Gohan – La crescita: tra idealità e maturità

Gianluca Colella

Giugno 21, 2020

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Nell’universo di Akira Toriyama, Son Gohan riveste un ruolo centrale e spesso sottovalutato: come figlio di Goku, questo personaggio testimonia l’integrazione tra la forza combattiva dei Saiyan e la tipica coscienziosità umana, ereditata dalla madre Chichi.

Il suo nome, che in giapponese significa “riso bollito”, viene dal nonno adottivo di Goku, al quale il protagonista resta profondamente legato.

La serie nella quale occupa lo spazio maggiore è senza dubbio Dragon Ball Z perché, durante i vari archi narrativi, seguiamo la sua progressiva maturazione dall’età infantile a quella adulta, riconoscendo in lui la tensione verso un complesso equilibrio tra la rabbia e il controllo degli impulsi Saiyan.

Quando Gohan si scatena, infatti, diventa praticamente inarrestabile e la sua forza bruta supera quella degli altri guerrieri, addestrati secondo le norme del combattimento.

Nella vita di questo personaggio, due sono i punti di riferimento che lo aiutano nel percorso di crescita che intraprende: indagare la relazione con il mentore Piccolo e il padre Goku è infatti fondamentale per comprendere la sua psiche e le sue scelte, spesso decisive durante le battaglie finali.

Gohan e Piccolo: educare alla vita

Gohan

Insegnare e apprendere sono due processi intrinsecamente legati, attivati grazie al contratto relazionale pedagogico e umano che si stabilisce tra due soggetti; interazioni reciproche animano una dinamica vitale, che consente all’uno di scambiare con l’altro il proprio vissuto, promuovendo un arricchimento essenziale.

È chiaro in ogni situazione, infatti, che nei rapporti umani lo scambio può avvenire solo se l’Altro è riconosciuto come individuo radicalmente diverso: se prevale la familiarità, il senso di questo scambio va perduto, e negli ambiti educativi questa legge è ancor più valida.

Altra questione in gioco è la sottile, necessaria differenza tra istruzione ed educazione: la prima attività è legata principalmente ai contenuti trasmessi, la seconda si focalizza maggiormente sulle necessità etiche e vitali di un individuo.

Piccolo, il namecciano protagonista della serie di Dragon Ball, sintetizza in sé gran parte di queste condizioni nel legame che stabilisce con il piccolo Gohan: prendendolo sotto la sua severa e paterna ala, lo aiuta a superare le proprie paure, a maturare come ragazzo e a riconoscersi in un’autenticità da scoprire, attraverso l’addestramento fisico e psicologico al combattimento.

La modalità con la quale entra in contatto con il figlio di Goku da un lato è necessariamente dura, perché in termini psicoanalitici Piccolo incarna il terzo che stacca Gohan dai propri sicuri legami d’attaccamento per presentargli il mondo esterno, e dall’altro tenera, perché in fin dei conti il namecciano spesso arriva a dimostrargli affetto, finanche a sacrificarsi per lui durante le battaglie più violente della saga di Freezer e Cell.

Per Freud, il padre della psicoanalisi, così come l’arte della psicoanalisi e del governo sono mestieri impossibili, discorso simile vale per l’educazione: la qualità comune a queste tre azioni umane è la necessità di mettere in gioco la propria soggettività per arrivare a contattare quella di un Altro, persona al tempo stesso simile e diversa da me.

Per Gohan, Piccolo diventa un punto di riferimento proprio perché instaura con lui un’autentica relazione educativa: un legame produttivo dal punto di vista della crescita personale e umana del giovane, che è tale perché sincera è la fede che Piccolo ripone in lui.

Gohan e Goku: Io e ideale dell’Io

Gohan

«Così come il padre devi essere!».

«Così come il padre non ti è concesso essere!».

(Sigmund Freud, “L’Io e l’Es”)

In questo modo, negli anni venti del Novecento, Freud sintetizzava gli equilibri che regolano i rapporti tra l’Io e l’ideale dell’Io, due istanze che spingeranno il pensatore a definire la seconda topica della sua metapsicologia.

Indagando tra clinica e teoria le evoluzioni del narcisismo, delle relazioni oggettuali e della pulsionalità inconscia, il padre della psicoanalisi contatta questioni fondamentali, dibattute ancora oggi in ambito psicologico perché espressioni di verità psichiche troppo spesso negate.

Nell’ambito della teorizzazione sul complesso edipico e sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino, Freud nota che la soggettività non è integra, bensì scissa in istanze collegate tra loro da dinamiche complesse: chiamarle conscio, preconscio e inconscio, oppure Io, Es e Super-Io cambia poco, ciò che conta è la regolazione di tali dinamiche.

Nello specifico, l’ideale dell’Io è un “gradino interno all’Io” che esercita nei confronti di quest’ultimo le funzioni di coscienza morale, osservazione e Io ideale: nell’arco di tutta la vita umana, il soggetto percepirà tra il proprio Sé e il proprio ideale uno scarto, una tensione legata a un fisiologico senso d’inferiorità nei confronti di ciò che spera di essere.

Ciononostante, l’integrazione tra realtà e immaginazione è possibile, quando l’Io si accorge che per crescere non deve necessariamente seguire le orme di una salvifica imago: verosimilmente, ciò accade a Gohan quando matura da ragazzo in uomo.

Dopo innumerevoli battaglie di vita o morte contro potenti nemici alieni, durante le quali assiste alla dipartita di suo padre e lo vendica, il mezzosangue Saiyan decide consapevolmente di restare un guerriero solo virtualmente; preferisce intraprendere l’umana carriera del ricercatore, lasciandosi alle spalle un passato violento, pur senza dimenticarlo.

Metaforicamente, Goku è l’ideale dell’Io di Gohan: inizialmente è la figura che lo stimola a migliorarsi, poi gradualmente la sua posizione viene integrata perché il giovane abbandona le onnipotenti pretese di imitazione e sceglie il suo percorso di vita unico, mantenendo l’equilibrio giusto tra le virtù ereditate dal padre e la propria personalità.

Leggi anche: Goku – L’Imprevedibile Virtù dell’Ingenuità

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