Nel gioco dialettico tra realtà e immaginazione, la filosofia di Platone aiuta l’uomo a mettere ordine tra mondo interno e mondo esterno da millenni. L’allegoria, fondamentale per il pensiero occidentale, indica in forma tragica il rapporto che sussiste tra l’uomo e l’ambiente, nella misura in cui la mancanza di conoscenza costringe il soggetto a essere prigioniero di una verità illusoria.
Da tempo ormai questa nota narrazione accompagna studenti e appassionati di filosofia nel loro personale percorso tra ombre e luci, menzogna e verità, Male e Bene. Quello che sembrava impensabile, e che in realtà dall’alba del Novecento si è fin troppo spesso tradotto in una lieta certezza, è che le immagini cinematografiche hanno aiutato in maniera poetica a declinare simbologia e significato di questo mito.
Non è il Sole, ma sono le immagini dei film amati a rovinare gli occhi di coloro che trovano nel cinema una sublimazione simbolica della vita; questo canale alternativo per la conoscenza della verità, che sembra liberare lo spettatore dalle catene della quotidianità, sviluppa una danza di proiezioni e introiezioni che garantiscono al soggetto il raggiungimento di una catarsi temporanea.
Nel mito della caverna presente nel VII libro de La Repubblica si delinea il percorso conoscitivo del filosofo, il quale, nella sua ricerca della verità, si stacca dal mondo sensibile per raggiungere il Bene, e ritornare quindi tra gli altri uomini per governare la città nel modo migliore. La caverna è un luogo angosciante, dove i prigionieri, incatenati fin da fanciulli, scorgono soltanto alcune ombre proiettate sulla parete che sta loro di fronte. Essi ritengono che le ombre siano l’unica e vera realtà esistente e non possono immaginare ciò che accade alle loro spalle.
Platone racconta di uno schiavo liberato dalle catene e trascinato all’esterno della caverna. Dopo aver scoperto che né le ombre che vedeva quando era incatenato né gli oggetti trasportati lungo il muro e proiettati sulla parete costituivano la vera realtà, egli sarebbe stato abbagliato dalla luce del Sole; tornato nella caverna, per comunicare agli altri prigionieri ciò che aveva visto e per aiutarli a liberarsi a loro volta della prigionia, egli scopriva che i suoi occhi faticavano a riadattarsi al buio, e per questo veniva deriso dagli altri schiavi, che si convincevano che la luce esterna gli aveva rovinato gli occhi, e quindi non gli credevano, decidendo infine di ucciderlo, richiamando la fine che fece Socrate, l’uomo più giusto di tutti, quando nel 399 a.C. venne mandato a morte dal governo ateniese.
Il labirinto del fauno: il grottesco tra realtà e immaginazione

Il labirinto del fauno
Il film spagnolo-messicano diretto da Del Toro non appartiene direttamente al filone di quelli che traducono in forma cinematografica il mito di Platone, ma sicuramente alcuni elementi sono ripresi e rendono la narrazione altamente simbolica.
La piccolo Ofelia è protagonista di una fiaba grottesca che unisce la cruda realtà della guerra civile spagnola con la surreale verità che si cela in un bosco popolato da creature magiche. Opinioni e prodotti della ragione sono legati da un intreccio perturbante magico-animistico, in cui le tre missioni che la bambina deve compiere viaggiano parallelamente alle vicende del mondo degli adulti, governato da una madre incinta sofferente e un patrigno malvagio.
Quello che succede durante la gravidanza della donna è supportato dai dubbi e dalle incertezze di Ofelia, che compie questo viaggio nel labirinto del fauno proprio come il filosofo compie il suo fuori dalla caverna di Platone, abbandonando il mondo delle proiezioni e delle ombre e giungendo a contatto con la verità.
Seppur grottesco, il racconto è complessivamente immerso in un mondo per bambini, dove creature sanguigne e atroci sembrano essere incarnazioni di alcune delle sofferenze umane.
Allegorico e romantico è il percorso di crescita compiuto da Ofelia, che segue le orme del filosofo di Platone prova per prova, fino a ricongiungersi con un’idea pura, al tempo stesso reale e immaginaria di se stessa, come regina di un regno in cui le cose sono visibili solo agli occhi di chi le sa guardare.
The Truman Show: l’escatologia da una quotidianità perversa

