Nosferatu: che fine ha fatto la modernità?

Sofia Racco

Gennaio 9, 2025

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Black Phillip: «Wouldst thou like to live deliciously?»

(The Witch, 2015)

Nosferatu: «I am an appetite, nothing more»

(Nosferatu, 2025)

Una danza macabra di spiriti, di pensieri che diventano invocazioni, di sangue che si mescola con le ombre e si fa corpo: il Nosferatu di Robert Eggers è una traduzione contemporanea delle ombre del cinema delle origini e di tutto il folclore che lo precede. E in quanto rilettura moderna contiene dentro di sé anche la nostalgia per il passato e il malinconico tentativo di riportarlo in vita, strapparlo alle sue ombre e renderlo presente.

La stessa “malinconia” che affligge Ellen Hutter (Lily-Rose Depp), figura femminile che attraversa tutte le rielaborazioni del mito del Conte, dalla Ellen del film di Murnau del 1922 alla Lucy di Isabelle Adjani del Nosferatu il principe della notte (1979) di Werner Herzog. La malinconia di tutte le Ellen dei vari Nosferatu non ha nulla a che fare con una quieta tristezza, al contrario è un tumulto viscerale, un’inquietudine sotterranea pronta ad esplodere e a riversarsi all’esterno, a rendersi manifesta piegando a sé il corpo.

Eggers decide di mettere in scena una Ellen che si contorce in movimenti teatrali, i cui profondi conflitti interiori si scontrano attraverso il suo corpo, prostrato dai violenti spasmi causati dall’ombra del demone che la possiede da lontano. Un demone che ha evocato nei momenti di profonda tristezza e solitudine, come racconta lei stessa.

Il Nosferatu di Eggers si apre proprio con una giovane Ellen che nella notte evoca una presenza che la conforti: «Come to me. Come to me».

La mostruosità dell’immortalità

Ellen Hutter in una delle scene iniziale di Nosferatu
Ellen Hutter con in mano un mazzo di lille

Una prima grande differenza che separa questo Nosferatu dalle due grandi opere a lui antecedenti: qua vediamo Ellen nell’atto di evocare il demone, mentre risveglia la creatura con il richiamo del suo desiderio e del suo tormento. Un desiderio che dalla parola diventa corpo, presenza ossessiva che travalica quel confine fasullo e ingannevole che pretende di separare la vita dalla morte e che di quest’ultima porta su di sé tutto il carico orribile, indicibile, osceno.

L’innovazione del Nosferatu di Eggers è di aver scavato nel passato e nei suoi miti e di aver estratto la materia grezza che si nasconde sotto tutti gli strati di racconto e di rimosso: viaggiando indietro nel tempo tra pallide creature quasi incorporee e prive di desideri, principi della notte malinconici e solitari che corteggiano la morte e vampiri carismatici e seduttori, Eggers riesuma il cadavere vivente del mostro ripugnante che terrorizza i popoli con la sua brama indistinta di sangue umano.

Tutto questo si concretizza nell’aspetto poco ortodosso del conte di Orlok interpretato da Bill Skarsgård: una creatura imponente e terrificante, che porta sulla pelle sbrindellata tutti i segni della decomposizione. Rimane ben poco di umano in questo Nosferatu che non ha né i modi raffinati del nobile come il suo antenato degli anni Venti, né la poetica malinconia del Nosferatu herzogiano desideroso di amore: rimane la voracità del mostro e il suo sfrenato e ossessivo desiderio carnale.

Non è di certo un mistero che la componente sessuale sia parte integrante della simbologia del vampiro: da Carmilla di Le Fanu e Dracula di Stoker in avanti, la brama di sangue del vampiro e la sua predilezione per il collo di giovani fanciulle suggerisce un sottotesto erotico malcelato sull’intreccio tra sessualità (soprattutto femminile) e mostruosità, desiderio e abiezione. In questo Nosferatu la componente sessuale sotterranea diventa una tematica esplicita e regola la dinamica tra Ellen e il Conte Orlok, un rapporto in cui il desiderio si muove su percorsi accidentati e contradditori.

Cos’è il Conte Orlok? Un amante, un carnefice, o la personificazione di tutte quelle fantasie e pulsioni recondite le quali, rimaste senza nome e senza forma per troppo tempo, hanno assunto quella del mostro?

Qualunque cosa sia, è reale: su questo il Nosferatu di Eggers non ci permette di avere alcun dubbio. L’ombra che si insinua nel corpo di Ellen e si staglia sui tetti delle case è reale, così come l’epidemia di peste che scatena sulla città di Wisburg. Ma la realtà del demone risponde alle leggi indecifrabili di un mondo diverso da quello degli umani, che esiste e si riversa in esso ma rimanendone estraneo: una dimensione che è impossibile da spiegare attraverso le regole e i valori degli uomini o con la logica ferrea dell’uomo di scienza.

