Mindhunter 2 – Conoscere il Male ha un prezzo
«Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà dentro di te».
(Friedrich Nietzsche)
Perché l’essere umano appare così profondamente affascinato dal Male? Perché anche la mente con la bussola morale più orientata può essere dirottata verso i meandri più oscuri?
È come se l’uomo non riuscisse a non rispondere allo sguardo proveniente da quegli occhi nascosti nell’oscurità, forse perché pervaso da un’angosciante curiosità, perché ammaliato dal potere che si annida in quel luogo. O, forse, perché un Male proveniente dall’esterno spaventa meno che affrontare i propri stessi demoni.
E se quei demoni fossero generati proprio dalla conoscenza di quel Male?
«Il male conosce il bene, ma il bene non conosce il male» sostenne Franz Kafka; tuttavia, i protagonisti di Mindhunter, Holden Ford, Bill Tench e Wendy Carr, sono riusciti a smentire lo scrittore boemo. Poiché, seppur condotti da una finalità genuina e positiva, hanno conosciuto il Male, ne hanno compreso le dinamiche e, dialogando incessantemente con l’oscurità, hanno scrutato in quell’abisso, perdendosi nella sua assenza di limiti.
Da queste premesse emerge la seconda stagione di Mindhunter, la serie dalle sfumature cinematografiche targata David Fincher.
Nella prima stagione i protagonisti furono travolti da un’ondata di meraviglia quando scoprirono che sarebbe stato possibile creare un profilo psicologico di diversi omicida seriali. Coniarono così il termine serial killer, attraverso il riscontro di esperienze passate, situazioni familiari, pensieri e comportamenti del tutto assimilabili. Ciò avvenne grazie a un’intuizione del giovane Holden che decise di intervistare famosi criminali ormai sotto prigionia; in questo modo, l’agente dell’FBI attuò la ricerca di una logica nel caos, una ragione nell’irrazionale, un senso nella follia che pervade la mente di quei personaggi.
La consapevolezza di questa verità, però, implica un autentico contatto con il Male. Tuttavia, se nella prima stagione l’iniziale incontro con l’oscurità esiste come puro atto di scoperta e rivelazione, nella seconda stagione emergono le conseguenze che l’assunzione di queste conoscenze hanno sulla mente degli investigatori, di coloro che, idealmente, dovrebbero essere protetti dalle barriere del bene.
La domanda sorge quindi spontanea: nel momento in cui viene acquisita l’autentica consapevolezza del Male, che effetto genera sulla vita personale ed esistenziale dei protagonisti?
Holden – L’ingenuità della passione
Alla fine della prima stagione di Mindhunter appare chiaro come Holden abbia perso il controllo di se stesso, accecato dalle sue stesse scoperte; è come se avesse abbandonato la strada maestra e si fosse addentrato in piccoli e misteriosi vicoli.
Questo personaggio, mosso da una quasi infantile curiosità, non si è limitato a conoscere il Male, osservandolo da lontano e con la giusta quantità di ribrezzo, ma ha deciso di immergervisi completamente, esponendo sé e la propria psiche.
Holden Ford entrando in empatia con gli psicopatici è riuscito a illuminare uno spiraglio nella loro oscura mente, ma quest’apertura comporta, inevitabilmente, che del buio possa varcare nel mondo della luce. In questo senso scrutare il Male, personificato da chi strangola, stupra e ruba la vita a vittime innocenti, corrompe la mente di chi lo scruta.
Le conseguenze dell’acquisizione di tali conoscenze e verità conducono l’agente Ford a essere travolto da improvvisi attacchi di panico nei quali la paura, l’insicurezza e la consapevolezza di quanta ingiustizia e sofferenza riposi ovunque sotto i nostri passi, trascinano il personaggio a una condizione di angosciante crisi personale.
Tuttavia, nel corso della seconda stagione, Holden imparerà a controllare questa problematica, tanto che con l’accadere degli eventi la dimensione degli attacchi di panico scomparirà del tutto.
Pur essendo consapevole della brutalità morale che pervade la mente dei serial killer, il protagonista rimane fortemente affascinato dal genio, maligno, ma pur sempre genio, che abita l’animo di questi psicopatici. Nella seconda stagione, infatti, si vede l’agente Ford intervistare alcuni criminali seriali come William Junior Pierce, e rimanere del tutto neutrale e distante, assumendo quasi un atteggiamento altezzoso, non perché abbia in qualche modo imparato la lezione, ma perché questi psicopatici non possedevano l’acutezza mentale che invece manifestava “l’amico” Ed Kemper o il “mito” Charles Manson.
