Un’ottima annata – Commedie da recuperare

Andrea Vailati

Settembre 28, 2017

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Un’ottima annata – Commedie da recuperare

Il Merito di una Sceneggiatura – pt. 2: Un’ottima annata

Il cinema è un’arte potenziale, un’arte che si sviluppa nel tempo e nei luoghi, un’arte fatta di intrecci. Tanti membri partecipano alla stesura di un’opera filmica, membri umani e membri concettuali. Il cinema è un’arte di infinite possibilità, un’arte che ingloba e si determina in tante forme. Ma cosa porta un film a fiorire, quale concime rende i suoi fiori meravigliosi?


Ogni film ha i suoi motori primari e secondari, esistono film dove ogni parte, quella estetica, musicale, narrativa sono equamente rilevanti ed esistono film che premiano un elemento su tutti. Ecco una rubrica che proverà ad analizzare vari film la cui sceneggiatura, meravigliosamente sviluppata, ha determinato un risultato davvero rimarcabile.

Eccoci con uno studio su Il Merito di una Sceneggiatura, il cui oggetto concettuale, i cui tempi narrativi, la cui caratterizzazione dei personaggi, talvolta, possono, silenziosamente, connettersi tra loro verso una perla la cui rarità non può che tramutarsi in un sorriso consapevole di uno spettatore incantato, nella dolcezza, nella tristezza o nella paura.

Oggi spesso sminuite a cinema da famiglia, a cinema di passaggio, dove non c’è nulla su cui soffermarsi, le commedie hanno in realtà una tradizione davvero importante. Certo, dalla Commedia dell’arte Italiana a oggi ne è passato di tempo, dal cinema di Sordi e Vittorio De Sica ad American Pie c’è una muraglia cinese in quanto a decrescita cinematografica, ma esistono ancora grandi commedie, la cui sceneggiatura ha saputo narrare emozioni, risate e riflessioni morali, di quelle sempre verdi, ma non per questo dimenticabili.

Abbiamo analizzato in precedenza: Il Lato Positivo – Commedie da recuperare

L’emozione è un ricordo perpetuo della bellezza del vivere, dimenticarsene è peggio che sprecare un ottimo bicchiere di vino.

Esistono temi cinematografici, oramai rarefatti nel cinema hollywoodiano, a tal punto da portarci spesso a screditarli con toni pregiudizievoli quasi vincolanti.

Certo, si è creato, nel tempo, un certo tipo di cinema, quello dal pathos servito su un piatto d’argento, degli amori e degli eroi con i loro percorsi già deducibili dopo pochi minuti, che è giusto ritenere alcuni topoi cinematografici alquanto ossidati.

Eppure, un cliché diventa un cliché per una ragione e, quando, in quei rari casi, una sceneggiatura sa mostrarsi in un film sì ovvio, ma meravigliosamente connotato di quella dolce ovvietà, allora quel primordiale amore per le grandi emozioni può tornare, per un breve istante, felicemente a galla.

Un indimenticabile esempio recente è quello di La La Land, ma oggi parliamo di Un’ottima Annata.

Un'ottima annata
Un’ottima annata

Iniziamo ad analizzare, dunque, il merito di questa sceneggiatura:

Lo sviluppo narrativo appare perfettamente in linea con il classico percorso di riscoperta del protagonista, dove un giovane broker arrivista, Max (alias Russel Crowe), in principio cinico, apatico e profondamente machiavellico, disposto persino a vendere il vigneto dello zio un tempo amato e oggi morto e dimenticato, diviene infine un uomo che ha ricordato il valore dell’emozionarsi per la vita e del rinunciare all’avidità materialista così alienante.

Ma il modo in cui ciò avviene è davvero meravigliosamente riuscito.

L’emozione in questo film è data dall’incontro tra due epoche della vita del protagonista: il dolce passato e il freddo presente. L’intreccio di questi due tempi crea un conflitto emotivo semplice, ma catartico, attraverso un frequente utilizzo di flashback, splendidamente armonizzato con il ritmo e l’obiettivo della sceneggiatura.

Vediamo, infatti, come una tenuta con vigneto oramai abbandonata che, almeno così sembrerebbe, produce un vino di bassissima qualità, coincide perfettamente con l’aridità del protagonista. La memoria, però, quella degli odori e degli istanti involontari tanto cara a Proust, riempie ogni secchezza nel ricostruire lo splendore del passato, nel riconnettere il protagonista a quella profonda e impareggiabile empatia con lo zio e nel portare lo spettatore a innamorarsi, con la giusta lentezza, di un bicchiere di vino.

Zio Henry: «Max ti ho mai detto perché fare il vino è per me fonte di grande piacere? Io amo fare il vino perché questo nettare sublime è semplicemente incapace di mentire, vendemmiato presto o tardi non importa, il vino ti bisbiglierà in bocca sempre con completa e imperturbabile onestà ogni volta che ne berrai un sorso».

Un'ottima annata
Un’ottima annata

Ogni personaggio, in Un’ottima Annata, ha una sua caratterizzazione, continuativa e crescente, coerente e con i giusti tempi della commedia romantica.

Ricordiamo, per esempio, la coppia di lavoratori da sempre parte del vigneto; l’uno il vignaiolo che ama conversare con le viti e, l’altra, la moglie governante dall’innata dolcezza che balla a suon di jazz con ambigua sessualità. Tutti i personaggi secondari risultano essere complessivamente necessari.

Oppure, l’avvocato che mostra la buffonaggine del cinismo, quasi screditandolo nello sviluppo e la meravigliosa giovanissima Marion Cotillard, semplicemente pura, che sa, con la sua dolcezza incontaminata, svelare e scindere i due lati di Max, porlo nella lucidità di capire chi lui realmente voglia essere.

La giovane, forse, figlia illegittima dello zio Henry, è la ciliegina sulla torta che porta il protagonista a sbattere contro l’uomo che è diventato, la cui cattiveria deve fare i conti con la vera essenza di un uomo rifugiato in sé stesso.

Tutto ciò mostra, Un’ottima annata, come una commedia ben riuscita, dai giusti ritmi, dalla semplicità coerente e compiuta e dalle emozioni più cinematografiche.

Ma c’è quel qualcosa in più che la rende così piacevole e così coinvolgente: si tratta della poetica energia sottostante a tutto il film, un collante che agisce pian piano sulla strada della trama, il cui merito non può che andare al personaggio dello Zio Henry.

Egli compare e scompare, lo conosciamo in un perpetuo ricordo. Appare come una guida per un ragazzino curioso, come un saggio del vizio del vivere e del saperlo fare.

Così, si carica di un fascino un po’ decadente, le cui frasi, anche semplicemente poiché dette da lui, si rivelano piccole chiavi di lettura sulla vita nella sua più sincera essenza, la cui poesia è data dalla possibilità di abbandonarsi, in un’eterna sospensione dalla realtà, alla passione per l’amare ogni cosa, inebriarsi di ogni sorso di emozione.

L’obiettivo della sceneggiatura di questa piccola splendida commedia è, forse, comprendere quell’autentico atteggiamento emotivo, perché ogni bicchiere di vino possa raccontarci tutta la sua storia.

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  • Andrea Vailati

    "Un giorno troverò le parole, e saranno semplici." J. Kerouac

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