Sound of Metal – Sentire

Matteo Melis

Aprile 16, 2021

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Il cinema è un’arte performativa e sinestesica. Attraverso le immagini e i suoni, non solo assistiamo a qualcosa, bensì facciamo qualcosa, viviamo percettivamente la storia che vediamo. In apparenza, i sensi che il linguaggio filmico stimola sono solo due, l’udito e la vista, ma il loro profondo intersecarsi e l’esperienza immersiva che possono offrire riescono a coinvolgere anche gli altri tre sensi, nonché l’emotività e la capacità di fare ipotesi e inferenze da parte del pubblico.

Chi di noi può dire di non aver assaporato lo squisito strudel del colonnello Hans Landa in Bastardi senza gloria (2009) o di non aver davvero sentito il terribile fetore del peggior bagno della Scozia in Trainspotting (1996)? Oltre all’esaltazione dei sensi, però, queste scene contengono degli elementi in più, qualcosa che oltre a legarsi alla percezione si interseca con l’emozione: l’ansia di Shosanna nel trovarsi dinnanzi al generale nazista che andò così vicino a ucciderla; oppure la disperazione di Renton che lo spinge a fiondarsi all’interno di un gabinetto lercio pur di recuperare la sua dose.

Sound of Metal

La superba scena di apertura di Sound of Metal (Darius Marder, 2020)

Sound of Metal, gioiello di Darius Marder, si muove sempre su questi due piani, sull’intrecciarsi tra percezione sensoriale ed esperienza emotiva.

Ruben è un giovane batterista, ama il metal e la sua ragazza Lou, con la quale, oltre a una relazione splendida, condivide una band, che i due hanno battezzato Blackgammon. Un giorno, dal nulla, il protagonista incontra una nuova compagna di viaggio con la quale mai nessuno vorrebbe spartire il proprio percorso: la sordità.

La vita di Ruben viene completamente stravolta; la sua passione, la musica, diventa un’irraggiungibile chimera. Nessuno può prendersi carico di un umore così nero, di una vita che si sta rapidamente spezzando in due, a parte l’umile comunità di ex tossicodipendenti sordomuti gestita da Joe, colui che diventerà il mentore della rinascita di Ruben.

Sound of Metal

Ruben fa una lezione di percussioni per giovani sordomuti

Per realizzare Sound of Metal Marder sembra aver considerato seriamente la cooperazione tra il senso e l’emozione su pellicola. Ciò che più affascina del film è il modo in cui l’empatia viene delicatamente e naturalmente stimolata durante la fruizione. Non solo l’empatia verso Ruben: sarebbe stato fin troppo semplice sovraccaricare la pellicola di buone emozioni e compassione per il malato ed emarginato della storia.

L’empatia, invece, la proviamo verso ognuno dei personaggi, per le loro inclinazioni, intenzioni ed emozioni.

Per entrare maggiormente in contatto con Ruben e con coloro che sono afflitti dalla sua disabilità, i tecnici del suono di Marder ci offrono un’arma in più, una corsia preferenziale per capire il loro mondo, una stampella che ci aiuta a carpirne l’animo e la condizione. Qui entra in gioco quella che il semiologo François Jost definisce “auricolarizzazione” o anche “punto d’ascolto”, di fatto il punto di vista, ma riferito all’udito. Grazie a una serie di soggettive sonore, che quindi portano il livello di “auricolarizzazione” da esterna (o zero) a interna-primaria, possiamo ascoltare ciò che sente un sordo, esperendo un mondo chiuso e ovattato che coincide fedelmente con quello del personaggio.

Sound of Metal

Lo splendido Ruben, incarnato da Riz Ahmed

Per via della sua condizione, Ruben parla meno degli altri; tuttavia per noi le sue parole sono quasi superflue. Sono gli sguardi, i movimenti e l’autenticità offerti dalla mostruosa interpretazione di Riz Ahmed a parlare per il personaggio. Attraverso il suo sentire percettivo, entriamo profondamente in contatto con il suo sentire spirituale, quello che coinvolge le emozioni e il loro attraversare – per poi scalfire – il nostro corpo senza che talvolta ne prendiamo il controllo.

Ruben sogna di poter di nuovo ascoltare con le sue orecchie, brama un apparecchio acustico per ritrovare la sua vita prima del trauma. Sono proprio delle protesi, come le chiamava Umberto Eco, a fare da ponte e connessione tra un’immagine e chi la percepisce, proprio come Galileo utilizzava il cannocchiale come protesi per vedere saturno e i suoi anelli. Tali meccanismi sono sempre, inevitabilmente presenti nel linguaggio audiovisivo.

I film fanno esattamente questo, ci connettono sensorialmente e cognitivamente al loro testo grazie all’immediatezza dei suoni e delle immagini, ancorando la nostra attenzione all’opera. Sound of Metal è un palese esempio di come il cinema possieda questa particolare qualità.

Sound of Metal

Ruben cammina per le strade di Parigi

Così il sentire fisico di Ruben si accompagna indissolubilmente al suo sentire spirituale, un fattore che ai nostri occhi trasforma il suo percorso da comune a eccezionale, senza però perdere quel piccolo sotto-testo che sembra sussurrarci che a chiunque, in qualsiasi istante, potrebbe succedere la stessa disgrazia.

In quel momento che speriamo non arrivi mai, nessuno di noi saprà se la strada davvero giusta sarà quella di una corsa sfrenata verso il recupero artificiale dell’udito, oppure il godersi saggiamente il silenzio, come consigliavano i Depeche Mode. Forse nemmeno Marder lo sa fino in fondo, per questo il film sembra sempre nelle mani del personaggio e di nessun altra istanza.

Noi siamo con Ruben in tutti i sensi e con tutti i nostri sensi, senza fuochi d’artificio o grandi effetti speciali, perché spesso l’immediatezza dei sensi non ha eguali. Non parliamo, però, solo dei sensi e della percezione, ma dei sensi e dei sentimenti, anch’essi naturali quanto l’atto del percepire. Così, altrettanto naturalmente, l’empatia tra noi e Ruben crescerà, si evolverà, portandoci a ringraziarlo per l’esperienza che ha dolcemente condiviso con noi.

Ci basta sentire il suo non-sentire per empatizzare fino in fondo con il suo intimo sentire. 

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  • Matteo Melis

    "Il segno è qualcosa che sta per qualcuno al posto di qualcos'altro, sotto certi aspetti o capacità"
    (C. Sanders Peirce)

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