Il Joker e il riso satanico di Baudelaire

Andrea Vailati

Novembre 29, 2018

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Il Joker e il riso satanico di Baudelaire

«Il riso è satanico, perciò è profondamente umano. Il riso è nell’uomo la conseguenza dell’idea della propria superiorità; e, in effetto, siccome il riso è essenzialmente umano, è per essenza contraddittorio, in altre parole è a un tempo segno di una grandezza infinita e di una miseria infinita, miseria infinita in rapporto all’Essere assoluto di cui possiede il concetto, grandezza infinita in rapporto agli animali. Dal continuo scontro di questi due infiniti promana il riso. Il comico, la potenza del riso è nel soggetto che ride e niente affatto nell’oggetto del riso».


(C. Baudelaire, L’Essence du rire)

Il Joker
Charles Baudelaire

Charles Baudelaire, dal 1855 al 1868, riflette sull’essenza del riso. Con un ispirato sguardo così semplice nella stesura, eppure così evocativo nelle miriadi di intuizioni e di citazioni, il poeta, saggista e lungimirante osservatore dell’antropologia umana, sottopone il riso allo scandaglio dell’inquietudine.

«Il saggio non ride se non tremando», così inizia il secondo paragrafo, aprendo il primo grande quesito di Baudelaire: in un’ottica teologica, i profeti narrano, ciò che è sapienza pura, divina e illuminata, si distanzia con volontà forte dal riso. Perché?
Cosa svilisce l’atto del ridere dalla purezza assoluta?

La risposta, eternamente oscura, è profondamente umana.

Il Joker, emblema della letteratura fumettistica, in ogni sua riproposizione cinematografica, si rivela un perfetto dilatante di tale sfumata ombra.

Perché il Joker, maschera ridicola e inquietante, non è che l’uomo consapevole a tal punto da perdere coscienziosità razionale; non è che il culmine di colui che svela il miserabile umano, deridendolo, deridendosi.

Il Joker, ovvero il Melmoth del nostro tempo

 «Cosa vi è di più grande, di più potente rispetto alla povera umanità del pallido Melmoth? E non di meno vi è in lui una parte debole, abietta, anti divina e anti luminosa. Come ride, come ride per l’appunto paragonandosi di continuo alle larve umane, lui così forte ed intelligente, per il quale vengono meno alcune leggi fondatrici dell’uomo, fisiche e intellettuali. (…) È uscito dalle condizioni fondamentali della vita e i suoi organi non sopportano più il suo pensiero. Per questo quel riso agghiaccia e contorce le viscere. È un riso che non dorme mai, come una malattia che insegue imperturbabile il suo corso ed obbedisce ad un ordine della provvidenza. Così il riso di Melmoth, che è l’espressione più alta dell’orgoglio, adempie in eterno alla sua funzione, lacerando e bruciando le labbra del riso umano che non conosce remissione».


(C. Baudelaire, L’Essence du rire)

Che siano vili criminali, semplici uomini, politici spaventati o persino paladini come Harvey Dent, Il Joker demolisce eternamente la loro essenza.

Egli è colui che ha svelato la stagnante mediocrità dell’uomo, come Melmoth, essere ibrido, degenerazione satanica del demone platonico. Egli è nel mezzo, poiché nonostante abbia scoperto il fallimento dell’uomo illuso, fintamente compiuto, fintamente felice, è pur sempre anch’egli non divino, non puro, non assoluto.

Così, rinchiuso in un’eternità vivibile, ma sofferente per colui che sa, ma che non può essere superamento aulico del suo sapere, Melmoth stagna per sempre nel fango del deridere l’essere umano, ma del deridere al contempo se stesso poiché surrogato malvagio del sapere.

Il Joker, erede di tale archetipo, nella sua maschera che smaschera, lacera con il suo riso trascendente l’uomo trattenuto in se stesso, mostrandogli l’inquietudine di cui è composto implicitamente, ma lacera anche se stesso, poiché pur sempre umano, pur sempre dannato, ancora di più per via del suo sapere.

