Il Surrealismo oggi – The Lighthouse e Titane
Se c’è una tendenza che il cinema ha seguito fin dai suoi esordi è quella di andare oltre la realtà materiale. Scoprendo il funzionamento del montaggio, Méliès ne capì il potere immaginifico, mentre Ėjzenštejn, ancora più profondamente, intuì il modo in cui le transizioni tra fotogrammi possano portare con loro una sorta di eccedenza di senso.
In Sciopero (1924), ad esempio, quando all’immagine di operai che vengono sparati in una rivolta si intervallano immagini non diegetiche di un bovino brutalmente ucciso, o in Ottobre (1928), nel quale Kerenskij viene accostato a un pavone meccanico, risulta chiaro come la ricerca del formalista russo fosse nella connotazione che solo il montaggio riesce a esprimere.
Proprio grazie a questo potere unico del linguaggio cinematografico, sapientemente miscelato con immagini ed eventi che sorpassano l’ordinario, si è sviluppata la corrente del Surrealismo, che dai primordi a oggi si è rinnovata resistendo alla prova del tempo.

The Lighthouse (2019) di Robert Eggers è una testimonianza evidente di come un tale linguaggio abbia resistito alla modernità adattandovisi. Il film narra di Thomas ed Ephraim, due guardiani del faro che scivolano in un vortice di solitudine, visioni, alcolismo e squilibrio.
A fare da teatro di questo rapido declino è il faro, protagonista silente della vicenda, nonché veicolo di un’antica mitologia che si ripresenta più potente che mai. Nel dettaglio, sono i miti di Prometeo e Icaro a presentarsi come sottotesto dell’opera, con la luce del faro come sinonimo di quel fuoco prezioso prima portato all’umanità, poi divenuto troppo caldo per non bruciare.
I corpi dei protagonisti sono, quindi, le vittime del loro stato di pazzia e delle più cupe inclinazioni umane, soprattutto maschili.
I loro sogni e visioni, soprattutto quelli del personaggio di Robert Pattinson, sono la testimonianza tangibile dell’accesso alla follia. Su Thomas ed Ephraim si abbattono i segni del duro lavoro, dello squilibrio, della solitudine, dei vizi e delle competizioni; scorrono galloni d’alcol quasi ad anticipare lo scorrimento del sangue, che pare inevitabile fin dalla prima ed enigmatica inquadratura dei due.

Uno sguardo in macchina e i due protagonisti si confrontano con il pubblico in un dialogo impossibile, eppure così tangibile. Sembrano comunicarci “noi siamo questo, tu sei questo”, nella semplicità di un’interpellanza evidente e cruciale, considerando anche che quello è il migliore stato mentale in cui i due compaiono sullo schermo.
Per realizzare un film così delicato, Eggers si affida proprio al linguaggio (e addirittura ai mezzi tecnici) del maestro Ėjzenštejn. I temi inseriti, però, appaiono più contemporanei che mai. Dall’ossessione maschile per il corpo della donna – ritratta effimera, pericolosa, sensuale e surreale come una sirena – fino all’alcolismo e all’accesso alla conoscenza, il film comunica in maniera evocativa e con costruzioni di senso che si annidano nelle sue visioni e transizioni.
Ogni inquadratura della luce del faro arriva in momenti non casuali, anzi, proprio nei passaggi in cui Thomas ed Ephraim approfondiscono la conoscenza della loro intimità e umanità.
I loro corpi sono a servizio di questa indagine, inscenata attraverso i precari equilibri semantici tipici del Surrealismo, che elevano il faro a protagonista e i due uomini all’interno a vittime del proprio essere così fallibili.
Thomas: «Che la pallida morte con l’orrido artiglio faccia d’un antro oceanico il nostro giaciglio. Dio che dell’onde ascolti veemenza salvi l’anima che invoca clemenza».

