Nuovi Sguardi – Gianluca Parisi: Anno Zero e la necessità di un cambiamento

Tommaso Paris

Dicembre 1, 2020

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Questa situazione pandemica nella quale tutto il mondo è immerso, ci ha permesso forse di avere per la prima volta una reale percezione globale, la consapevolezza di essere parte di un tutto, rivelando come il cielo stellato sopra di noi e la fragile terra sotto di noi sia per ognuno la medesima. Tale presa di coscienza, tuttavia, per essere autentica esige una messa in discussione di tante dinamiche esistenziali date per assodate, urlando a gran voce la necessità di un cambiamento. Il manifestarsi di questa assume plurime forme – come, ad esempio, l’impegno politico e sociale -, ma può mostrarsi anche nell’espressione artistica in senso lato. Questo, infatti, è ciò che accadde al giovane esordiente Gianluca Parisi che, sentendo la necessità di urlare a gran voce un grido di allarme al mondo, decide di realizzare un cortometraggio che agisca da monito per portare le persone a riflettere. Durante una pandemia e attraverso questa esigenza esistenziale, nasce il film Anno zero, vincitore di un premio al VIFF (Varese International Film Festival).

I richiami alla genesi biblica sono evidenti, infatti Anno Zero di primo acchito potrebbe richiamare immediatamente a quel tempo e a quel luogo. Eppure, da spettatore mi sembra che abbia una finalità ben diversa, avvicinandosi a un tempo ben più vicino. Ti chiedo, dunque, a che cosa si riferisce il titolo del vostro cortometraggio?

Gianluca Parisi

Bisogna partire da quello che è il termine in sé “anno zero”, ovvero l’inizio di una nuova era. In questo caso, una nuova era per l’umanità, la quale, dopo anni di conquiste tecnologiche, è arrivata alla resa dei conti della propria esistenza.
Ma ha ancora la possibilità di cambiare il proprio destino apocalittico. Come? Cambiando le proprie abitudini. Quindi, Anno Zero non è solo un cortometraggio, ma un messaggio di cambiamento per l’umanità. L’unica entità che può salvare l’uomo dal suo destino è egli stesso.

Gianluca Parisi

Sotto forma di metafora, il film mette in scena personaggi quali Adamo ed Eva, Dio e Satana. Com’è stato addentrarsi in questi archetipi? Quante porte possibili ti ha permesso di aprire e, al contempo, quanto limitante è stato rimanere chiusi all’interno di certe categorie?

Gianluca Parisi

Trovo che la mitologia biblica sia estremamente affascinante, aperta a migliaia di interpretazioni e ricca di spunti per la riflessione. Il cortometraggio ripercorre e riprende in diverse scene alcuni versetti della Genesi, ma non solo; la mia ricerca si è sviluppata anche all’interno di testi antropologici riguardo l’iconografia della fine del mondo nelle diverse culture. Una ricerca che, infine, si arricchisce anche grazie alla numerologia: elemento cardine all’interno del filmato, utilizzato anche nella Divina Commedia di Dante, in grado di attribuire a ogni figura e oggetto un numero.
Non mi sono sentito limitato ad affrontare certe categorie, anzi, è stato come viaggiare nella storia del pensiero umano; i riferimenti sono stati continui e fondamentali, grazie e soprattutto alla filosofia che mi ha permesso di alimentare l’aspetto artistico e simbolico di cui è intrinseca l’opera.

Il tempo dunque. Mi hanno interessato molto i richiami a Einstein – secondo lui Dio non gioca a dadi, e infatti nel film i dadi li tira sempre l’uomo Adam (e qui si aprirebbe un’altra grande serie di considerazioni) -, così come sono rimasto affascinato dal ruolo del tempo e dal ticchettio dell’orologio che accompagnano l’intera narrazione. Nel finale la speranza è protagonista, sembra che non sia ancora giunto il tempo della fine dell’umanità, forse consapevole di avere un’ultima possibilità. Credi davvero sia giunta l’ora della nostra ultima occasione su questa terra? È davvero necessario che questo sia l’anno zero?

Gianluca Parisi

Io penso che un artista si possa ritenere tale quando sente di avere qualcosa da dire, qualcosa da comunicare alle persone. Personalmente voglio far riflettere le persone sugli elementi che non funzionano all’interno della nostra società. Penso che l’essere umano sia giunto a un punto di non ritorno: i cambiamenti climatici, la sovrappopolazione, la corsa alla ricchezza, l’egoismo individuale… Sono tutte problematiche reali che ci riguardano in primo piano soprattutto perché ne siamo i responsabili. L’uomo è una creatura che non guarda alle conseguenze, ma alla fine, temo non resterà che l’estinzione di quest’ultimo. Quindi sì, serve che l’uomo possa ragionare maggiormente con il proprio intelletto per cambiare la propria sorte e, personalmente, penso che sia già in ritardo perché il tempo scorre.

Emanuela Cardani

Se si trasla su una scala strettamente contemporanea, il film condanna quell’agire di dominio umano – troppo umano avrebbe detto Nietzsche – che l’umanità ha assunto nei confronti dell’Altro da Sé, del mondo e della donna. Anno Zero è un monito alla presa di coscienza del proprio essere-nel-mondo, e ora sta a noi spettatori, uomini su questa terra, decidere cosa farne di questa consapevolezza che auspicabilmente è stata raggiunta. Pensi dunque che il cinema e l’arte rappresentazionale in senso lato – ciò che qualcuno chiamerebbe illusione o imitazione -, possa avere un grande impatto concreto sulla vita delle persone? Che la settima arte e la metafora possano parlare della realtà più della realtà stessa?

Gianluca Parisi

Penso che il cinema sia l’arte più empatica che possa esistere nella sua forma. Un’arte in grado di raggiungere profondamente il fruitore nel suo animo e nel suo pensiero, poiché essa parla direttamente allo spettatore. Forse noi siamo troppo indaffarati e non calcoliamo nemmeno la realtà che ci sta attorno, ma il cinema è in grado di fornirci un punto di vista diverso rispetto a quello personale a cui siamo abituati ogni giorno e che molte volte diamo per scontato.
La settima arte dà voce alla vera realtà.

ANNO ZERO

In un momento storico in cui la dimensione creativa e immaginifica, combinata alla possibilità progettuale in senso lato, è inevitabilmente smorzata e per certi versi negata – in un senso sociale, rispetto a limitazioni concrete nazionali, e in senso individuale, rispetto a una tacita alienazione che non può che accompagnarci – cosa significa realizzare un’opera filmica durante una pandemia? E cosa ha significato per te, da giovane cineasta, girare questo cortometraggio?

Gianluca Parisi

La dimensione creativa deve essere sempre alimentata. E la fonte la si trova nei libri nel mio caso. Girare questo cortometraggio in tempo di pandemia ha avuto un significato diverso, ci ha dato una responsabilità che è andata oltre a quello che è il messaggio principale del progetto. Girare un filmato del genere, con questo tipo di tematiche, in un momento storico come questo, ha un’esigenza maggiore: necessita di essere ascoltato e interpretato.
Anche l’idea di “fine del mondo”, su cui si basa il corto, è stata sicuramente influenzata dal periodo che stiamo vivendo. C’è un’esigenza di vedere una luce di speranza in un momento buio come quello che stiamo passando, è anche questo lo scopo del corto.

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