Christine McPherson dà “a se stessa e per se stessa” il nome di “Lady Bird”, sostiene con rammarico di abitare “dalla parte sbagliata dei binari” e di voler fuggire da Sacramento, la città più noiosa della California nella quale le è toccato nascere e crescere. Ha un forte desiderio di cultura e grandezza. Con la sua chioma ribelle tinta di rosa-rosso, il personaggio costruisce di sé una palese narrazione per affermare un’indipendenza non proprio reale quanto più desiderata.
Il film ci parla fondamentalmente della sensibilità di Greta Gerwig (qui alla sua prima regia) che pervade ogni dialogo e l’intero mood della pellicola. La Gerwig afferma che non si tratta di un film autobiografico in senso stretto, in quanto lei non ha mai fatto molte delle cose che vediamo fare dalla protagonista. Ma il cinema e l’arte sono spesso una trasposizione semplificata, mitizzata e assurta a esempio di quello che accade nella vita reale. O lo sono almeno in questo caso. Per questo si ha la sensazione di aver già visto la vicenda di Lady Bird: una storia piuttosto classica (a volte verrebbe da dire scontata) di coming-of-age in cui la ragazzina di provincia sogna un mondo migliore e più grande di quello che la circonda, litigando perpetuamente con la madre e sperando che l’ammissione ad uno dei college di New York la salvi e le permetta di volare via. Il tutto misto ovviamente ai caratteri del sogno americano, in cui su ogni cosa prevale il desiderio di andare oltre, di essere qualcosa di più, come emerge simbolicamente dalla scena in cui madre e figlia si dedicano alla loro “attività preferita”: andare in giro a visitare case in vendita lussuosissime e decisamente fuori dalla loro portata.
C’è da ammettere che praticamente tutti gli elementi di trama che compongono il film sono tutt’altro che originali; ciò che sorprende sono semmai le importanti candidature agli Oscar e i record di recensioni positive su Rotten Tomatoes.
Cosa c’è di tanto acclamabile in Lady Bird?
È un film a tratti impacciato e infantile, ma anche ironico e visibilmente sincero. I dialoghi, nei quali è deliziosamente chiara la firma della Gerwig, sono costellati di battute intelligenti in una maniera vivace e puntuale; oscillano tra l’apparire a volte troppo prevedibili e il suonare altre volte comici in modo quasi “strano” (“la gente si fa chiamare coi nomi scelti dai propri genitori, ma poi non crede in Dio”). Il tutto messo insieme dall’inconfondibile “grazia imbranata” della regista.
Come altri bei teen movies, Lady Bird trasmette il messaggio di non omologazione suggerendo spunti davvero anticonvenzionali: ad esempio la storia della protagonista non è legata ad un unico ragazzo, ce ne sono ben due (se non tre) di potenziali principi azzurri per la mitologia ideale di Lady Bird, ma nessuno di loro è “quello giusto”. Come a dire: non è proprio questo il punto. Le relazioni importanti (che portano con sé veri conflitti) sono altre, come quella con la madre o con la migliore amica Julia. Persino al ballo scolastico, un’amica – se è quella giusta – può farti ben più felice di un ragazzo.
Il rapporto tra la protagonista e sua madre merita una riflessione in più. Le due si somigliano fin troppo: entrambe forti e intelligenti ma sincere anche quando significa dire verità che feriscono, e quindi destinate a scontrarsi. Eppure, tutto ciò che vuole la protagonista è un po’ di approvazione da parte della madre: non solo farsi amare ma anche piacerle, come emerge loquacemente dallo scambio di battute in cui la madre la incalza: “vorrei solo che tu fossi la versione migliore di te stessa!” e la ragazza le chiede: “e se fosse questa la versione migliore?”. Tra le due c’è in fondo un rapporto intenso ma mancato, indiretto, insoddisfatto, che non riesce ad andare fino in fondo all’amore che le due realmente provano, come si vede dalla scena finale, che ci lascia con un sapore un po’ amaro in bocca.
Ed è forse proprio la vena malinconica a prevalere caratterizzando in un modo originale l’intera commedia: la regista non guarda al passato con toni di affetto compiaciuto ma consapevole che crescere non significa soltanto fare un bel bagno di realtà e dimenticarsi ogni mito. Non c’è un’unica lezione da imparare, una ricetta perfetta per crescere. Lentamente Christine ha imparato a conoscere il valore delle cose e delle persone che le stanno attorno: in questo non c’è nulla di mitizzabile o semplificabile, ed è una verità che il film ha saputo trasmettere chiaramente, un saper guardare al passato con lucida attenzione, senza che il filtro della nostalgia appiattisca tutto.
Lady Bird è da sempre a contatto con figure in difficoltà, come il padre depresso e disoccupato o il prete che insegna nella classe di teatro. Figure che compongono un mondo un po’ triste, ma per il quale la regista fa una dichiarazione d’amore: ognuno di noi prova amore per la città in cui è cresciuto solo quando l’ha lasciata, quando è destinato a sentirne la mancanza perché quel mondo se ne è andato. E, proprio come emerge in uno splendido dialogo tra la protagonista e la suora insegnante, il film fa di questo amore una forma di attenzione.