come la mia, che si trasformò in una trappola per mia madre dopo la caduta del tetto, rompendole entrambe le gambe e imprigionandola inerme. Ricordo l’odore di morte che accompagnava il gigante sorridente che, con il suo avanzare lento e costante, si dirigeva verso la mamma, mentre il Signor Hannes portava in salvo me e la mia sorellastra Mikasa. Maledetto Signor Hannes, era corso incontro al gigante per affrontarlo, ma una volta vicino la paura ebbe il sopravvento e preferì usare noi bambini come pretesto per fuggire e lasciare mia madre come sacrificio per tenere impegnato il gigante.
Ricordo il momento in cui la mamma venne divisa in due dal morso feroce e violento del gigante sorridente, e ricordo l’odore della rabbia che mi assalì dall’interno.
E mentre mi allontanavo tra le braccia di quel codardo del Signor Hannes, tra la rabbia, la polvere e le lacrime, mi ricordo dell’odore più potente e profondo dal quale fui pervaso, e che mi accompagna ogni giorno dandomi un senso per andare avanti: l’odore della vendetta.

Dialoghi immaginari
Seduti introno a un tavolo di un bar ci sono tre persone che stanno discutendo di cinema. Una di esse ha chiare origini italiane e un mento prominente: la sua teoria per scrivere una buona sceneggiatura è di concentrarsi sui dialoghi, profondi e significativi, e su una buona dose di violenza fisica, spingendosi fino al pulp.
L’altra persona, un tipo più minuto e schivo con due occhi piccoli e furbi, sostiene invece che occorre stimolare psicologicamente lo spettatore per renderlo più avvinto dall’opera.
La terza persona, un giapponese di nome Hajime Isayama, resta più che altro in disparte di fronte a questi due mostri sacri, ma prende copiosamente appunti sul suo blocco. Da questo incontro immaginario, Isayama avrà pescato a piene mani per la sua opera, dove mescola sapientemente i principi del cinema di Quentin Tarantino e quelli di Roman Polansky, in un mix in cui fa da collante il talento e il passato del fumettista giapponese.
La duplicità della violenza
Chi si approccia a questa opera non può ignorarne la caratteristica principale: la violenza. Liberamente ispirato al cinema pulp di Tarantino, Isayama dipinge vistosamente di rosso vivace i numerosi scontri della narrazione; scene crude di braccia mozzate si sovrappongono a copri dilaniati e ossa spezzate, in una violenza fisica che devasta il lettore, scuotendolo con le immagini forti e realistiche che contraddistinguono lo stesso Tarantino. Le brutali e ripetute uccisioni dei personaggi principali alla storia coronano il tutto, dandoci quel senso di inquietudine e soggezione che lasciano intravedere le stigmate del capolavoro.
Ma la violenza si spinge parallelamente anche su di un altro livello, quello psicologico. Come nei capolavori del maestro Polansky, il terrore corre sul filo dell’inquietudine, dovuta a un opprimente senso di impotenza. Di fronte allo sguardo perso e all’apparente autismo dei giganti è lecito provare un senso di vuoto e disperazione, in linea con i protagonisti nella loro battaglia per non soccombere di fronte a un fato avverso e a un nemico superiore.
Isayama ci mette del suo, basti pensare al fatto che l’idea di creare un manga sui giganti gli è venuta osservando il comportamento di un ubriaco all’interno dell’internet caffè dove lavorava, arrivando alla conclusione che l’essere umano sia in assoluto l’animale più spaventoso del mondo. L’ispirazione per l’ambientazione, poi, gli è stata data dal luogo in cui è cresciuto, una città rurale giapponese circondata dalle montagne: quelle montagne che da bambino avrebbe voluto valicare per andare alla scoperta del mondo esterno, diventano le mura delle tre città in cui è confinata la popolazione umana, ed Eren è lui stesso alla ricerca dell’ignoto.
Inoltre Isayama, per Attacco dei Giganti si è ispirato a diverse figure per ricreare i movimenti dei giganti: per il Gigante Eren si è ispirato a Yushin Okami, un lottatore di arti marziali, mentre per il Gigante Corazzato ha copiato le sembianze di Brock Lesnar, un wrestler professionista apparso spesso in tv.

Violenza genera violenza
Isayama scrive una storia matura, dove i ragazzi che crescono e si sviluppano in un contesto del genere maturano una personalità che è diretta conseguenza del clima di terrore a cui sono sottoposti fin da piccoli: la forte volontà di distruzione (non per forza verso i giganti) si sovrappone alla psicologia disperata e violenta contro le istituzioni e le regole che queste vogliono imporre.
Così, quella che è una storia di sopravvivenza dell’umanità per non soccombere si rivela un racconto dove è centrale il tema della battaglia, dell’uomo contro sé stesso che, al di là della vera natura dei giganti, rappresenta il vero pericolo.
Da sempre il vero nemico dell’uomo è stato l’uomo stesso perché, se è vero che l’odio genera continue guerre, è anche vero che l’uso della violenza genera solo altra violenza, e se le nuove generazioni si adattano a questo clima si finisce per essere risucchiati in una spirale che può culminare solo con un’implosione.
Bonus track de Attacco dei Giganti:
- Muse – Uprising – 4:12
- Pink Floyd – Another brick in the wall (pt. 2) – 4:02
- Cranberries – Zombie – 5:16




