The Aviator – Il processo distruttivo di un’ossessione
Taxi Driver e The Wolf of Wall Street, Toro Scatenato e Shutter Island, cosa può accumunare film così lontani nel tempo e diversi nella struttura? Un solo nome, il nome di colui che forse proclamerei il regista più versatile della storia, il regista che ha definito le sorti del cinema degli ultimi quarant’anni: Martin Scorsese.
Questa rubrica vuole ripercorrere le grandi opere del maestro italoamericano, così da non ricordarlo solo per le ultime fatiche, ma per ogni sua epoca artistica, dai tempi di Bob De Niro al recente meraviglioso sodalizio con Leonardo DiCaprio, cercando di trovare anche le differenze e le similitudini nelle sue opere più lontane, le sue evoluzioni artistiche e i suoi temi, raccontando il suo eterno cinema.
L’epoca DiCaprio

The Aviator

Questo è per me il film che avrebbe dovuto portare DiCaprio all’Oscar.
Musica Jazz, colori caldi, siamo nell’America degli anni ’20, siamo all’interno della storia del magnate Howard Hughes, siamo all’interno della vita di un ossessivo compulsivo.
DiCaprio eccelle nel costruire un personaggio quanto mai complesso, il suo perfezionismo come attore rende eccellente la sua interpretazione maniacale, dando credibilità a una figura succube del delirio ossessivo.
Howard Hughes è un personaggio realmente esistito. Brillante, affascinante, investe la sua eredità in cinema e aviazione. La sua profonda meticolosità porta i suoi ad essere investimenti più che lungimiranti, dal Multicolor ai primi film sonori, per non parlare dello scenario aviatorio.
La stella inizia a brillare, feste fastose, splendide donne, il mondo ai suoi piedi.
Questo è il contorno che, inizialmente, risulta intrigante, ma poi ecco scavare nelle profondità psicologiche. Qui fuoriesce, a poco a poco, il suo essere succube dell’ossessività.
Ma cosa vuol dire?
Essere ossessivo compulsivo non è solo essere molto precisi, attenti al dettaglio e meticolosi. Essere ossessivo compulsivo vuol dire vivere una subordinazione perpetua alla necessità di ossessionarsi, essere succubi di un perpetuo riproporsi di insoddisfazioni metodiche, ma soprattutto una subordinazione all’inquietudine che da tutto ciò deriva, non potersi svincolare da una tale raschiante esigenza.

Howard Hughes: «Se c’è una variazione, sia pure infinitesimale, l’intero procedimento, deve essere ripetuto dal principio, ripetuto dal principio, ripetuto dal principio…».
Piano piano il castello si sgretola.
Dover ripetere le cose un certo numero di volte, non poter toccare le persone per paura dei germi, autoconvincersi di idee totalmente maniacali; l’aviatore vaga sempre più nei suoi stessi vincoli, dall’eccessiva ipocondria ad amori tossici poiché vittime di un contrasto tra ossessione e incapacità empatica.
The Aviator, in pieno stile prima metà del ‘900, si mostra quasi come un kolossal nella durata, nella scenografia e in tanti altri piccoli dettagli che Scorsese magistralmente fa confluire.
The Aviator ci propone l’analisi del processo degradante di un uomo nel suo intrecciato contrasto tra necessità di libertà e impossibilità di svincolarsi dall’ossessione.
I suoi amori crollano dinnanzi alla contraddittoria condotta ossessiva, ma profondamente apatica, instabile.
Il suo aereo infiammato nell’incendio di una psicologia in perenne lotta interna.
L’uomo succube di se stesso, la grandezza succube della fragilità, la libertà succube dell’inquieta e perpetua ossessione.




