La Mitologia dell’Antieroe

Davide Capobianco

Giugno 3, 2019

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La Mitologia dell’Antieroe.

Il mondo ha bisogno degli eroi da tempo immemore. I racconti del mito narrano di uomini straordinari, icone da seguire. La Grecia Antica aveva i suoi eroi, semidei o comuni mortali dalle caratteristiche eccezionali: Achille e la sua forza o Ulisse e la sua astuzia. Persone fuori dal comune, cui la gente potesse guardare per elevare il proprio animo, o redimerlo. Questi eroi hanno cambiato forma, ma non essenza. Privi della sacralità classica, i Supereroi della Marvel e della DC Comics continuano una vera e propria tradizione, non di un popolo, ma di tutti i popoli.

Tuttavia, nella storia dell’umanità e nei suoi racconti hanno camminato, al fianco degli eroi, protagonisti anomali, tragici e sconfitti: icone del fallimento. Esiste, quindi, una Mitologia dell’Antieroe. Anch’essa remota, dalla Grecia di Edipo e Medea, passando per l’Inghilterra di Amleto e Macbeth, giunge come spettro nelle parole di Joyce, Proust o Svevo. Loro erano lì, gli antieroi. Figure primordiali, in cui però nessuno ha mai voluto identificarsi, fino ad ora.

Siamo nel XXI secolo d.C.: l’America, nel bene e nel male, è la nuova Grecia. Il Mito trova la sua forma d’arte nel cinema; anzi, come ha detto il grande Sergio Leone, il Cinema è Mito. Gli Stati Uniti, però, mancano di una vera e propria Epica; la loro storia è un passato prossimo, non remoto. Quindi ne hanno creata una, non spacciandola per antica, ma trovandola nel contemporaneo. L’Ultima parte della loro esistenza. I nuovi racconti colgono l’essenza della realtà quotidiana, priva di eroismo, colma di sofferenze e difetti, insomma, di umanità. Gli eroi, ormai, sono fuori tempo. Solo l’antieroe vive, poiché il difettoso nasce ovunque, in ogni epoca.

Per sempre incontreremo uno Zeno, un inetto sveviano, armato di volontà, ma incapace di stare al mondo, e forse non incontreremo Ettore e il suo valore mai più.

Il Cinema ha ribaltato anche le figure eroiche più integerrime e classiche, come Captain America. L’incarnazione stessa delle virtù ineffabili, in un film quale Captain America – Civil War, crolla. Si manifesta la sfumatura verde dei suoi occhi azzurri, l’imperfezione; Steve Rogers, pur lottando perché il male non trionfi, combatte solo per Bucky, per il suo amico, e per sé stesso. Alla fine, è solo un uomo, come tanti afflitto dal rimorso. In questo mondo non c’era posto per il suo valore, il suo tempo era un altro e lo ha perduto. Forse non è un antieroe, ma nemmeno un eroe infallibile: come è capace di azioni straordinarie, così è capace di deludere.

Ma il Capitano rimane per molti fonte di ispirazione, nel bene e nel male resta un eroe. Gli antieroi sono uomini caduti, sconfitti e sepolti nel baratro del loro stesso animo. Sono segnati da traumi, profondi e viscerali, come ingiustizie o  le migliaia di altre delusioni che la nostra realtà ci costringe a subire o affrontare. Cercano di riparare i torti del mondo, quei torti che non possono aggiustare nella loro vita, perché sarà sempre troppo tardi. Non accettano compromessi, nemmeno di fronte all’Apocalisse. Da questo tipo di epica contemporanea nascono personaggi come Rorschach, grazie alla penna di Alan Moore; un vigilante privo di poteri, introverso ai limiti dell’autismo, sociopatico, ma dall’intelletto estremamente acuto. Un alter ego cui Walter Kovacs, l’uomo sotto la maschera, ha dato vita dopo aver assistito ad un omicidio brutale.

 

E proprio nella sua maschera risiede l’emblema del suo fascino; nella purezza del bianco tessuto si cela un liquido nero viscoso, che si dispone in maniera differente a seconda dell’espressione di Kovacs, ricordando appunto il test delle macchie di Rorschach. Non si tratta solo di celare un’identità, ma di reprimere una psiche frastagliata, fatta a pezzi da una madre prostituta e violenta, dai tormenti di una gang di quartiere, da un’infanzia in un istituto mai davvero vissuta. La mente di Walter Kovacs è in frantumi. Ma se ancora poteva esserci un binomio tra uomo e vigilante segreto, l’ennesimo crimine lascerà dell’animo di Walter solo frammenti; l’uomo cesserà di esistere, solo Rorschach vivrà. Qualcosa si è rotto, e non può più essere riparato.

Tuttavia, non cede e non cederà mai al male; anzi, la sua visione del bene è integralista ai limiti dell’ossessione. Machiavellico nei modi e nella filosofia, violento e iracondo, Rorschach è il singolo sacrificale che, senza perdere la ragione, ha votato sé stesso alla punizione delle iniquità degli uomini malvagi.

