Il Surrealismo è morto, lunga vita al Surrealismo!
Dio è morto,
Nietzsche è morto,
e il Novecento si sentiva vivo.
«Dio è morto! Dio resta morto! E noi l’abbiamo ucciso!» urlava strepitante un folle uomo con una lanterna accesa in pieno mattino. Le persone al mercato ascoltavano ingenuamente il delirante annuncio, schernendo e deridendo le bizzarre domande di colui che, a un certo punto, gettò a terra la lanterna mandandola in frantumi fino a che si spense. «Vengo troppo presto, non è ancora il mio tempo» disse, «questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino».
Era il 1882 e il mondo non era ancora pronto per abbandonare la fede nella Verità, anzi, sembrava essere la fine-della-storia, ogni sapere aveva trovato la sua ultima realizzazione e, rimanendo strettamente ancorato a secolari certezze, aveva esaurito le proprie possibilità.
Ma qualcosa stava cambiando, qualcosa nel sottosuolo dell’Occidente stava spingendo per emergere, e Nietzsche, con il suo annuncio, divenne portavoce di un intero tempo storico. Il castello di carta iniziava a sgretolarsi, si usciva dal paradiso delle certezze e si entrava nel limbo della crisi.
Dalle plurisecolari teorie di Euclide insorse la geometria non euclidea di Riemann, negando vecchi postulati e fondandone di nuovi.
Lo spazio-tempo di Newton e Kant venne meno e, con la relatività di Einstein e l’indeterminazione di Heisenberg, il tempo e lo spazio di quella mela che cade dall’albero diventarono sempre più dubbiosi e meno definiti, concependo come nuovi potenziali punti di riferimento il cosmo interstellare e l’atomo particellare.
Il sistema filosofico hegeliano, che compie la metafisica iniziata con Platone, giunge alla sua fine con la rottura decostruttiva nietzschiana e l’inizio della fenomenologia.
Dopo secoli di dissipazione di composizione musicale, con Schönberg nasce la dodecafonia, aprendo infiniti orizzonti di possibilità alla musica.
Così come il balletto iniziato nel Rinascimento, con Loïe Fuller e Isadora Duncan trova la propria trasformazione nella danza moderna, adornata da giochi di luce, stoffe e specchi.
Il vento del prospettivismo a-sistematico attecchiva anche la dimensione narrativa, e una nuova ondata di scrittori individuata da Auerbach sotto il nome di “realismo letterario” stava emergendo. Woolf, Joyce, Proust, Pirandello mettevano nero su bianco lo sciogliersi di una realtà obiettiva in favore di quella soggettiva della coscienza dei personaggi.
Anche l’arte portava con sé il compito iniziato nel Rinascimento: la fedele rappresentazione del reale volta a mostrare la presunta oggettualità del mondo, imitandolo su tela. Tuttavia, qualcosa cambiò. Alla fine dell’Ottocento insorsero la fotografia e il cinematografo, rubando il ruolo di mimesis all’arte occidentale che, entrando nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, necessitava di trasformarsi.
E infine, ci fu la rivoluzione dell’inconscio. Freud – che Dalì considerava il proprio padre spirituale – portò alla ribalta il mondo onirico e il sottosuolo dell’anima umana, rivelando la realtà dell’irrealtà, e di conseguenza le infinite nuove possibilità di esplorazione.
«Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al ‘perché?‘».
(Friedrich Nietzsche, Frammenti Postumi, 1887-1888)
Lo spettro del nichilismo si aggirava per l’Europa, e l’incertezza divenne la sola e unica certezza. L’universale paradossalmente umano, troppo umano, cadde, e il libero orizzonte di possibilità delle differenze fu pronto per manifestarsi. Affiora così l’idea di un’alternativa.
«Il cielo è vuoto. “Dio è morto”».
(Wassily Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, 1910)
A cavallo tra la sospensione delle due guerre mondiali, in questa temperie culturale destabilizzante, al crepuscolo degli idoli e all’alba di nuove verità, ora provvisorie, prospettiche e orizzontali, l’arte dovette assumere il suo ruolo originario, ossia esprimere la realtà del proprio tempo. Imprimendo al divenire reale il carattere dell’essere artistico, gli artisti incanalarono nella propria arte il tempo storico ed emersero le avanguardie: in totale rottura negatrice con il passato – come per il dadaismo -, nella decostruzione della rappresentazione di oggetti reali – come per l’astrattismo di Kandinskij -, o nella ricerca di nuove forme di espressività creativa ed esperienziale – come per il surrealismo.
«Nella nostra epoca molte arti imparano l’una dall’altra e spesso hanno gli stessi scopi».
(W. Kandinskij, Lo spirituale nell’arte, 1910)
Riecheggiava l’eco della voce di Ivan Karamazov di Dostoevskij, «se Dio non esiste, tutto è permesso»; e il Novecento non se lo fece ripetere due volte, lasciando assoluta libertà alle possibilità di ordine estetico, etico e filosofico.