È invece sul corpo di Alexia che si proiettano le vicende e i significati di Titane (2021) di Julia Ducournau, un altro capolavoro del Surrealismo contemporaneo. Stavolta l’enigmatica protagonista è solo una. All’inizio dell’opera viviamo il suo più doloroso trauma: in tenera età, Alexia è vittima di un incidente automobilistico che la costringe all’installazione di una placca di titanio in testa per il resto della vita.
Da adulta, la ragazza lavora come ballerina in un locale in cui danza proprio su delle automobili, la sua più grande ossessione. Parallelamente, la protagonista è responsabile di alcuni efferati omicidi ai danni di persone che per un qualche motivo si avvicinano fisicamente a lei.
Il discorso si evolve, come il Surrealismo vuole, su due binari che si sfiorano, incontrandosi nelle vicende del film.

Da una parte assistiamo ad Alexia che resta incinta di una Cadillac e che vive la strana e travagliata attesa dell’arrivo di un umano-macchina. Dall’altra, nelle infinite connotazioni del film, vediamo la trasformazione del corpo di Alexia che idealmente è incarnazione di quello dei giovani di quest’epoca: percosso, rovinato, sacrificato, senza patria, senza genere e condannato per questo alla vergogna, vittima senza colpe delle sofferenze a cui viene costretto dalle angustiose e vincolanti necessità sociali.
Quando la protagonista, per mettersi in salvo dalle ricerche della polizia, finge di essere un ragazzino scomparso molti anni prima, la situazione si complica anziché migliorare; celare il proprio vero aspetto, quello di una persona incinta, comporta degli sforzi devastanti.
La poetica di Titane si esplicita in questa sezione, quella in cui ci si nasconde, quella in cui le bende creano tagli e i tagli generano le cicatrici che testimoniano il dolore.
Ogni solco sulla pelle di Alexia è un obbligo a essere ciò che socialmente si deve essere. Il bendaggio a cui la protagonista è costretta ricorda quello a cui sono portate le persone trans che nascondono le proprie curve, poiché non si riconoscono nel corpo che abitano, così come la commistione umano-macchina evoca dei discorsi ben noti sui mélange tra tecnologia e persone.
Il film non poteva che narrare tutto ciò concentrandosi sul fisico, sui fluidi, sul sangue che diventa olio e sul ventre che accoglie l’Altro, sia esso affascinante, spaventoso, o entrambi.

Se nell’esempio precedente capivamo come The Lighthouse fondasse il proprio impianto surreale sull’accostamento tra immagini e sul ricorso al sogno, così Titane affonda il proprio linguaggio direttamente nella semantica degli eventi, mostrati stavolta come veritieri. Da una parte c’è l’horror a tinte espressioniste e formaliste di Robert Eggers, che tanto si ispira a Ėjzenštejn; dall’altra, il body horror che Ducournau attinge da un eterno maestro delle trasformazioni quale David Cronenberg.
Com’è facilmente intuibile, è proprio l’horror il filo conduttore del Surrealismo contemporaneo. Lo hanno dimostrato molti altri film come Get Out (2017), Us (2019), Midsommar (2019) e Under the Skin (2013).
Nell’epoca odierna ciò che si cela oltre la realtà fa paura, fa riflettere, riguarda la società e le pieghe più cupe dell’essere umano.

Si parla di due uomini che perdono la testa dentro un faro, indagano su loro stessi senza saperlo, cadono vittime dell’alcolismo e delle proprie ossessioni: dalla competizione all’altro sesso, dal lavoro alle pressioni date da mitologie e superstizioni. Oppure si parla di una ragazza che in maniera messianica sorpassa il proprio status di umano e al contempo deve nascondere se stessa dai suoi simili, deve sacrificarsi e trasformarsi, senza potere comunicare ad anima viva che lei, in qualche spaventoso modo, è capostipite di una nuova umanità.
Non sembra poter esserci una nuova umanità senza un nuovo umanesimo. Ecco perché tornare indietro al Surrealismo, laddove l’ordinario è mostrato sorpassando se stesso, e dove la quotidianità e l’essere umano fanno tremendamente paura.




