A Hidden Life (2019), come tutto il cinema di Malick, si esprime attraverso sensazioni, che provano a emulare in qualche modo quel dolce ricordo che ci lega a un tempo che non abbiamo mai vissuto. Guardando i suoi film, proviamo una sensazione antica; un’emozione più vecchia della storia stessa. E tutto ciò ci rimanda al tempo in cui l’umanità si formò da una purezza di cui ancora non conosciamo il nome.
Sono tanti i pensatori che possono essere ritrovati nel cinema di Terrence Malick. Tra questi non possiamo non citare colei che del Male e della sua banalità ne diede una definizione: Hannah Arendt. Ma che tipo di collegamento c’è tra la Arendt e Malick? Cosa accomuna la poetica di Malick alla filosofia di Hannah Arendt?
Forse perché Malick è il traduttore inglese di Essere e Tempo, l’opera mastodontica di Martin Heidegger, quel filosofo che oltre ad aver segnato il Novecento fu maestro e amante di Hannah Arendt? Forse, ma non solo.
Com’è possibile tracciare un sentiero che collega un cineasta, sempre così perennemente occupato a ricercare un Bene universale, che colleghi ogni aspetto della vita in un unico, definito disegno, con una pensatrice celebre per essere stata così profondamente calata nella storia?
Certo, anche il Male più banale è molto spesso universale. Talmente universale da riuscire a indottrinare popoli e nazioni intere. Questa è la celebre lezione che ci ha lasciato la Arendt. Ma cosa ne pensava lei del concetto di Bene? Era semplicemente la negazione del Male? Seguendo la logica, la negazione del Male Banale dà come risultato un Bene Complesso. Ma come si declina una forma così articolata, come questo presunto Bene? Da qui in avanti, non possiamo fare altro che lanciarci in speculazioni. E forse A Hidden Life di Terrence Malick potrebbe essere un grande alleato.
A Hidden Life e Eichmann
Come abbiamo ricordato nell’introduzione, il pensiero di Hannah Arendt è perfettamente relazionato con la storia. L’aspetto sociale è dunque fondamentale per avere una visione piena del suo sistema filosofico. Ma è importante anche per cominciare a imbastire un discorso per A Hidden Life.
Il film parla di Franz Jägerstätter, un umile contadino austriaco reclutato dall’esercito nazista. Franz, un uomo dalla fede profonda, non può accettare di far parte di un disegno il cui fine ultimo è la distruzione, l’omicidio, l’annullamento di qualsiasi libertà. Perciò, rifiuta di arruolarsi, con la piena consapevolezza delle conseguenze delle sue azioni, e con la certezza di trovarsi nel giusto.
Franz è quindi, per riallacciarci all’opera di Hannah Arendt, l’esatto opposto di Eichmann. Ne La banalità del male, la Arendt, rimasta profondamente colpita dalla superficialità del colpevole, prova ad analizzare le dichiarazioni ascoltate durante il processo a Eichmann a Gerusalemme, e arriva alla conclusione che le azioni del gerarca nazista derivavano da una contorta interpretazione dell’imperativo categorico kantiano.
L’operato dei servi dello Stato nazista erano, quindi, atti con l’unico scopo di compiacere il folle dittatore che ne era al comando. Non c’era alcuna revisione morale, nessuna interrogazione intrinseca alla ricerca di una qualche giustificazione, ma asettica obbedienza agli ordini, tanto che
«L’affermazione era veramente enorme, e anche incomprensibile, poiché l’etica di Kant si fonda soprattutto sulla facoltà di giudizio dell’uomo, facoltà che esclude la cieca obbedienza».
(H. Arendt, “La banalità del male”)
Il contadino Franz è invece perfettamente in linea con l’etica di Kant. Lui, rifiutando di arruolarsi, commette un crimine, tradisce lo Stato, infrange una legge. Ma è filosoficamente cosciente di ciò che sta facendo, perché, per riprendere Kant, lui diventa legislatore nel momento stesso in cui agisce. La Arendt afferma: «Nessun uomo per Kant ha il diritto di obbedire».
L’amore e la ricerca del Bene
Ma tutto ciò di cui abbiamo discusso finora, è sufficiente per definire il Bene? Non esiste, nella filosofia della Arendt, qualcosa di più recondito che vada al di là del contesto storico e sociale?
Parlando della trama di A Hidden Life, abbiamo accennato al fatto che la fede sia un fattore primario per il protagonista. Lui è profondamente cattolico, ed è proprio nella religione che Franz trova la forza per opporsi e il rifugio in cui trovare asilo. Anche Terrence Malick, regista del film, ha sempre riservato alla fede un ruolo fondamentale nel suo cinema.
Spesso i protagonisti delle vicende da lui narrate sono costantemente persi nel caotico vivere quotidiano; sono confusi dagli eventi, perennemente pensierosi e alla ricerca di un senso con cui etichettare finalmente la realtà. E l’unico punto fermo in questi tribolati viaggi spirituali è appunto la ricerca di un Bene onnipresente. E anche Franz di A Hidden Life non fa eccezione.
Ma come possiamo relazionare questo importante concetto con il pensiero di Hannah Arendt? Magari ricordandoci che la Arendt si laureò con una tesi avente al centro l’amore secondo Sant’Agostino. E cosa meglio dell’amore può essere identificato con il concetto di Bene?
Sant’Agostino affermava: «Chi è pieno d’amore è pieno di Dio stesso». Se intendiamo Dio come una forza benevola e onnipresente, ci accorgiamo che questa frase si incastra perfettamente negli anfratti del cinema di Malick. E se pensiamo anche che la Arendt identificò la banalità del Male con l’apatia e la mancanza di criticità di giudizio dei singoli individui, possiamo affermare che per definire il Bene bisogna trovare gli esatti opposti. Quindi la compassione, intesa come partecipazione nel sentimento, la morale personale, come massima espressione della coscienza. Tutti canoni protagonisti nella filosofia della Arendt. Come anche nell’agire di Franz.
Contemplare la complessità del Bene
Il cinema di Malick fa molte domande, ma raramente fornisce risposte. Probabilmente perché neanche il regista le conosce davvero. In A Hidden Life troviamo gli stessi dubbi che hanno sempre afflitto questo cineasta così misterioso. Servendoci di questo film e del pensiero di una delle più grandi menti del Novecento, quella di Hannah Arendt appunto, abbiamo cercato di districarci nelle perigliose vie della dissertazione filosofica, e abbiamo provato a definire il concetto etereo del Bene. Ci siamo riusciti? Malick ci insegna che è un percorso che non ha mai davvero fine. È un’interrogazione eterna, come eterno è l’universo.
E non possiamo fare altro che perseguire ancora questa ricerca. Perché è solo questa indagine spirituale che ci preserverà dal diventare banali. Grandi pensatori come la Arendt, che fa suoi gli insegnamenti di altri giganti come Kant e Sant’Agostino, ci hanno suggerito come fare a evitare che le nostre esistenze assumano una declinazione meschina. E cineasti come Malick hanno seguito questi insegnamenti nel modo più dolce e poetico possibile.
Ovviamente, tutto sta a noi. Dobbiamo provare a raffreddare i nostri turbamenti, consapevoli della nostra splendida unicità, ma consci di non essere mai soli. Abbiamo il dovere di interrogarci sempre. E, infine, dobbiamo provare a trovare questo Bene di cui abbiamo tanto parlato. Magari attraverso un semplice atto come la contemplazione. Come Franz di A Hidden Life, che dalle sue montagne cerca di contemplare quel Bene così vasto; un Bene talmente complesso da non avere nulla di umano.