Ripresa la stabilità mentale che lo caratterizza, Holden si immerge totalmente nel proprio lavoro, nella propria ragione di vita, ormai consapevole di realizzare un progetto di fondamentale importanza.
Bill – Il peso delle responsabilità
Bill Tench rappresenta la colonna portante della squadra dell’Unità di Scienze Comportamentali, l’intermediario con gli uffici dell’FBI, il protettore del giovane Ford, oltre che un marito e padre di famiglia.
Pur avendo scrutato meno nell’abisso rispetto al compagno, l’agente Tench verrà trascinato in quel luogo di sconfinato spaesamento e sofferenza.
Se nella prima stagione di Mindhunter Bill era un personaggio che riusciva ad avere i diversi rami della propria vita sotto controllo, nella seconda stagione quell’equilibrio si spacca.
La dimensione lavorativa e quella famigliare iniziano a mescolarsi e il personaggio verrà sempre più convolto emotivamente nei casi, perché la conoscenza del Male è come se agisse da linfa vitale per i propri demoni interiori, quei demoni ormai così imponenti che lo accompagnano nel viaggio verso casa o prima di addormentarsi.
Già nella prima stagione Nancy (moglie di Bill) si mostrava preoccupata per la salute mentale del problematico Brian, il figlio da loro adottato con un passato sconosciuto, che si impossessò di alcune foto di scene del crimine appartenenti al padre. Il figlio nella seconda stagione fu presente e impassibile quando dei ragazzi più grandi, per errore, uccisero un bambino di quasi due anni e, una volta morto, venne crocifisso su idea del piccolo Brian perché potesse resuscitare come Gesù.
Lavoro e famiglia iniziano ad assumere le stesse sembianze perché divenuti due ambienti profondamente simili, caratterizzati da sentimenti e parole affini. In un episodio, esaminando il caso di Candy Man, l’agente Tench era convinto della colpevolezza di Hanley, un ragazzo che affiancava il criminale, ma non prendeva parte ai massacri; tuttavia, nell’episodio successivo, quando venne resa manifesta la storia di Brian, sembra che Bill abbia cambiato radicalmente posizione, quasi giustificando le intenzioni di quel ragazzo che gli ricordavano in parte un’estremizzazione di ciò che è accaduto al figlio.
Per il resto della stagione il protagonista è costretto a dividere la propria vita in due mondi tanto diversi quanto simili: in settimana è ad Atlanta ad aiutare Holden e la squadra, mentre nel weekend torna a casa per recarsi da psicologi e assistenti sociali.
Bill è pervaso da angoscia e senso di impotenza, trovandosi incapace di gestire il rapporto con un figlio apparentemente apatico e costantemente silenzioso, un figlio che ha tutte le carte in regola per diventare uno di quei soggetti che il padre tenta di fermare.
Questa situazione condusse Bill sull’orlo del baratro, cadendo inesorabilmente in quell’abisso capace di negare qualsivoglia certezza; tranne una, tranne quella che ormai ha incorporato e gli svuota lo spirito, tranne la certezza che, forse, lui stesso abbia delle grandi responsabilità nella possibile natura malvagia del figlio.
Wendy – Manie di raziocinio
Wendy Carr in quanto outsider e accademica del gruppo di ricerca attua anch’essa un dialogo con l’oscurità, ma lo fa attraverso un taglio più metodico e fortemente razionalizzante. È come se il metodo scientifico della dottoressa le consentisse di avere una barriera protettiva nei confronti delle menti psicopatiche.
Tuttavia, Wendy è profondamente affascinata dall’estremismo che caratterizza la psiche di quei personaggi; infatti, nella seconda stagione, per la prima volta la protagonista prende parte a due interviste con dei criminali, esponendosi radicalmente a loro.
Inoltre il personaggio di Wendy, omossessuale in un mondo non ancora pronto a tale eccesso, incontra Kay, una barista con un forte spirito della quale si innamora. Nella narrazione della loro storia sentimentale Wendy si rivelerà essere una donna sempre pronta a giudicare gli altri dall’alto del suo piedistallo, analizzando ogni persona come un caso scientifico da studiare, ricercando cause e motivazioni per razionalizzare ogni comportamento, rifiutando così l’imprevedibile accadere della realtà.
La dottoressa Carr si mostrerà essere troppo attratta da ogni forma di estrema personalità, riferendosi sia a casi psicopatologici da studiare sia ad amanti alle quali concedersi. In questo modo, però, mostra una preoccupante indifferenza nel relazionarsi con le persone normali.