The Truman Show
Ovvia e obbligatoria è la presenza di questo film di Peter Weir in un approfondimento su Platone. Jim Carrey è protagonista di un reality show dai tratti distopici, nel quale l’intrattenimento del pubblico è garantito dall’ipocrisia che circonda la vita del protagonista.
I riferimenti a Platone presenti nel film sono immediati: la vita di Truman Burbank è manipolata dai produttori dello show, esattamente come la percezione dei prigionieri nella caverna di Platone è manipolata dal fuoco che proietta le ombre sulle pareti della caverna.
Solo grazie ad alcuni degli attori che fungono da comparsa e agli affetti che Truman stabilisce sul set che è la sua vita, il grigiore della finta vita reale del protagonista si dirada, esattamente come per colui che attiva la curiosità e abbandona le sicurezze interne alla caverna per affrontare le vie impervie dell’ignoto al di fuori di essa.
Perché questo è ciò che Truman sceglie di fare, quando, navigando sulla barca a vela che era stata di suo padre, si scaglia contro le manovrate acque del programma affrontando la tempesta, fino a raggiungere l’uscita del set.
A quel punto, non gli resta che svestire i panni del prigioniero e concretizzare la sua liberazione, diventando guida di se stesso per affrontare le incognite che la porta sul set riserva.
Kynodontas: autarchia, ricchezza e povertà

Kynodontas
La condizione della famiglia protagonista di Kynodontas è particolare e merita una menzione speciale al di là del riferimento alla caverna di Platone: in questo film, a fare la differenza tra la sofferenza e l’appagamento di desiderio è la ricchezza, determinata principalmente dal lavoro del padre di famiglia.
Nell’ambito della reclusione in cui i figli vengono tenuti all’interno del giardino e della casa perfetta, Lanthimos sembra proprio denunciare le ipocrisie di un sistema familiare e sociale che omette dall’immaginario collettivo il concetto di fallimento, per celebrare una perfezione ideale e illusoria.
Questa condizione illusoria è proprio la stessa di coloro che all’interno della caverna di Platone sono prigionieri, e così come la dimora della famiglia di Kynodontas è illuminata da una luce che confonde le percezioni gnoseologiche sulla verità, il giusto e lo sbagliato all’interno e all’esterno della casa, allo stesso modo questa è la confusione avvertita dai prigionieri di Platone.
Il fatto che il mezzo digitale accompagni l’uscita simbolica di una delle figlie dal perverso ambiente autarchico della casa è una scelta narrativa rivoluzionaria e rivelatoria: in questo modo da un lato si celebra l’attualità tecnologica culturale e sociale, intesa come canale che sfugge a ogni cornice di contenimento; dall’altro, al tempo stesso, si celebra la banalità di una rivoluzione interna alla famiglia che avviene sotto gli occhi del padre, grazie a un’addetta alla security e sotto forma di vendetta verso le condizioni di vita e i “compiti” assegnati alle figlie in quella prigione d’oro.
Niente è edulcorato, come in The Truman Show, né tantomeno si tratta di una fiaba per bambini: Kynodontas è cattivo nel senso che non si nasconde dietro una narrazione comoda: l’angoscia è l’unica forma di conoscenza giusta, l’unico canale tramite cui Lanthimos esibisce il suo Platone, quello che dopo aver contemplato la verità si spacca i denti davanti a uno specchio.
Conclusione
Ciò che avvicina la caverna di Platone al cinema non è solo la dialettica di un’escatologia al contrario, dove la buia sala corrisponde alla possibilità di uscire dalla caverna, ma è proprio una celebrazione delle immagini proiettate come soluzione definitiva per il raggiungimento di una verità alternativa.
Non siamo come gli schiavi e i prigionieri, che vengono incatenati nella caverna contro la loro volontà: noi spettatori scegliamo di vivere grazie a quelle immagini un’esperienza significativa e simbolica, assecondando una missione che non trova mai il proprio esaurimento. L’allegoria che vuole funzionare in questo tipo di approfondimento è quella che celebra il potere catartico delle immagini e della narrazione, come strumento per dare significato a una realtà che spesso quel senso non l’ha.
Concludendo, dunque, l’attenzione e la sensibilità si soffermano sulla poesia che scaturisce da una serie di immagini in movimento che amiamo, che a differenza delle ombre di Platone, non sono mere copie della realtà, ma una realtà alternativa, connotata affettivamente e personalmente.