Da Dostoevskij all’Antieroe – Gli idioti del cinema

Gianluca Colella

Marzo 15, 2021

Resta Aggiornato

«Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare la vita intera di un uomo?…».

(Fëdor Dostoevskij, “Le notti bianche”)

Quell’Antieroe Idiota, o quell’Idiota Antieroe, se si preferisce, termina così, in uno dei momenti più alti della russa filosofia letteraria di Dostoevskij. Non si tratta di un manifesto, non esplicito almeno, eppure i semi che contiene elevano, quasi in un timido tentativo di garantire un consenso d’esistenza, un archetipo che un secolo e mezzo dopo sarebbe diventato mainstream nel linguaggio cinematografico.

Nella Russia dell’Ottocento, presentarlo era possibile perché determinate condizioni economiche, sociali e culturali favorirono questa emergenza, quasi fosse una necessità. In seguito, anche grazie alle sue esperienze dirette, Dostoevskij arriva a delineare Colui-che-sarà Antieroe smaltendo le scorie di un trauma consumato sulla sua stessa pelle.

Dalle parole alle immagini, dai titoli del filosofo russo a quelli di Hollywood, questo soggetto prima sconosciuto e ora fin troppo conosciuto ha avuto un’evoluzione caratteristica, intrigante e pericolosa; le sue profonde radici chiamano in causa la psicologia, la filosofia, la religione, ma soprattutto l’etica, o meglio l’etica della sua assenza, e la sua crisi secolare.

Proliferando in maniera indiscriminata, ma partendo dalla matrice dei cinecomic, l’Antieroe iniziò a conquistare il linguaggio narrativo cinematografico attraverso la trasposizione di personaggi che nei fumetti svolgevano un ruolo emblematico, inesauribile e necessario.

L’anti-narrazione dell’Antieroe

Qualcosa accadde nella mente di Dostoevskij, che lo portò a prevedere l'avvento dell'Antieroe, di colui che si nega a se stesso, nel cinema.

Antieroe – Fëdor Dostoevskij

«Vivere senza Dio è un rompicapo e un tormento. L’uomo non può vivere senza inginocchiarsi davanti a qualcosa. Se l’uomo rifiuta Dio, si inginocchia davanti un idolo».

(F. Dostoevskij, “I fratelli Karamàzov”)

Dove si colloca, dal punto di vista filosofico e morale, il punto d’intersezione filmico e letterario di un Antieroe passato poi attualizzato? 

Antieroe e Anticristo hanno una matrice pericolosamente comune, che Dostoevskij individua e sottolinea ripetutamente in molte delle sue opere: si parte da Il giocatore, si attraversano le lande del villaggio di Stepančikovo e si giunge nei luoghi più psicologicamente oscuri de Il sosia e de I fratelli Karamazov.

Lo sviluppo frastagliato e sofferto di questo archetipo si definisce nelle sfumature di un’identità ambigua, che conosce soltanto i valori di cui non è depositario, e rivendica prepotentemente il suo spazio nei territori dell’anti-narrazione.

Alcuni capricci fecero cadere all’eroe la sua maschera, e dietro questi frammenti sparsi l’antieroe inizia a imitarlo in maniera tragicomica. Nella complessa Russia di Dostoevskij, questo giullare trova terreno fertile perché tormentati e sofferenti sono i personaggi delineati dall’autore russo: il Principe Myskin, Ivan Karamazov, Smerdjakov e Grushenka sono tentativi di un affrancamento faticoso, dalla crisi dell’uomo moderno che diventa direttamente la crisi di quello contemporaneo, le cui narrazioni s’intrecciano con il fallimento del topos del “luogo comune”.

I già noti tipi letterari di Umberto Eco sono modelli che Dostoevskij rivoluziona a priori, narrando la caratterizzazione di individui buoni e cattivi, verosimili nella loro logica umana, troppo umana. L’autore russo, infatti, fu il primo a coniare il termine “antieroe” in Memorie del sottosuolo.

Queste anti-narrazioni sembrano alimentarsi di quella neve bagnata, sostanza che allegoricamente riporta l’individuo dall’irragionevole sottosuolo al riconoscimento di una sofferenza; l’opera si presta a un confronto con Trainspotting, ma anche con The Wolf of Wall Street, perché trasformare l’immagine della neve bagnata in cocaina sembra una provocazione fin troppo invitante.

Dostoevskij, il tutto tondo dell’Antieroe

Qualcosa accadde nella mente di Dostoevskij, che lo portò a prevedere l'avvento dell'Antieroe, di colui che si nega a se stesso, nel cinema.

Antieroe – Birdman

 «Tutte le cose e tutto nel mondo è incompiuto, per l’uomo, e nel frattempo il significato di tutte le cose del mondo è racchiuso nell’uomo stesso».

(F. Dostoevskij, “I fratelli Karamàzov”)

Lo spazio dell’Antieroe è un palcoscenico teatrale particolare, che di greco ha solo il riferimento al passato: Omero ne canterebbe le gesta con difficoltà, perché egli sarebbe più spesso dietro le quinte che sotto i riflettori.

Riggan Thomson, l’inetto che recitava nei cinecomic, deve mettere le sue dubbie competenze attoriali al servizio di un lavoro teatrale molto più complesso, ed è qui che i fantasmi dell’incertezza rianimano la sua (in)coscienza.

What We Talk About When We Talk About Love (Carver, 1981) è il pretesto per un’interrogativo filosofico simile, ma più profondo, radicato nella trama apparentemente lineare di un personaggio che è sovvertito perché si sovverte da solo. Di cosa parliamo, infatti, quando parliamo di Riggan? Può, un topo della società, spiccare il volo?

