Rimuovere l’apparecchio ai denti;
Eliminare la gobba del naso;
Applicare ciglia più lunghe e folte;
Perdere peso;
Avere i capelli biondi.
È la lista performativa che Elvira deve seguire punto per punto se vuole fare breccia nel cuore del Principe Julian. La poveretta non può saperlo, ma l’impresa che si accinge a intraprendere è persa in partenza, il finale della storia è già scritto da secoli. Elvira infatti è la sorellastra di Agnes, che altri non è che Cenerentola.

The Ugly Stepsister mette in atto un’operazione di retelling della fiaba, assume cioè – come accade per esempio in Maleficent (2013), Crudelia (2021), Wicked – il punto di vista del cattivo, narrando la storia da un’altra prospettiva e in una ridistribuzione dei ruoli per cui i personaggi acquisiscono maggiore complessità e non sono più solo buoni o cattivi, o quantomeno sono messe in luce le ragioni della loro cattiveria.
Cenerentola è una storia che trova le sue primissime origini nel mito di Rodopi, si diffonde poi in Occidente nella versione di Charles Perrault e arriva fino ai giorni nostri plasmata nel cartone di Walt Disney che tutti conosciamo, con Genoveffa e Anastasia, Jaq e Gas Gas.
La cineasta norvegese Emilie Blichfeldt la rielabora e la rende attuale, riprendendo e amplificando a dismisura gli elementi macabri della versione dei fratelli Grimm, in un esordio orrorifico e grottesco che riesce a dirci qualcosa – anzi molto – sul nostro tempo. Qualcosa i cui echi rimbombano in film come The Substance di Coralie Fargeat (2024) e Sick of myself di Kristoffer Borgli (2022).

Blichfeldt, Fargeat, Julia Ducournau, Rose Glass: una generazione di registe sta usando il body horror come strumento stilistico e narrativo per raccontare il corpo delle donne, da millenni controllato, sessualizzato e non riconosciuto nella sua autonomia. Il body horror enfatizza innanzitutto questo: l’assenza di controllo sul proprio corpo. Trasformazioni, distorsioni e violazioni fisiche che avvengono anche contro la volontà del soggetto, e che ben rappresentano la violenza, il dominio e le pressioni esercitate storicamente sui corpi femminili.
L’horror, attraverso un involucro che sembra semplice intrattenimento, si fa portatore di un’efferata critica sociale e di una possibilità di emancipazione.
Carla Lonzi in Sessualità femminile e aborto (1971) conduce riflessioni che ben si applicano anche al percorso di trasformazione estetica che Elvira compie.
«Per il piacere di chi sono rimasta incinta? Per il piacere di chi sto abortendo?».
(Carla Lonzi)
Quando il Principe vede la sorellastra prima della trasformazione dice – in un modo più volgare di questo – che non vorrebbe mai avere un rapporto sessuale con una donna così brutta.
Per il piacere di chi Elvira sta martoriando il suo corpo?
«Questo interrogativo contiene i germi della nostra liberazione: formulandolo, le donne abbandonano l’identificazione con l’uomo e trovano la forza di rompere un’omertà che è il coronamento della colonizzazione.»
(Carla Lonzi)
Ma Elvira non si pone certe domande, è un’ingenua ragazza che sogna il principe azzurro. Di per sé non le importerebbe niente del suo aspetto fisico, ma ben presto capisce che senza la bellezza non potrà mai conquistare l’uomo di cui è innamorata. Da quel momento, diventa la personificazione vivente dell’antico motto «se bella vuoi apparire, un po’ devi soffrire», ed è pronta a tutto per ottenere il lieto fine tanto fantasticato: ricorre ai servizi del Dottor Esthétique, che le frantuma il naso con uno scalpello in una rudimentale rinoplastica e le cuce con ago e filo nuove ciglia in quella che visivamente sembra una Cura Ludovico.

Se la storia fosse ambientata oggi abuserebbe di Ozempic, ma dato che il medicinale non era ancora stato inventato ricorre ad altro: ingerisce un uovo di tenia, un verme parassita che nascerà e crescerà nel suo intestino, e mangerà al posto suo. Ciliegina sulla torta, una folta parrucca bionda et voilà, les jeux sont faits, la metamorfosi è compiuta.
Elvira è un’altra: è Cenerentola. O quasi.
Si verifica un inconveniente, alla lista performativa manca un ultimo punto che non era stato previsto: dei piedi più piccoli.
«Ma il dito grosso non entrava e la scarpa era troppo piccolina; allora la madre le porse un coltello e disse: – Tagliati il dito; quando sei regina, non hai più bisogno di andare a piedi –. La fanciulla si mozzò il dito. […]
[L’altra sorella] riuscì facilmente a infilare le dita, ma il calcagno era troppo grosso. Allora la madre le porse un coltello e disse: – Tagliati un pezzo di calcagno; quando sei regina, non hai bisogno di andare a piedi –. La fanciulla si tagliò un pezzo di calcagno»
(Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe)

Un altro motto: «Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno». Elvira cala la mannaia sul suo piede, e per fare forza si aiuta col libro di poesie scritte dall’amato Principe: fino alla fine agisce guidata da ciò che crede sia amore, sottomessa alla sua illusione, falsamente libera nel compiere le sue azioni.
«Una procreazione “per libera scelta” quale contenuto liberatorio può avere in un mondo dove la cultura incarna esclusivamente il punto di vista maschile sull’esistenza, condizionando così a priori ogni libera scelta della donna?»
(Carla Lonzi)
Agnes e Rebekka – Cenerentola e matrigna – sono molto diverse da Elvira, ma identiche tra loro: entrambe incarnazione della Bellezza, entrambe interessate solo al denaro, hanno capito che la prima è un mezzo rapido ed efficace per ottenere il secondo, e incedono nei loro scopi senza alcuno scrupolo morale. Agnes abbandona l’uomo che dice di amare perché non è che un povero stalliere, e Rebekka infligge le torture estetiche alla figlia senza l’ombra di un tentennamento.
Un quadro femminile desolante. Ma è pur sempre una fiaba e, come tutte le fiabe, riserva infine quantomeno una morale.
A incarnarla è Alma, la sorellastra minore. Alma rifiuta con disprezzo le mutilazioni che Rebekka impone a Elvira e che la sorella stessa si autoinfligge. Non desidera né il denaro né il principe, e quando le viene il primo flusso mestruale lo nasconde alla madre per paura che questa la dia in sposa al primo uomo ricco disponibile.
«Libera maternità e libera sessualità devono trovare i loro significati all’interno della nostra presa dì coscienza: solo così saremo sicure che la libertà di cui si parla è la nostra e non quella del maschio che si realizza attraverso di noi, attraverso una nostra più occulta oppressione».
(Carla Lonzi)
Alma è la presa di coscienza che Lonzi si augurava: un soggetto libero, capace finalmente di sottrarsi a un destino impostole da altri, e di sceglierselo in autonomia.
La vita, per lei, è altrove.




