La storia di una donna al potere può essere raccontata in molti modi diversi. Si può parlare di emancipazione, indipendenza, femminismo. Candidato quest’anno a sei premi Oscar, Tár di Todd Field non concede nulla di tutto questo, eppure è riuscito a stregarci, trasportandoci nella vita professionale e privata di una direttrice d’orchestra all’apice del successo.
Lydia Tár (Cate Blanchett) è una famosissima compositrice e direttrice d’orchestra, prima direttrice capo donna della Filarmonica di Berlino, il ruolo più ambito da tutti i musicisti a livello internazionale.

Profondamente innamorata del suo mestiere, Lydia è una donna apparentemente molto sicura di sé, consapevole del suo immenso talento. La sua vita privata è molto serena: ha una moglie- nonché suo primo violino- di nome Sharon (Nina Hoss) ed è molto legata alla figlia adottiva Petra (Mila Bogojevic). Lydia Tár sta preparando la registrazione dal vivo della Sinfonia n.5 di Mahler, traguardo che rappresenta il punto più alto e ambizioso della sua carriera. Durante le prove, la donna rimane particolarmente colpita dalla giovane violoncellista Olga (Sophie Kauer), per cui sembra iniziare a provare un’attrazione che va al di là dell’ammirazione professionale.
Presto iniziano a circolare delle voci su presunte sue condotte sessuali inappropriate ai danni delle musiciste. In particolare, la sua assistente Francesca (Noémie Merlant) le comunica l‘improvviso suicidio di Krysta Taylor, ex membro di un programma di borse di studio fondato da Lydia. Secondo quanto risulta da mail mandate da Krysta, la giovane sarebbe stata coinvolta in una relazione sessuale con la direttrice, che poi le avrebbe precluso ogni possibilità di carriera. Le voci, sempre più numerose e invadenti, turberanno la vita professionale e personale di Lydia.
Attraverso l’analisi di un personaggio estremamente complesso, Tár affronta con eleganza una serie di tematiche profondamente attuali.
Al centro dell’opera vi è senza dubbio il tema del potere, concepito come qualcosa in grado di logorare gli altri e se stessi. Lydia Tár è una donna che abusa della propria posizione per umiliare e manipolare il prossimo a proprio piacimento. Nonostante lo spettatore si immagini che le accuse rivolte a Lydia siano fondate, Field sceglie di non mostrare nulla di particolarmente esplicito.
La scelta si rivela particolarmente vincente. Da una parte il regista rende così il film particolarmente delicato e intimo, mostrando unicamente il punto di vista della protagonista. Dall’altra allo spettatore contemporaneo non possono non venire in mente le vicende conseguenti al recente movimento me too. Un slogan importante, che ha avuto il merito di denunciare il sistema di soprusi e abusi di potere nel mondo dello spettacolo, ma che ha portato essenzialmente a condanne mediatiche, non giudiziarie. Nonostante questa scelta narrativa, le intenzioni di Lydia sono rese chiare da una serie di sue azioni che, sebbene non siano illegali o apparentemente non molto gravi, manifestano la natura dell’abuso di potere.

Un’altra scelta di sceneggiatura particolarmente interessante risiede nel fatto che l’autrice di queste condotte sia una donna omosessuale. È come se Field ci volesse comunicare una verità sacrosanta: chiunque può compiere soprusi abusando della propria posizione, indipendentemente dal genere o dall’orientamento sessuale.
La scelta di una donna come protagonista della storia apre inoltre ad una riflessione sulla figura femminile nei sistemi di potere.
Lydia Tár esige di essere chiamata “maestro” e “direttore”, nega che la società di oggi sia ancora maschilista e, ad esempio, in una scena ironica quanto amara, si dimentica che l’otto marzo è la giornata internazionale della donna. Lydia è talmente concentrata su se stessa e sul proprio successo che si disinteressa completamente delle difficoltà che hanno ancora le donne nella società contemporanea, rendendosi inconsapevolmente complice di un sistema ancora fortemente patriarcale.
Viste le premesse, ci si potrebbe aspettare che Tár porti sullo schermo un ritratto essenzialmente negativo della protagonista. Tuttavia, condotto dall’ottima regia di Todd Field, lo spettatore viene immerso totalmente nella vita di Lydia Tár. Vediamo la sua arroganza e i suoi soprusi, ma anche la sua tenerezza nei confronti della figlia adottiva e la totale dedizione per il suo lavoro.
È innegabile, infatti, che Lydia sia un’artista fenomenale, al limite del genio. In una delle prime sequenze, la direttrice ha uno scontro con uno studente della Julliard, che si rifiuta di suonare Bach a causa dell’indole maschilista del musicista. Lydia lo rimprovera, affermando che occorre sempre separare l’arte dalla vita dell’artista. In un’epoca in cui, ad esempio, ci si interroga se sia giusto premiare i film di Roman Polanski, il dialogo tra i due personaggi appare più attuale che mai. La riflessione si può riferire a Lydia Tár stessa che, sebbene sia un personaggio frutto dell’immaginazione del regista, rappresenta in un certo senso tutti quei leggendari artisti che hanno adottato condotte più che discutibili. Il pubblico dovrebbe ricordare Lydia per l’arte che ha creato o per le azioni riprovevoli che ha commesso?

Oltre al lato artistico e professionale, il film si concentra sull’umanità della sua protagonista, rifiutandosi di ergersi a giudice di una figura così sfaccettata.
Il pubblico condanna razionalmente le azioni della direttrice, eppure non può fare a meno di creare un certo legame con lei. Nonostante la sua apparente freddezza e crudeltà, Lydia non resta indifferente dinnanzi alle accuse che le vengono rivolte. Certo, da una parte teme per la sua carriera, ma dall’altra percepisce costantemente i sussurri accusatori della propria coscienza. Ciò accade soprattutto di notte, quando il sonno della donna è disturbato da piccoli, quasi impercettibili rumori. Pian piano, lo spettatore segue Lydia nel suo progressivo processo di autodistruzione, una trappola, creata da lei stessa, da cui risulta impossibile liberarsi.
Il personaggio di Lydia Tár, però, nonostante l’eccellente scrittura, non avrebbe avuto lo stesso impatto senza l’interpretazione di Cate Blanchett. Il ruolo non solo sembra le sia stato cucito addosso, ma lo è letteralmente: in un’intervista Todd Field ha infatti dichiarato che senza la presenza dell’attrice non avrebbe realizzato il film. Non si può dargli torto. Definire magistrale l’interpretazione di Cate Blanchett sarebbe riduttivo.

Non solo è da lodare la sua capacità di immedesimazione fisica nelle difficili scene di direzione d’orchestra, ma quel che colpisce maggiormente è l’umanità che riesce a donare alla sua Lydia Tár: freddezza e arroganza, ma al contempo grande vulnerabilità. Siamo davanti ad uno di quei film in cui l’interpretazione della protagonista è parte organica e inscindibile dell’opera. L’attrice ha già vinto Coppa Volpi, BAFTA e Golden Globe e noi speriamo davvero riesca ad aggiudicarsi anche il premio Oscar.
Grazie al talento di Todd Field e Cate Blanchett, Tár racconta con maestria la caduta di una donna acciecata dal potere e dall’ambizione. E lo fa non dimenticandosi, però, di quell’umanità che risiede in ognuno di noi e che non si può smettere di sviscerare.