Rick Dalton – Il primo protagonista mediocre di un film di Tarantino

Matteo Melis

Ottobre 1, 2019

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Rick Dalton.

Diciamocelo, Rick Dalton è un personaggio mediocre.

Chiariamo subito, è scritto divinamente, ma è un uomo mediocre. Spesso non fa buoni film, non accetta i nuovi generi cinematografici, brilla di una luce opaca che appartiene al passato. Rick pensa di stare incidendo il suo nome a caratteri cubitali nella storia del cinema, ma in fin dei conti è quasi un ex, o ancor peggio, un attore di serie B.

Quando il suo fidato compare e controfigura Cliff gli ricorda che lui è “Rick fuckin Dalton“, la sua espressione sembra ancora rassicurarsi, anche se a fatica. Perché nessuna persona con delle solide consapevolezze sarebbe così tanto fiera di essere lui.

Il protagonista di C’era una volta a… Hollywood è un uomo estremamente fragile, volubile, insicuro e, soprattutto, è un impaziente arrivista. Invero, si può lavorare a buone produzioni e a fiction televisive per arrivare nella Hollywood che conta, ma una scorciatoia più vantaggiosa può essere quella di vedere le porte del cancello di casa Polański spalancarsi.

Rick lavora con uno spirito ben lontano da quello dell’artista, spesso accompagnato da poca professionalità: critica aspramente i film nei quali recita, non sta simpatico ai membri della troupe, addirittura arriva a dimenticarsi le battute. Una volta commessi degli errori nemmeno riesce ad affrontarli, anzi si dà addosso per ogni sbaglio ed entra in una spirale crescente di insoddisfazione e insicurezza. Niente di strano, esistono un’infinità di film che raccontano storie di perdenti, di una fragilità profondamente umana, comprensibile, se non fosse che stiamo parlando di un film di Quentin Tarantino.

Se facciamo un passo indietro e analizziamo i protagonisti degli altri film di Tarantino, un personaggio così caratterizzato non ha mai visto la luce, non è mai emerso dalle pagine di una sceneggiatura. Probabilmente, anche se allarghiamo lo sguardo verso i personaggi principali di tutta la sua filmografia, non riusciamo a trovare qualcuno assimilabile a Rick Dalton.

Riflettendo sulla professionalità di Jules e Vincent, sulla forza di volontà di Beatrix Kiddo, sulla genialità di Jackie Brown, sulla caparbietà di Aldo Raine, possiamo notare come non ci sia particolare traccia di insicurezza, poca determinazione o scarso talento in quello che fanno. Anzi, di solito, quando un protagonista di un film di Tarantino si prefigge un obiettivo riesce a raggiungerlo.

Per Rick l’unico momento davvero gratificante arriva durante le riprese di uno dei western in cui recita, nel quale lavora con la piccola Trudi Fraser che all’orecchio gli confessa: “Questa è la miglior recitazione che abbia visto in tutta la mia vita”. Ma attenzione, a dirglielo è una persona che ha vissuto meno di dieci anni.

Inoltre, nonostante la scena sia appagante, sembra che quella ottima prova di Rick sia più un caso isolato che una vera prova della sua abilità attoriale; infatti, questo improvviso talento compare in modo chiaro solo in quella scena, quasi per dimostrarci cosa Rick potrebbe essere capace di fare, potrebbe trascendere e superare la propria mediocrità; dopodiché, tutto sembra tornare al punto di partenza.

Per questi motivi, non userei mai l’aggettivo “tarantiniano” per definire C’era una volta a… Hollywood. Anzi, è un film che, almeno in parte, parla un linguaggio ben diverso dal solito. Questo cambiamento si vede dalla scarsezza di scene splatter, da porzioni significative di film nelle quali si costruiscono legami astratti tra personaggi sconosciuti, dal fatto che i protagonisti dialoghino il giusto anziché straparlare per mostrarsi allo spettatore.

Tarantino, a tratti, capovolge se stesso per mostrare qualcosa in più della sua persona: le insicurezze, l’amore per il Cinema e per la sua terra, le enormi insidie che Hollywood cela dietro la sua perfetta apparenza. Rick è diverso da tutti gli altri protagonisti perché, in prima istanza, è Tarantino a essere cambiato, e con lui i suoi film, che ora richiedono un protagonista meno brillante ma molto più umano e fallibile.

Siamo di fronte alla penultima fatica del Maestro di Knoxville, o almeno così ha dichiarato il regista. Dopo anni di attività e otto meravigliose opere, per un autore è giusto e necessario rischiare, mostrarsi e raccontarsi.

Forse è proprio attraverso gli atteggiamenti di Rick Dalton, attore che nel suo declino suggerisce la decadenza del cinema degli anni d’oro, che Tarantino sussurra la propria confessione: la paura di sentirsi improvvisamente vecchio, condannato ad un passato che ormai non è più.  Ecco perché azzardare, perché rinnovarsi, perché Tarantino vuole essere per noi quello che il suo adorato cinema degli anni ’60 è per lui.

Tuttavia, chi è destinato all’eternità non può invecchiare.

Leggi anche: C’era una volta a… Hollywood – Cliff Booth e il retaggio tarantiniano della drammaturgia inglese

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