Satantango è più di un film. È la sfida che Bela Tarr e il Cinema lanciano al Tempo, cercando di colmare la distanza che li separa.
Nella sua fluviale durata di sette ore e mezza, Satantango racconta di un inaspettato ritorno. Il ritorno di Petrina e, soprattutto, del suo “padrone” Irimiás in uno sperduto stabilimento della campagna ungherese sospeso tra il nessun luogo e il nessun tempo. I due, creduti morti, scatenano nei disperati abitanti reazioni diverse già dal loro affacciarsi sulla via che li riporta a casa.
Il tutto in soli 62 piani sequenza che prendono il ritmo di un vero tango (satanico): 12 capitoli, da 1 a 6 e poi indietro, da 6 a 1, proprio come le figure nella struttura della danza.
Satantango: Irimiás
A sostegno della potenza infinita e apocalittica della pellicola concorre in buona parte la figura del suo protagonista Irimiás. Il solo udir pronunciare questo nome genera pensieri, supposizioni, contrasti intestini, forze uguali e contrarie. Egli è il miracolo che si manifesta, il salvatore di anime, l’incarnazione dell’Amore. Allo stesso modo, egli è dannazione, è figlio di Satana, il mascalzone per eccellenza di cui si deve solo ed esclusivamente dubitare.
La penna di Laszlo Krasznahorkai, prima nel romanzo e poi nella sceneggiatura da lui stesso adattata insieme a Bela Tarr, dona al protagonista di Satantango ogni possibile attributo di indecifrabilità. Così, gli abitanti dello stabilimento combattono una battaglia psicologica con gli altri e con loro stessi causata dall’aura di mistero che circonda quest’anima.
Satantango, Buddismo e nemici della Fede
In un tempo e un luogo molto lontani da quelli di Satantango, il monaco buddista Nichiren Daishonin (1222-1282) ha dato una definizione che potrebbe venirci incontro nel decifrare meglio lo spirito di Irimiás. Egli, infatti, descrivendo i “tre potenti nemici” del Sutra del Loto, per ultimi cita i falsi santi arroganti, così descritti nello stesso Sutra:
«Avidi di vantaggi materiali e sostegni, predicheranno la Legge ai laici vestiti di abiti bianchi e saranno rispettati e riveriti dal mondo quasi fossero arhat in possesso dei poteri sovrannaturali».
(Sutra del Loto – capitolo XIII)
Raccontando delle persecuzioni da lui subite, Nichiren addita i suoi oppositori più potenti con questo appellativo: monaci eminenti, funzionari rispettati, in realtà falsificatori di documenti e calunniatori. Con le loro doti da imbonitori fanno in modo che egli venga esiliato per anni su di un monte alla mercè di condizioni atmosferiche rigidissime, e che i suoi seguaci siano perseguitati.
Tuttavia, c’è chi ha forza d’animo sufficiente per resistere e così, attraverso l’Illuminazione della fede e lo studio dei veri principi buddisti, Nichiren e i suoi vengono riconosciuti innocenti e i loro aguzzini condannati.
Irimiás: Persona rispettabile
Irimiás giunge allo stabilimento carico di grandi parole e di un carisma impensabile per gli abitanti. Sfruttando l’occasione di un discorso tenuto durante il funerale di una bambina vittima di sé stessa e della sua infinita solitudine, irretisce i suoi compatrioti. Promette loro una nuova vita, proclamandosene arcangelo annunciatore e anche Messia esecutore. Il varco di luce che si apre davanti ai loro occhi li acceca attraverso le parole del messaggero risorto dalla morte. Servono dei soldi che Irimiás non si sente di chiedere apertamente, morigerato com’è, ma essi decidono di donarglieli per espiare la loro colpa per la morte della piccola e per poter redimere la loro vita in un nuovo luogo.
Satantango: Sotterfugi e scontri aperti
Per i disperati non c’è tempo da perdere: in fretta e furia impacchettano le loro cose, lasciano indietro alcuni loro “compagni” e corrono dove, sono sicuri, Egli giungerà per salvarli. Ma Irimiás ha ben altri piani che, tuttavia, vengono negati anche a noi spettatori: sappiamo che parlerà con qualche amico influente e si accorderà per qualche piano segreto.
Questo mentre i suoi compagni si scontrano apertamente.
Il Signor Futaki, forse l’unico dubbioso da tempo sulle qualità di Irimiás, dichiara tutto il suo sospetto per il prolungato ritardo di colui che dovrebbe salvarli, ma finisce solo con rimediare un dente rotto. Il signor Schmidt, suo rivale, sente che il Santo non li tradirà. La lotta sta per prolungarsi, ma Egli infine sopraggiunge.
Irimiás: Falso santo arrogante
Nella luce del mattino, Irimiás appare, volto finalmente salvifico ancora una volta risorto.
È qui che, infine, si rivelerà tutta la sua natura. Egli accompagna i suoi adepti, finalmente felici, verso la stazione, dove darà loro dei compiti “temporanei” promettendo di venirli a riprendere una volta che tutto sarà pronto.
La verità è solo la definitiva dissoluzione del gruppo, l’allontanamento, la disgregazione dell’unione che fa forza e la consegna a un destino altrettanto miserabile di cui solo il falso santo arrogante Irimiás, il fautore di questo tango satanico, è a conoscenza.
Noi spettatori non possiamo far altro che assistere alla dissoluzione di ogni bene, alla vittoria della parola vuota e dell’opportunismo.
Non esiste assoluzione o luce, in Satantango.
Non esiste chi ricerca la Via dell’Illuminazione oltre il sospetto del Male. C’è solo chi si piega alla sua accettazione o chi ne rimane totalmente ignaro. Siamo lontani dal Giappone del Buddismo e degli ascoltatori della Voce che proviene dalla profondità della Vita. Questo Irimiás lo sa molto bene.
Così, egli continuerà a vagare, a dividere e imperare, reso invincibile dalla sua corazza di santità e dalla sua maschera di rettitudine.