“T’appartengo ed io ci tengo, e se prometto poi mantengo” cantava negli anni ’90 Ambra Angiolini in chiave pop-amorosa, in quella che è stata la canzone rappresentativa di un’epoca. Lo stesso verso è stato poi ripreso, con connotazioni diverse, da Marracash, nel suo ultimo album Persona. Per quanto concettualmente diversi e lontani nel tempo, questi due brani hanno un’etica comune: quella dell’appartenenza intesa come riconoscimento dell’affinità con altri esseri umani. La stessa etica su cui si basa il percorso di crescita di Kuzco ne Le Follie dell’Imperatore.
Il film della Disney nasconde sotto la superficie di una buddy comedy un discorso più importante su quell’appartenenza che possiamo descrivere come il senso di vicinanza che si viene a creare all’interno di una relazione con altre persone o ambienti, che permette agli esseri umani di sentirsi a proprio agio e accettati. È una necessità che riguarda in maniera indistinta tutti, a prescindere dal ceto sociale.
Le Follie dell’Imperatore racconta la storia di Kuzco, l’imperatore di una città inca che vive praticamente solo nel suo enorme palazzo. Manca qualsiasi figura genitoriale, qualsiasi tipo di controllo. Il rapporto più intimo è quello con la malvagia Yzma, la consigliera che trama alle sue spalle un piano per liberarsi di lui e succedergli al trono.
La rappresentazione anaffettiva della vita al palazzo reale nasconde in realtà degli elementi di vuoto narrativo ed ambientale. Le grandi stanze vuote in cui grava un senso di solitudine mettono in primo piano l’assenza di una comunità come quella del villaggio.
Come anticipato, non c’è nessuno ad accompagnare la crescita di Kuzco: gli unici adulti presenti sono Yzma e la servitù.
È chiaro come crescere completamente solo contribuisca in maniera decisiva alla pessima formazione di Kuzco, che non è un leader ma un ragazzo capriccioso ed egoista talmente abituato a vivere per se stesso da non riuscire ad empatizzare con i suoi sudditi. Una situazione che tuttavia il protagonista non ha nessuna intenzione di cambiare, come dimostra il suo rifiuto categorico di scegliere una moglie fra le centinaia di ragazze che gli vengono proposte.
La situazione precipita quando Kuzco viene trasformato erroneamente in un lama e finisce, non per sua scelta, nel villaggio che voleva distruggere per costruire la sua residenza estiva. Da qui inizia un viaggio complicato insieme al capovillaggio Pacha fatto di inganni, false promesse e situazioni pericolose.
Se la costruzione narrativa è abbastanza classica, non lo sono la rappresentazione e l’evoluzione del personaggio di Kuzco. L’espediente della trasformazione in lama è molto più di un divertente escamotage per gag da slapstick. È piuttosto un meccanismo che rivela un paradosso: quando l’imperatore in quanto lama e per di più lontano dal palazzo non sente di appartenere più al suo mondo precedente, scopre in realtà di poter far parte di un mondo accogliente ed affettuoso come quello del villaggio.
Fondamentale in questo passaggio è la figura di Pacha, un gigante buono che incarna l’anima di quel villaggio che si pone in netta antitesi rispetto al palazzo, sia per l’umiltà dello stile di vita che per il calore dei suoi abitanti. La distanza tra il villaggio e il palazzo è soprattutto ideologica.
Yzma infatti rivela a Kuzco come a nessuno dei suoi sudditi sia importato nulla della sua presunta morte, tanto è vero che la vita è proseguita come niente fosse e nessuno si è posto domande sull’improvvisa scomparsa dell’imperatore.
Come nella grande tradizione dell’umanità, dunque, è dai luoghi più poveri che provengono gli istinti più umani ed empatici, la cui influenza farà compiere a Kuzco la sua necessaria parabola di crescita. All’inizio del film infatti l’imperatore è un cattivo umano, poi diventa un cattivo lama, ma successivamente si scopre buono e, nel momento in cui riprende le sembianze umane, la trasformazione più importante è quella avvenuta al suo interno. Con la sua gentilezza e la sua purezza Pacha fa conoscere all’imperatore una realtà che non aveva mai toccato prima, quella dell’appartenenza cui avevamo accennato all’inizio.
Le Follie dell’Imperatore dimostra come tutti vogliamo appartenere a qualcuno, che sia un rapporto d’amore come quello di Ambra, o l’appartenenza ad un gruppo di persone come nel caso di Marracash. Fiducia ed empatia sono due caratteristiche che solo grazie al senso di appartenenza al villaggio permettono a Kuzco di cambiare la propria condizione di vita per scoprire una felicità mai provata nella sua sfarzosa vita a palazzo.
Ancor più significativo è il fatto che Kuzco scopre questo senso di appartenenza proprio quando, trasformato in lama, sembra aver perso qualsiasi contatto con la propria vita. Le Follie dell’Imperatore intraprende una riflessione riguardo all’apparenza e alla sua innegabile rilevanza, ma è proprio nel momento in cui essa subisce un superamento che è possibile riscoprire gli aspetti più puri dell’animo.