Immaginatevi un bambino, magari sui 4/5 anni. Destandosi dal suo sonno, si alza, sentendo la propria madre lanciare piccole urla di paura. Camminando a tentoni nel buio corridoio, giunge nel salone, trovando i propri genitori sul divano, ipnotizzati dalle immagini sullo schermo del proprio televisore a tubo catodico. Il bambino si stropiccia gli occhi per poi vedere un bicchier d’acqua, poggiato sul cruscotto di una vettura, durante una forte pioggia. Poi la terra trema brevemente, insieme all’acqua nel bicchiere. Tre volte, l’acqua nel bicchiere trema. Anche le corde vocali della madre del piccolo tremano, lanciano piccoli guaiti di paura a ogni scossa. La tensione è visibile sul volto degli spettatori tanto quanto in quello dei personaggi nella jeep che porta il logo del Jurassic Park.
Pochi secondi dopo, appare: il T-Rex, giusto la sua testa, mascherata dal buio, dalla pioggia e dalla vegetazione. Il resto della scena indica le vere dimensioni della creatura, tra cavi e intere recinzioni strappate dal suo corpo. Infine, arriva. Quei passi che scuotono la terra risuonano nella pioggia. Il tirannosauro, titanico al di sopra delle jeep sulla strada, pianta le sue enormi zampe sull’asfalto, e rilascia un boato assordante e terrificante.
Quel bambino, ancora sonnolento e confuso, non ha ancora una chiara nozione della differenza tra realtà e finzione. Per quel bambino quella creatura, quel tirannosauro, è reale. Eppure, non è spaventato, come la madre. Ne è meravigliato, e ne sarà per il resto della sua vita. Perchè Steven Spielberg ha reso quel tirannosauro reale.
Spielberg acquistò i diritti per il romanzo di Michael Crichton nel 1989, un anno prima del suo rilascio, e segnando l’inizio della pre-produzione già quattro anni prima dell’uscita del film. Anni in cui Spielberg e il suo team tecnico hanno lavorato duramente per comprendere come riprodurre sullo schermo con fedeltà e credibilità le creature descritte da Crichton. Oggi, nel 2019, un simile problema sarebbe facile da sormontare, viziati come siamo da blockbuster con effetti speciali strabilianti. Nel 1993, invece, si trattava di un azzardo impossibile. Quale strumento usare? Animatronics? Stop Motion? Go Motion? Costumi da dinosauro realistici? Computer Grafica, si ancora acerba, ma già ammaliante, come quella in Terminator 2 di James Cameron?
Creare i dinosauri di Jurassic Park era un impresa titanica, che, sotto un occhio più incurante o sbadato, sarebbe risultata in un autentico disastro. Fortunamente, pochi registi hanno l’occhio del pionere della Nuova Hollywood.
L’ingegno di Spielberg impregna la peliccola, dalla cura posta nella riproduzione delle estinte creature alla creazione dei dettagli di scene ormai iconiche. Come riprodurre, per esempio, il tremolio del bicchier d’acqua sul cruscotto della già citata jeep? Nonostante la complessità degli effetti per i dinosauri, questo particolare era il più difficile da ricreare per il team tecnico, finchè non venne l’illuminazione: corde di chitarra installate sotto il cruscotto e pizzicate dal supervisore degli effetti speciali Michael Lantieri. Anche se questo articolo è una celebrazione dell’estro di Spielberg, non lodare i suoi collaboratori sarebbe un crimine.
Ogni piccolo colpo di genio durante la produzione del film, però, sarebbe sprecato senza un riconoscimento a livello tematico del film. James Cameron si è visto sfuggire i diritti cinematografici dell’opera per un soffio, affermando poi che la sua versione sarebbe stata molto più violenta, come Aliens ma coi dinosauri. Per quanto allettante l’idea, sembra quasi impossibile non immaginare ora Jurassic Park come una storia di meraviglia e tensioni infantili, dove le bocche rimangono aperte, gli occhi spalancati e i cuori sono più leggeri.
Se la scena descritta a inizio articolo sa meravigliare e spaventare allo stesso tempo, l’altra faccia di questa medaglia è il primo momento in cui appaiono le magnifiche creature. Dr. Grant e Dr. Sattler, accompagnati da Ian Malcom e dal fondatore del parco, fermano la loro jeep. Grant si alza lentamente, la telecamera si avvicina docilmente. Si toglie i suoi occhiali, affermandoli con due tremanti mani. Sattler, persa nella mappa della struttura, alza lo sguardo solo dopo che Grante le afferra con decisione il capo.
E poi, lo vedono. Il brontosauro.
I protagonisti sono scienziati, ma hanno una scintilla di meraviglia giovanile nei loro occhi. Le creature che hanno studiato per anni, su cui hanno passato notti insonne e per cui hanno dedicato la loro vita, sono davanti ai loro occhi, muovendosi in branchi. Dalla fotografia, all’impeccabile recitazione, dai già citati effetti speciali alla gloriosa colonna sonora di John Williams, ogni elemento coopera per destare quel senso di meraviglia, per arpionare l’immaginazione di, ormai, generazioni di spettatori.
Spielberg è sempre stato un classicista cinematografico. Pioniere della Nuova Hollywood degli anni 70′ ma con un occhio profondamente nostalgico. Indiana Jones celebrava i serial degli anni 30′ e 40′, Ultimatum alla Terra ha ispirato tonalmente Incontri ravvicinati del Terzo Tipo e a questo potremmo aggiungere infiniti esempi. Parlando di Jurassic Park però, le due ispirazioni principali sono il King Kong del 1933 e Godzilla, con particolare enfasi su Godzilla, King of the Monsters! (1965).
Ripensando alla scelta iniziale di ricreare i dinosauri di Jurassic Park in stop-motion, è difficile non fare un collegamento con il cult sull’Ottava meraviglia del Mondo. Kong fu animato in stop-motion e usando altre tecniche all’avanguardia per la Hollywood degli anni d’oro, creando una figura tangibile quanto impressionante. L’idea di una creatura tanto maestosa quanto pericolosa, che finisce per ribellarsi contro coloro che intendono sfruttarla, non può essere casuale.
L’influenza dell’ originale Godzilla, King of the Monsters! è ancor più diretta. Nel The Making of Jurassic Park, Spielberg dichiara che:
“Godzilla … era il più impressionante film di dinosauri, perchè era capace di convincerti che era reale”.
Quell’inganno, tanto caro ai più grandi cineasti di sempre, a metà fra realtà e fantasia, si svolge su una linea sottilissima, pericolosa da camminare, ma necessaria per strappare quel sorriso di meraviglia da un giovane spettatore.
Magari Spielberg ha visto il classico Kaiju movie con lo stesso spirito di curiosità del bambino descritto a inizio articolo, raccapezzandosi su come fosse possibile ricreare quello splendido mostro sul suo schermo a tubo catodico. Magari, è grazie a quel sentimento infantile ma rincuorante che abbiamo visto le porte del Jurassic Park aprirsi. E ancora oggi, siamo i benvenuti ed entriamo con un sorriso stampato sulle labbra e con occhi colmi di meraviglia.