Narcos 3 – Hanno ammazzato Pablo, Pablo è vivo

Andrea Martelli

Ottobre 6, 2017

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Narcos
I gentlemen di Cali

Forte del successo ottenuto con le prime due stagioni, la serie Netflix tiene fede al suo nome e prosegue la storia in Narcos 3, nonostante l’uscita di scena del principale polo magnetico della serie stessa.

D’altronde si chiama Narcos, e non Pablo, ed è lecito che sia raccontata la storia anche dopo la morte di Escobar, perché se è vero che hanno ucciso Pablo, la sua legacy, ovvero la sua linea di successione ideologica, è ben lontana dall’essere oscurata.

C’è vita dopo Pablo

La storia continua a raccontare l’evolversi del narcotraffico in Colombia, l’esplosione del traffico di cocaina tra gli Stati Uniti e l’Europa e, di conseguenza, la sfida della polizia (CIA e DEA) per arginare i cartelli della droga.

L’attenzione si sposta sul famoso cartello di Cali, ampiamente introdotto nella stagione precedente, e sul suo impero della droga, nato sulla scia di quello di Pablo.

Una sostanziale differenza di gestione però caratterizza il nuovo corso di Narcos: non si segue più il mantra “Plata o Plomo” tanto caro a Pablo, ma si agisce nell’ombra, causando meno violenza in modo tale da non catalizzare l’attenzione generale.

La crudeltà non è mutata, ma stavolta la teatralità delle stragi e del sangue sulle strade lasciano spazio a morti più mirate, per cui i corpi spariscono e non vengono più ritrovati. Inoltre i gentlemen di Cali, come sono chiamati i nuovi signori della droga, preferiscono orientarsi sulla corruzione e sul controllo degli uomini di governo, attraverso cospicue mazzette e tangenti.

I quattro padrini di Cali sono il leader Gilberto Rodriguez Orejula, il fratello Miguel (vero cervello della banda), il sicario Pacho Herrera (che si occupa della distribuzione internazionale), e Chepe Santacruz Londono (che si occupa della sezione di New York). Stanno contrattando con le autorità una sorta di piano di ritiro nell’arco di sei mesi, per uscire dal giro in maniera più o meno pulita e mantenere intatto l’immenso patrimonio guadagnato negli anni. 

I dolori dell’agente Peña

Narcos
Pedro Pascal è Javier Peña

L’agente della DEA Javier Peña (un bravissimo Pedro Pascal, l’Oberyn Martell del Trono di Spade) rappresenta un forte collegamento con le stagioni precedenti.

L’agente viene promosso a capo della squadra incaricata di fermare il traffico di polvere bianca fra Colombia e Stati Uniti, e, a livello di narrazione, impersona la voce fuori campo di questa stagione, al posto del collega Steve Murphy.

Uno stato di rassegnazione e disillusione travolge Peña, quando viene a sapere della trattativa tra lo Stato e i boss di Cali per legalizzare i loro traffici. L’accordo mette sul piatto milioni di dollari. Non è pronto però a gettare la spugna e, con l’aiuto di due nuovi agenti giovani e determinati, prosegue nelle indagini per fermare l’ondata di criminalità che circonda il narcotraffico.

Te extranamos, Pablo

Pablo Escobar

La terza stagione di Narcos mantiene lo stile e l’impostazione delle due stagioni precedenti: c’è la stessa sigla, c’è la voce fuori campo che ci accompagna nel complesso mondo del narcotraffico, c’è la stessa alternanza di inglese e spagnolo. La fotografia è dinamica e il ritmo incalzante, specialmente nella seconda parte.

La mancanza di Pablo però si fa sentire eccome. La magistrale recitazione di Wagner Moura ipnotizzava lo spettatore con i suoi gesti, con il suo parlare lento e misurato e con la sua cadenza. Persino i suoi silenzi e il suo sguardo malinconico mancano allo spettatore.

L’assenza della sua stella principale nega a Narcos quel guizzo di fantasia che la trasformerebbe da una semplice serie tv sulla criminalità a una colonna portante della produzione Netflix.

In un bellissimo dialogo delle prime stagioni, tra Pablo e il cugino Gustavo, ritroviamo questa sensazione:

Gustavo: «Io penso che tutto è andato a rotoli da quando te ne sei andato».

Pablo: «Allora ti manco…»

Gustavo: «Ogni singolo dannato giorno, fratello».

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