Molte esperienze di vita rendono l’uomo consapevole del fatto che i paradossi albergano nella sua anima. The Departed, film di Martin Scorsese del 2006, narra questa intima verità in una forma controversa, problematica e autentica.
Colin Sullivan (Matt Damon) e William Costigan (Leonardo DiCaprio) sono due giovani americani, l’uno lo specchio dell’altro: il primo è stato cresciuto da un boss mafioso, ma le apparenze civili e pulite gli consentono di ottenere un posto all’interno della polizia di Boston; mentre il secondo è un emarginato di periferia, che deve accontentarsi di un’operazione sotto copertura per incastrare proprio quel boss, Frank Costello.
L’arte del doppio gioco li riguarda entrambi, coinvolti su fronti diversi inestricabilmente intrecciati. Dopo molteplici operazioni caratterizzate da tradimenti, infiltrazioni, identità controverse, Costigan e Sullivan arrivano più volte a contatto, conoscendosi senza conoscersi, alterità analoghe separate da un radicale grado di separazione.
Inconsapevolmente, i due sono entrambi pedine di un gioco molto più importante di loro, che riguarda Costello, la polizia e l’FBI: solo alla fine comprenderanno quanto poco rilevante fosse il loro ruolo all’interno di questo corrotto quadro.
Eppure, proprio la fine ci riserva la preziosa possibilità di riflettere sul valore di un ruolo, sul valore dell’ambiente e sul valore dei valori stessi: cosa rende Costigan e Sullivan così diversi e al tempo stesso così simili?
La vendetta, il tradimento della giustizia
Dopo gli sviluppi adrenalinici che hanno messo fine alla vita di criminali e poliziotti a causa delle infiltrazioni di Costigan e Sullivan, i minuti finali di The Departed sono un’esplosione di caos, sangue e sorpresa:
Costigan: «Non c’è niente più fasullo di un poliziotto, tranne i poliziotti in tv».
Senza mezzi termini, la riflessione amara che William aveva fatto sull’identità delle persone in generale e dei poliziotti americani in particolare, diventa il manifesto di un concetto più legato all’esistenza umana che agli scopi, nobili, ma più descrittivi, del film di Scorsese.
Le dinamiche intersoggettive che coinvolgono Sullivan e Costigan non sono solo simmetricamente orizzontali, ma anche analoghe sul piano dei rapporti simbolici e necessari di padre e figlio, tra il primo con il boss Costello e il secondo con il capo della polizia Queenan.
Nel finale l’ardore rabbioso per le violazioni subite è un patema ricorrente per Costigan, che si sente vittima di un’ingiustizia che lo trascende di gran lunga.
Parafrasando un titolo di Primo Levi, i due protagonisti del film altro non sono che contingenti rappresentazioni di quei sommersi e di quei salvati che un posto nel mondo non l’hanno mai davvero trovato, ma se lo conquistano trattenendo il fiato, sul sottile filo che separa il vuoto del Male dal terreno del Bene.
Il cielo stellato e la legge morale

The Departed – Sullivan e Costigan
L’Illuminismo ha costruito castelli nell’aria della cultura europea del XVII secolo, gettando le basi per il Romanticismo, quello che ne è seguito e la configurazione esistenziale che si è proiettata fino alla nostra contemporaneità.
Le predisposizioni identitarie e morali di soggetti come Costigan e Sullivan non fanno altro che presentare inclinazioni della natura umana che alcuni dei pensatori dell’Illuminismo avevano evidenziato, su tutti il tedesco Immanuel Kant.
Nel momento in cui l’autore della Critica della ragion pratica (1788) si è occupato d’indagare la morale umana, non ha fatto altro che compiere un’operazione concettuale simile a quella fatta da Scorsese con la regia di The Departed.
L’esistenza dei principi morali umani è il fondamento dell’indagine etica di Kant. Secondo il filosofo, solo quando l’uomo tratta il prossimo come suo fine e non come mezzo, può dirsi un soggetto morale.
Nell’operare una distinzione tra morale deontologica (il fine vale per il fine) e ipotetica (il fine è uno scopo materiale, il raggiungimento di un utile), Kant elabora le celebri massime dell’imperativo categorico che auspicabilmente dovrebbero caratterizzare il comportamento morale umano.
«Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come scopo, e mai come semplice mezzo».
«Opera in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere in ogni tempo come principio di una legislazione universale».
(Immanuel Kant, “Critica della ragion pratica”)
Se accettiamo il dato di realtà che da un legno storto nulla di diritto può venir fuori, e partiamo dal presupposto che questo legno storto è l’uomo, con le sue tentazioni, le sue fallacie e i suoi limiti, allora forse compiamo un passo in avanti nel processo che ci porta a comprendere perché Costigan e Sullivan siano due facce della stessa medaglia.
Quando, nel finale, sembra prevalere il Male e Costigan muore, con Sullivan apparentemente salvo e al riparo dal rischio di essere scoperto quale talpa all’interno del corpo di polizia. Eppure, questione di grilletti, proiettili e secondi, scena dopo scena il comodo esito che aveva visto il criminale poliziotto rappresentarsi comodamente gli scenari del proprio futuro, viene rivoluzionato per mano di un altro poliziotto, Dignam, fedele al Bene, fedele alle segnalazioni che Costigan prima di morire gli aveva lanciato.
Al centro della scena, defilata, ma comunque rilevante, la figura di una donna media la problematica relazione tra i due doppiogiochisti: la psichiatra Madolyn, fidanzata di Sullivan e terapeuta di Costigan.
Dietro le quinte, la donna, innamorata del suo paziente, rivela il controverso ruolo di Sullivan nel gruppo di Costello, e alla morte di Costigan è la persona che si dispera di più.
L’onorificenza elargita a Costigan nel finale di The Departed non è altro che un premio di consolazione per l’infiltrato buono, quello che ha scelto di assecondare l’inclinazione che provava a rendere un po’ più diritto il legno di cui era costituito.
Kantianamente, The Departed è un saggio di Scorsese sulle inclinazioni umane e sulle caratteristiche che rendono la morale incomprensibile e imprevedibile; tuttavia, risulta chiaro che la vita umana nella sua complessità, senza tali elementi d’imprevedibilità, sarebbe un po’ più povera: i comandamenti e le esigenze morali non sono così fissi, un uomo come Sullivan non è un tipo umano così raro, nella sua machiavellica malvagità.
Allora, accettarlo e provare a contattarla per uscire dallo stato di minorità che dall’Ottocento ancora un po’ ci affligge, forse è la cosa giusta da fare in attesa che altri operatori culturali provino a seguire lo stesso sentiero tracciato da Kant e Scorsese.