Egli è a tutto tondo, nel senso che può essere visto e studiato da tutti i lati, esattamente come fanno i personaggi di Dostoevskij con loro stessi e come Dostoevskij fa con i propri personaggi, e in ultima istanza con se stesso.

Quando Birdman finalmente entra in contatto con se stesso e riesce a volare dalla finestra dell’ospedale, da quale frustrante matrice esistenziale sta migrando? Sarà Il sosia di se stesso, oppure un uomo “umiliato e offeso” finalmente capace di guardare avanti piuttosto che indietro?

Di virtù ce ne sono poche, in un ideale rovesciato, tanto è vero che i tormentati Antieroi del cinema sembrano citati in un giudizio fatto d’immagini che scavano il loro solco all’interno delle pagine di Dostoevskij.

Antieroe, diretto da F. Dostoevskij

Qualcosa accadde nella mente di Dostoevskij, che lo portò a prevedere l'avvento dell'Antieroe, di colui che si nega a se stesso, nel cinema.

Antieroe – Joker

«Senza Dio e senza vita futura? Tutto è permesso dunque, tutto è lecito?».

(F. Dostoevskij, “I fratelli Karamàzov”)

Occorrerebbe scomodare Nietzsche, quando si parla di Dio, valori, genealogia della morale? Oppure Dostoevskij potrebbe essere il ripiego di coloro che cercano nelle sue anti-narrazioni le condizioni per costituire nuove formazioni d’appoggio per i valori umani?

Ciò che conta, in entrambi i casi, è che il collegamento col cinema è un riconoscimento del valore etico di questo mezzo culturale e artistico; la passione che queste parole celebrano è sottolineata dalla più o meno forzata connessione ideologica che conduce dai dubbi teoretici di Dostoevskij al post-umano di Hollywood, così saturo di caratteri centralmente grigi.

Ecco che è in nome di questa suggestione mitopoietica che la possibilità di immaginare un film diretto dall’autore russo prende forma: indipendentemente dai legami di familiarità che potrebbero esserci tra i protagonisti di questo ideale film russo in salsa hollywoodiana (o viceversa), quello che sarebbe interessante riconoscere sarebbe distinguere quali e quanti Antieroi farebbero parte della trama. Un capovolgimento dei valori dell’eroe classico sarebbe il punto di partenza, la citazione tratta dai Karamazov la tag-line dell’opera, come in un film di Scorsese.

Il fondamento filosofico sarebbe individuato nel nichilismo, se passivo o attivo dipende dalle capacità del protagonista di orientarsi positivamente nel suo contesto, ma è certo che la frustrazioni che questi personaggi si portano dentro cozzano con l’obbligo di sopravvivere alla loro anormale normalità.

Un resto insondabile di spiritualità aulica avvolgerebbe il copione, così drammatico e al tempo stesso così vero, e la struttura narrativa tragica sarebbe edulcorata dalle peripezie quasi comiche dei protagonisti, con i deliziosi limiti imposti dalla loro natura umana.

Intrighi familiari, eredità dimenticate e conflitti di alta aristocrazia renderebbero concrete le questioni esistenziali radicali che li affliggono, in una parodia pirandelliana e seria dei personaggi in cerca d’autore.

L’Antieroe e il Grande Inquisitore

Antieroe – Il Grande Inquisitore

 «Ti giuro, l’uomo è stato creato più debole e più vile di quanto tu pensassi! Può forse eguagliarti in ciò che hai fatto? Stimandolo tanto, hai agito come se cessassi di averne compassione perché troppo hai preteso da lui, e chi ha fatto questo: Colui che l’amava più di se stesso! Se lo avessi stimato di meno, avresti preteso anche meno da lui, perché più lieve sarebbe stato il suo fardello».

(F. Dostoevskij, “I fratelli Karamàzov”)

Infine, un necessario rapporto di forze s’impone tra Colui-che-fu il Grande Inquisitore e Colui-che-sarà Antieroe: presentato come uno dei capitoli dei Karamazov, l’Inquisitore è il soggetto che affronta il trauma della fede, il trauma della sua assenza e le terribili conseguenze della libertà umana.

Di fronte a una categorizzazione sociale ed esistenziale imposta dall’alto, dunque, questo affaticato tipo umano utilizzerebbe il linguaggio cinematografico per coniugare la sua necessità di denunciare l’oppressione degli uomini con il masochistico movimento che produce le catene stesse che opprimono.

L’Inquisitore è l’Antieroe? Il suo opposto? L’Antieroe è il profeta dell’inquisizione? Questo nemico di se stesso, o meglio nemico dell’ideologia che rappresenta, difende i peccati degli uomini condannandoli come la loro più grande espressione di libertà. Libertà ingannevole, considerata la schiavitù nei confronti dei codici morali e religiosi.

Essere Antieroi oggi, da Dostoevskij a Hollywood, significa fare propria quest’ambivalenza intima, elaborarla sul piano delle verità psichiche scomode e operare una rivoluzione copernicana del giovane pensatore che agisce ciò che pensa.

Sarebbe Travis Bickle, giudice, giuria e boia, oppure Michael Corleone. Sarebbe il Joker di Nolan, ma anche quello di Philips. Gli stessi archetipi s’inseguono costantemente in un circolo metanarrativo, che delinea i tratti del (non)eroe, dell’Antieroe perché tipicamente atipico.

 «Sono completamente senza una storia. Come si dice da noi, ho vissuto per me stesso, cioè completamente solo…».

(F. Dostoevskij, “Le notti bianche”)

Leggi anche: La Mitologia dell’Antieroe

Correlati
Share This