Questo sono gli antieroi: non la giustizia, la punizione. In casa Marvel nessuno incarna questo concetto meglio di Frank Castle, The Punisher. Un soldato veterano traumatizzato dalla guerra, cui la mafia di New York ha ammazzato la famiglia, solo perché si trovavano nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Non c’è stata giustizia per Castle e i suoi cari, e questa frattura ha dato vita al punitore, il flagello dei criminali.

Con figure del genere i confini tra giustizia e vendetta sono labili e indistinti; pur servendo il bene, questi uomini non hanno regole, per loro ciò che conta è la parola fine. I malvagi non devono marcire in cella dopo un sanguinoso pestaggio, devono rimanere a terra e non rialzarsi mai più. E nemmeno possono fare ammenda, perché esistono giustizieri come Ghost Rider, lo spirito della vendetta, la cui sentenza è definitiva; non è possibile sfuggire al suo sguardo della penitenza.

Ecco che si manifesta un altro dettaglio dell’incredibile fascino che gli antieroi hanno sulla gente: la libertà. Per quello che gli riguarda, questi vigilanti fanno quello che vogliono. Sono indipendenti, diretti e spietatamente onesti. In una società frenetica dalle mille vessazioni, obblighi e convenzioni, quello cui anela la gente è un’indipendenza di sorta, che permetta un appagamento dei bisogni personali, l’affermazione della propria volontà. Gli antieroi diventano uno sfogo, la proiezione di una parte recondita del nostro animo; forse non la migliore, ma quella che, a volte, vorremmo assecondare di più.

Viviamo in un’epoca in cui crogioli di esistenze oscillano tra la quotidiana lotta per la sopravvivenza e la speranza di un riscatto. Ma il mondo, spesso, non ha redenzione. E’ la realtà in cui vive Enzo Ceccotti, il protagonista de Lo Chiamavano Jeeg Robot, film italiano diretto da Gabriele Mainetti.

Enzo, il più bell’Antieroe italiano.

Enzo ha perso i suoi amici nella violenza della periferia criminale di Roma; acquisisce capacità straordinarie per via di un incidente, ma le userà nell’unica maniera che conosce, rubando. Solo la nascita di un vero villain quale lo Zingaro pone il non-eroe davanti alla scelta su come utilizzare i suoi poteri, insinuandogli il dubbio morale, la dicotomia tra il bene e il male. Ma appare subito chiaro che il vero nemico di Enzo non è un malvivente qualsiasi, bensì tutto il mondo circostante. Un ambiente che ti sovrasta, coniugato su regole feroci e sulla ragione del più spregiudicato; una realtà folle, in cui anche i super poteri rischiano di essere inutili e null’altro che cenere.

L’unico verdetto è vendicarsi, queste sono le parole di V per Vendetta. Un film e un fumetto ambientati in una Londra distopica, in cui vige la tirannia. Un luogo in cui il manganello si è sostituito al dialogo. Ma per V, il protagonista, le parole non perderanno mai il loro significato. Nonostante le sue abilità combattive, la sua vera forza viene dalla potenza dei suoi libri, delle sue letture. Egli è figlio degli antieroi del passato, come Edmond Dantés, il conte di Montecristo di Alexandre Dumas, il Don Chisciotte di Cervantes o l’Amleto di Shakespeare; personaggi valorosi oltremodo, ma non convenzionali, non eroici, vulnerabili e frangibili come qualsiasi essere umano. Sono fuori contesto, fuori tempo, non rispettano dogma alcuno. Sono andati oltre i confini del bene e del male, pur cercando di agire sempre per il meglio e per il giusto.

V per Vendetta, forse l’Antieroe per eccellenza.

Ma il buono e il cattivo dipendono dal pensiero di chi li rende tali. Questo è il dilemma, l’eterna ambiguità del rapporto che questi uomini hanno con la realtà e con lo spettatore. E tramite loro si ha la possibilità di avere un aspro confronto con il proprio io interiore, di precipitare nell’intimo abisso dell’anima e scrutare la propria essenza. In un mondo privo di eroismo le persone cambiano facilmente, crollano facilmente; e non sempre gli antieroi indossano una maschera. Un ordinario professore di chimica, un brav’uomo qualunque, schiacciato e umiliato dalla sua quotidianità, può scegliere di dire “basta“. Quando sono i buoni a stancarsi, anche il più spietato dei cattivi deve tremare. Quando Walter White diventa Heisenberg, non esistono più gli altri o la famiglia, muore la volontà di aiutare un mondo che non ha mai fatto niente per meritarselo;  Walter agisce per sé stesso, perché lo fa sentire vivo.

Walter White è un Antieroe?

E come può uno spettatore non provare una sorta di empatia con uomini che vogliono solo vivere? O magari vogliono riparare le ingiustizie e i torti del mondo, perché sanno cosa vuol dire perdere.

Il Cinema ha dato a queste figure una vera e propria Mitologia.

 

Benvenuti nell’era dell’Antieroe.

 

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