Da questi presupposti, dopo le atrocità della Prima guerra mondiale e la rottura negatrice, decostruttiva e rivoluzionaria dadaista, emerse il surrealismo.
Tutto era permesso, era possibile, ed era reale.
«Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale».
(André Breton, Manifesto Surrealista, 1924)
Con queste parole, il poeta André Breton – medico durante la Prima guerra mondiale, adulatore di Freud e Papa del surrealismo – tenta di dare una definizione non definitiva al movimento, riconoscendo la necessaria inconscia libertà autoriale che caratterizza la corrente artistica. Nella sua origine, svincolato da qualsivoglia ideologia formale o valoriale, il surrealismo si scopre anarchico, fenomenologico, e indipendente da ogni tipo di principio assoluto o definitorio, libero di manifestare l’esperienza così come accade.
«Credo alla futura soluzione di quei due stati, in apparenza così contraddittori, che sono il sogno e la realtà, in una specie di realtà assoluta, di surrealtà, se così si può dire».
(A. Breton, Manifesto Surrealista, 1924)
Senza conferire a priori una gerarchia ontologica sulla realtà delle cose, il surrealismo, a modo suo, conferisce senso a istanze che fino ad allora erano state taciute o considerate inferiori perchè indegne d’indagine filosofica o artistica. Sogni, ricordi, allucinazioni e sostanze psicotrope trovano finalmente possibilità d’espressione.
Perché Dio è morto, e tutto ciò che egli negava è finalmente libero di manifestarsi. Ciò coinvolse tutte le arti in senso lato, pronte a influenzarsi e contaminarsi, e il surrealismo, in una dinamica eminentemente affermativa, esprimendosi nella pittura – come per Magritte o Mirò -, nella fotografia – come per Man Ray e Dora Maar -, nella musica – come per certi versi Erik Satie -, e infine nel cinema, dà il via alla collaborazione tra Luis Buñuel e Salvator Dalì.
«Trasformare il mondo, ha detto Marx. Cambiare la vita, ha detto Rimbaud. Queste due parole d’ordine sono per noi una sola».
(A. Breton, Manifesto Surrealista, 1924)
L’espressività surrealista era voce del proprio tempo, libera manifestazione dell’inconscio.
René Magritte, definito il disturbatore silenzioso, appartenente a una forma di illusionismo onirico, intendeva mostrare il mistero che si celava dietro al reale, innestando dubbi nella sua rappresentazione.
Salvator Dalì portava con sé i tempi del proprio mondo, mostrando, tra le altre cose, la relatività del tempo einsteiniana e le possibilità dell’inconscio freudiane.
Luis Buñuel raccontava l’irrazionale e il tabù della sessualità, in un cinema antiborghese e anticlericale.
Dona Maar, prima di essere soggiogata al ruolo di amante di Picasso, ha lavorato con l’intero mondo surrealista, rivoluzionando il concetto di fotografia ed esplorando le possibilità dell’immagine.
E così, nietzschianamente, loro come tutti gli altri, ai fatti risposero con interpretazioni.
«L’uomo propone e dispone. Sta soltanto in lui appartenersi interamente, cioè mantenere allo stato anarchico la banda di giorno in giorno più temibile dei suoi desideri. La poesia glielo insegna. Essa porta in se il compenso perfetto delle miserie che sopportiamo. Può essere anche un’ordinatrice se soltanto, sotto il colpo di una delusione meno intima, ci lasciamo andare a prenderla sul tragico. Venga un tempo in cui essa decreti la fine del denaro e spezzi da sola il pane del cielo per la terra! Ci saranno ancora delle assemblee sulle pubbliche piazze, e dei movimenti cui non avete sperato di prendere parte. Addio selezioni assurde, sogni d’abisso, rivalità, lunghe pazienze, fuga delle stagioni, ordine artificiale delle idee, rampa del pericolo, tempo per tutto! Che ci si dia soltanto la pena di praticare la poesia. Non sta a noi, che già ne viviamo, cercare di far prevalere quel che ci sembra di essere riusciti a scoprire fin qui?».
(A. Breton, Manifesto Surrealista, 1924)
Il surrealismo fu l’idea di un’alternativa allo stato di cose dominante. Il surrealismo fu anche la realizzazione di quell’alternativa, accompagnato e supportato da una temperie culturale che spingeva verso la medesima direzione. Si spense nel periodo intorno alla Seconda Guerra Mondiale, altro tempo di assoluta destabilizzazione che, però, divenne il piccolo inizio per l’affermazione di un altro stato di cose dominante.
Nacque un nuovo mondo, volto alla razionalizzazione e alla repressione di un certo tipo di dissenso di cui, in un qualche modo, tutt’ora facciamo parte.
Dio è morto, Dio resta morto, ma noi ce ne siamo dimenticati.
Dobbiamo re-imparare a ri-vedere.
Una spinta avanguardistica, di rottura e al contempo di affermazione, non è forse ciò che meritiamo, ma è ciò di cui abbiamo bisogno.