Nosferatu: scienza, esoterismo e corpo femminile

Lily Rose Depp nei panni di Ellen Hutter in Nosferatu
Lily Rose Depp nei panni di Ellen Hutter in Nosferatu

La malinconia irrequieta di Ellen da sintomo della condizione della donna dell’epoca come prigioniera della propria casa, diventa un terreno di confutazione della realtà e un portale per l’aldilà, uno strumento di rifiuto e di liberazione di una realtà troppo angusta e opprimente. Ma la sensibilità di Ellen e il suo contatto privilegiato con un mondo paranormale, in cui gli spiriti sono specchi impietosi degli istinti umani, non possono essere accettati e integrati nel sistema di conoscenze di una società come quella europea di metà Ottocento, improntata al razionalismo e alla fede assoluta nella scienza come disciplina in grado di spiegare ogni fenomeno.

Nel Nosferatu di Eggers questo conflitto tra razionale e irrazionale, tra scienza e occulto, diventa uno dei temi centrali, in perfetta coerenza con gli stilemi del racconto gotico: se nel Nosferatu di Herzog troviamo un Van Helsing che sminuisce la conoscenza di Lucy etichettandola come superstizione e si ostina a voler trovare una soluzione al mistero della calamità che ha colpito la cittadina attraverso il metodo scientifico, in questo Nosferatu la battaglia tra scienza e misticismo si gioca sul corpo della donna.

Rispetto alle versioni precedenti del racconto, Eggers mostra esplicitamente i metodi con cui viene trattata la sofferenza di Ellen dagli uomini di scienza dell’epoca i quali, incapaci di spiegare il male che affligge la donna, rispondono con metodi violenti e repressivi: sedandola, legandola, ignorando e sminuendo le sue obiezioni e preoccupazioni.

Il corpo di Ellen diventa il fulcro di tutte le paure, nevrosi e ossessioni della società ottocentesca: una società sospesa a metà del salto tra il mondo antico e quello moderno, tra arcaicità e progresso, e che in questo stato di liminalità non può che essere terrorizzata.

E di quel terrore si cibano tutti i mostri, demoni e spiriti che popolano la letteratura gotica del periodo, e che Eggers riversa nella costruzione estetica del suo Nosferatu: caratterizzato, come ogni suo film, da una minuziosa ricostruzione storica e antropologica degli ambienti, dei costumi e del linguaggio, dal punto di vista formale è dominato da colori freddi in cui le figure emergono come statue cesellate dai contorni ben delineati e da una fotografia raffinata in cui le diverse sfumature del buio costruiscono un quadro di questo mondo al crepuscolo.

Nosferatu e l’oscurità che si fa carne

Conte Orlok in una scena di Nosferatu

Sebbene questo Nosferatu possa non spiccare per soluzioni particolarmente originali e forse abbia sofferto un po’ della grande riverenza del regista nei confronti del suoi illustri predecessori, dai quali attinge a piene mani con diversi riferimenti visivi di gusto espressionista sparsi per il film, Eggers riesce a maneggiare il mito del vampiro, a riaggiornarlo e allo stesso tempo a proseguire il discorso che porta avanti con la sua filmografia: il cinema di Eggers è un cinema disseminato di richiami a una dimensione altra che si fa lentamente strada nel mondo terreno, si insinua nell’interiorità e si impossessa della carne.

O è forse un mondo che conosciamo molto bene ma che abbiamo dimenticato, relitto sepolto dalla modernità di un’esistenza arcaica e occulta, di cui conserviamo il ricordo solo nei recessi più oscuri della nostra memoria ma verso cui ci sentiamo fatalmente attratti: questa è l’ambiguità in cui si dipanano le immagini di Eggers.

«Il male viene dall’esterno o dall’interno?» è la domanda centrale in Nosferatu ma è anche l’ossessione di tutto il cinema di Eggers: di che materia sono fatti i fantasmi che ci ossessionano?  Di cosa si nutrono i demoni che si nascondono negli interstizi delle nostre case? La proposta di “vivere deliziosamente” unendosi al Diavolo deriva dall’esterno, dalle fauci caprine di Black Phillip: ma non è anche il desiderio sopito di Thomasin che prende corpo davanti a lei? E il «Io sono un appetito» con cui Nosferatu risponde alle accuse di Ellen prima di ricordarle di essere stata lei a risvegliarlo, non è forse la manifestazione esterna dell’interiorità di Ellen nella sua forma più primordiale?

Per cercare di navigare nel mare in tempesta di queste domande e di scandagliare le radici del male, del bene e di tutto ciò che sta in mezzo, le ombre devono farsi corpi e gli spiriti devono tramutarsi in carne lacerata dalla morte e dalla sete, che sia di sangue, di amore, di possesso. Così nel Nosferatu di Eggers anche il buio diventa un oggetto tangibile, di una concretezza asfissiante, così come le creature che lo abitano: «Soon, I will no longer be a shadow to you. Soon our flesh shall embrace and we shall be one».

Una profezia, una promessa, una maledizione.

Leggi anche: Robert Eggers – L’indagine sulla sessualità da The Witch a The Lighthouse

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