«Certi uomini vogliono solo veder bruciare il mondo», perché conoscono l’illusione di un mondo che non bruci, conoscono la verità di un mondo che brucia sempre. Il Joker si erge più in alto della condizione umana, ma in realtà, nella sua perpetua contraddizione, più in basso degli uomini, perché avendo avuto accesso alla profonda inquietante verità, quella dell’egoismo, della paura, della vergogna, dell’arrivismo sociale, della finta morale, della finta società, non può che ritornare al primordiale caotico, e in tale ossimoro nutrirsi del riso di se stesso.

«Poiché il comico è segno di superiorità o di fiducia nella propria superiorità».


(C. Baudelaire, L’Essence du rire)

Il Joker
Jack Nicholson interpreta il Joker

Dunque, proseguendo nella riflessione, Baudelaire constata come il comico si affermi in una sottile e sottesa forma di consapevolezza della propria superiorità, dell’uomo sull’animale, dell’uomo sull’uomo. Ma non è una diretta proporzionalità onnipresente, bensì un’evidenza umana, troppo umana, quella che il poeta riscopre. Gli animali non ridono delle piante, così come il Divino, capace di pianto e di collera, non ride dell’uomo miserabile. Perché è nel concepirsi del sentimento di superiorità che l’uomo ride dell’inferiore, così come un amico che ride d’un altro che è caduto, con percepibile, ma fallace innocenza, così come un popolo che surclassa un altro.

Ma Joker e Melmoth si riferiscono all’archetipo d’umano stesso, meta-deridendo il loro deridersi tra loro, con una satanica purezza poetica, proprio perché consapevoli del senso stesso di tale deridere. Gli uomini non lo sanno, navigando nella superficie risultante di tali ombre ancestrali, Joker e Melmoth risiedono proprio nel crepuscolo del riso.

Così, piuttosto che bruciare passivamente, tali icone assolute bruciano per scelta, superiori e inferiori nel medesimo istante, incapaci di vivere accettando una vita che si deride in se stessa.

Joker: «Ora vedo il lato buffo…ora sorrido sempre!».

Il Joker

Perché Batman non ride mai?

«Cosi l’elemento angelico e l’elemento diabolico agiscono in parallelo. L’umanità si eleva e acquista per il male e l’intelligenza del male una forza in proporzione crescente a quella acquisita per il bene».


(C. Baudelaire, L’Essence du rire)

Baudelaire e Joker
Joker e Batman

Perché Batman non ride mai?
Perché egli percorre la medesima via, in parallelo, verso mete opposte del Joker. Egli comprende a sua volta la menzogna umana, sociale, morale. Egli assume in sé la paura, così tanto repressa dall’uomo, così tanto necessaria perché egli si risvegli nel Vero.
Ma Batman vuole salvarlo il mondo, non vederlo bruciare, vuole abnegare se stesso perché il mondo sopravviva. Dunque, il Serio è l’attributo che lo definisce, condizione necessaria per non ergersi nella superiorità di colui che sa di sapere il non sapere umano.

Ma Baudelaire vede in quel non riso due estremi, della purezza ingenua e della purezza assoluta. Solo l’innocente o il divino non ridono, perché non contaminati dall’oscuro bisogno di prevaricare, esistente solo in colui che è non è tutto in sé, esistente solo nella miserabile parzialità dell’uomo.

Dove si colloca Batman?

Egli conosce, dunque non è ingenuo. Può egli essere giusto alla verità più pura?
No, ma non per sua possibilità, bensì perché il mondo impuro ha bisogno di lui ed egli deve essere impuro per poterlo salvare.

Il fumetto

Così, impossibilitato al solipsismo necessario a ergersi nel puro, egli si macchia del compromesso necessario, di un machiavellismo puro nell’impuro. Ma non perde di vista la sua epifania, vacilla sì quando Joker, a lui pari in consapevolezza, ma superiore in accettazione della primordiale oscurità, lo smuove verso tale silenziosa verità.

Ma Batman accetta a sua volta il suo ossimoro, Cavaliere Oscuro, e resiste, serio, per sempre.

Commissario Gordon: «Perché Batman è l’eroe che Gotham merita, ma non quello di cui ha bisogno adesso. E quindi gli daremo la caccia. Perché lui può sopportarlo. Perché lui non è un eroe. È un guardiano silenzioso che vigila su Gotham. Un Cavaliere Oscuro».

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