Il grande dittatore: quando il cinema diventa poesia

Valentina Palermo

Ottobre 28, 2021

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Non un semplice film, ma una vera e propria poesia. Una poesia per immagini lunga 125 minuti, in cui momenti ricchi di spirito e sarcasmo si intrecciano a scene infinitamente delicate. La pellicola (o potremmo anche dire l’opera d’arte) in questione è Il grande dittatore di e con Charlie Chaplin.

Il film è uno dei più celebri della storia del cinema ed è stato unanimemente riconosciuto come la migliore produzione del comico inglese. Senza sminuire la sua lunghissima filmografia, che vanta tanti altri capolavori come Tempi moderni o Luci della ribalta, vanno riconosciuti a Il grande dittatore un coraggio e una genialità che, unite a un messaggio forte e pieno di speranza, hanno reso la pellicola una vera e propria leggenda. 

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Charlie Chaplin nei panni del barbiere

Il grande dittatore e il coraggio di affrontare il mostro

Il grande dittatore è senza dubbio un film dotato di grandissimo coraggio. Per capire meglio cosa si intende, è necessario ricordare il contesto di distribuzione e realizzazione.

Siamo nel 1940 e l’Europa è da poco ripiombata nell’incubo di una nuova sanguinosa guerra. Mentre la paura torna a serpeggiare, il cinema comincia a essere utilizzato come mezzo per rinvigorire lo spirito nazionalista attraverso lungometraggi propagandistici. Sullo schermo appaiono quindi salvatori della patria intenti a compiere atti eroici e capi di stato che promettono al proprio popolo la gloria futura. 

E proprio qui si inserisce Charlie Chaplin con una pellicola che invece si fa gioco dello spirito patriottico dilagante. Il suo protagonista non è un soldato valoroso, ma un semplice barbiere ebreo mite e un po’ maldestro, che ha perso la memoria durante il conflitto del 15-18. Dopo aver trascorso diversi anni in ospedale, l’uomo torna nella sua bottega in Tomania ritrovandosi a dover affrontare la ghettizzazione degli ebrei, ma scoprendo anche l’amore grazie alla giovane Hannah. Oltre al barbiere, altro personaggio presente nel film e interpretato sempre da Chaplin è Adenoid Hynkel, il malvagio capo di stato della Tomania il cui scopo è conquistare la vicina Ostria.

È quindi piuttosto evidente, anche solo per assonanza di nomi, che col suo lavoro Chaplin stia parodiando la realtà dell’epoca, riproponendo in chiave comica il piano di annessione dell’Austria di Adolf Hitler

Così, mentre l’Europa guarda con timore il dittatore della Germania, il regista non ha alcuna paura di farsi gioco di lui riducendolo a una macchietta. Chaplin non lascia nulla al caso. Prima di iniziare a girare il film nel 1939, aveva studiato attentamente le movenze e le tecniche oratorie di Hitler per poi riprodurle in modo grottesco e divertente davanti alla telecamera. Nonostante sapesse di stare andando incontro alla censura, nonostante il rischio di attirare l’odio dei nazisti, Charlie Chaplin racconta una sua versione della storia in cui il mostro tanto temuto da tutti è solo un piccolo uomo ridicolo con assurde manie di grandezza.

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Charlie Chaplin in un’immagine de “Il grande dittatore”.

Quando si può ridere del dramma in modo geniale

E dopo il coraggio, altro elemento evidente ne Il grande dittatore è la genialità. Sì, perché è necessaria una buona dose di genialità per essere in grado di trattare ironicamente temi delicati senza cadere nel cattivo gusto. 

Quando Charlie Chaplin aveva iniziato a lavorare al film non era ancora totalmente nota la tragicità della condizione degli ebrei nei campi di sterminio. Le discriminazioni e le persecuzioni razziali erano però sotto gli occhi di tutti. Chaplin prende quindi questa situazione per disegnare una società in cui gli ebrei sono sottoposti a enormi ingiustizie, riuscendo comunque a inserire abilmente gag e battute di spirito irresistibili. 

In molti ricordano la scena del mappamondo: qui il dittatore della Tomania progetta lo sterminio degli ebrei e la conquista del mondo intero, qualcosa di non molto lontano dai piani di Hitler dell’epoca. Fuoriesce un momento irresistibile in cui Hynkel viene ridicolizzato e diventa protagonista di un assurdo balletto con un mappamondo. Il tutto, riuscendo a non sminuire il problema delle persecuzioni razziali e delle manie espansionistiche di Hitler, ma concentrandosi solo sul patetico protagonista.

Il discorso finale de Il grande dittatore: la speranza

In questo brevissimo excursus sul capolavoro di Charlie Chaplin non può mancare un riferimento al discorso finale. 

In modo molto rocambolesco, il mite barbiere viene scambiato per Hynkel e invitato a tenere un discorso davanti al popolo della neo conquistata Ostria. L’uomo decide quindi di approfittarne per lanciare uno straordinario messaggio in cui la parola chiave diventa speranza. Il barbiere si auspica che arrivino tempi migliori e che i popoli riescano a convivere pacificamente nel nome dell’uguaglianza e della libertà. E non solo. Il finto dittatore ricorda quanto il mondo sia fantastico perché la natura ha messo a disposizione le sue risorse per gli uomini. Tutti. Senza distinzione. Purtroppo però l’avidità e un uso sconsiderato del progresso hanno trasformato l’uomo in una creatura malvagia, desiderosa di fare solo i propri interessi. Nonostante questa dura presa di coscienza, il buon barbiere è certo che l’odio sia un sentimento passeggero e che il bene possa sconfiggere il male.

Barbiere: «Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere, mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno! I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavi il popolo».

E ancora

Barbiere: «Allora combattiamo per mantenere quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati, nel nome della democrazia siate tutti uniti!».

Quelle parole così forti, pronunciate nel periodo più buio del ventesimo secolo, incarnano il messaggio migliore che si potesse lanciare a una popolazione la cui libertà individuale era minacciata dalla smania di potere di un pugno di uomini. Va detto che quel discorso continua a essere adatto anche ai tempi correnti, in una società egoista in cui si costruiscono muri al posto di ponti e in cui tutto ciò che la natura mette a disposizione viene sfruttato in modo scellerato per il benessere di pochi.

Non solo un film coraggioso, geniale e ricco di speranza, quindi, ma anche un capolavoro assolutamente attuale che ci spinge ad avere fiducia nel futuro perché:

Barbiere: «Voi, voi il popolo avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità, voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura».

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