Better Call Saul – la sacralità dell’invidia fraterna

Giammarco Chiellino

Aprile 30, 2018

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Better Call Saul – la sacralità dell’invidia fraterna

Penso che tutti abbiano visto Breaking Bad. Ok, forse non tutti. Diciamo che molti lo hanno visto e che chi non lo ha fatto ancora, dovrebbe.  

Ma cosa dire riguardo Better Call Saul? Prima di immergermi nella visione ero certo di stare per assistere a un fiasco, e non uno qualunque. Ero sicuro sarebbe stato clamoroso.

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Un’immagine da “Better Call Saul”

Siamo sinceri: spin off, prequel e sequel spesso si rivelano tali.

È difficile reggere il confronto con il precedente ed è impossibile che lo spettatore guardi senza fare un confronto: è d’obbligo, fisiologico in un certo senso. Quasi sempre è l’originale ad avere la meglio. Anche quando il successore ha ottime qualità, lo spettatore non fa che riferirle a quanto gli ricordi il precedente. E lì la battaglia finisce in frasi come “si, bello, ma forse potevano evitare”.

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A sinistra Saul Goodman, a destra Walter White

Better Call Saul e Breaking Bad 

Non stavolta. O meglio, a mio parere, non stavolta. I miei sicuri pregiudizi sono stati vinti, direi disintegrati, da inquadrature e fotografia che niente hanno da invidiare alla serie madre. Better Call Saul ha tenuto il livello, anzi ne ha acquisito uno tutto suo, fatto di parallelismo, più che di sovrapposizione.

Nelle tre stagioni già portate a compimento si snoda la personalità di un uomo, truffatore e poi avvocato e avvocato più che truffatore, in perenne lotta tra ciò che è e ciò che gli altri vorrebbero fosse. Primo fra tutti suo fratello Charles, avvocato e lontano dal mondo delle truffe, quanto dal comprendere e apprezzare il fratellino Saul, James McGill all’anagrafe.

L’evoluzione finora prospettata, anche se raffrontata a quella di Walter White non lascia delusi. Le truffe sono il suo vero mondo; l’avvocatura è invece un modo per riscattarsi e al tempo stesso avvicinarsi al fratello che mai aveva creduto in lui.

Come se un titolo potesse cambiare l’animo che l’ha acquisito.

Sappiamo bene che non è così. E guai se lo fosse: si finirebbe per giudicare una persona da un pezzo di carta e, sempre a mio parere, è un errore che solo gli stupidi possono permettersi. Lo vediamo bene in Better Call Saul. Vediamo James cadere nei soliti vecchi errori, nell’ebbrezza di piccoli e grandi inganni, quanto nell’assuefazione alla scorrettezza. È questo il percorso che lo porterà da James Mc Gill a Saul Goodman.

Saul Goodman – un buon uomo di nome Saul.

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Saul Goodman in una scena della serie

Senza dubbio interessante il parallelismo con la narrazione biblica di Saul, che Vittorio Alfieri avrebbe poi lasciato confluire nell’omonima tragedia.

Ma fermiamoci un attimo, per uno SPOILER ALERT: sto per parlare della Bibbia.

Se come me non credete ma, diversamente da me, vedete la Bibbia come qualcosa da evitare (piuttosto che uno dei tanti testi da poter leggere e, a suo modo, apprezzare), potete passare ad altri articoli di questa pagina (vedi Silence). Gran parte di questi vi offriranno ottimi spunti riflessivi, senza turbare la purezza del vostro ateismo.

Per chi invece stia ancora leggendo, torniamo a noi.

Qualcuno ricorda Saul? Forse si, forse no. Era re prima che arrivasse Davide. Si, il Davide che con la fionda sconfisse Golia: estrema rappresentazione della forza quale attributo della volontà e dell’essere forzuto quale mera nonché effimera apparenza.

Ebbene, Saul era stato unto come re prima di lui, ma non avrà lo stesso, glorioso, destino. Morirà suicida durante la seconda guerra contro i filistei, quando già Davide aveva preso il suo posto lasciandogli solo amarezza e nostalgia di una vita che mai avrebbe potuto riavere. Saul viveva il confronto e percepiva la sua inadeguatezza.

Egli era stato destituito perché rifiutò di radere al suolo una popolazione conquistata, a dispetto di ciò che gli anziani dicevano. Destituito, quindi, per una buona azione o, ancora meglio, per non aver voluto compierne una orribile. 

Non credo sia casualeDel resto il Saul biblico era per buona parte un goodman, così come credo lo sia il buon vecchio James Mc Gill di Better Call Saul.

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La narrazione turba lo spettatore: lo sforzo di schierarsi per un personaggio piuttosto che per un altro viene esasperato, poi confuso e infine servito senza che si riescano più a dividere lati positivi e negativi di ognuno. Del resto, verrebbe da dire, che utilità avrebbe considerare una persona tenendo distinte le sfumature tra loro antitetiche? 

Ed è ciò che questa serie, più di molte altre, riesce senza dubbio a canalizzare. Se dovessi pensare ancora al Saul biblico, direi che potrebbe risultare impossibile capire da chi venga incarnato: Saul o suo fratello? Infatti, volendo analizzare l’altro “fronte dello scontro”, Charles ha lottato una vita per diventare un importante avvocato, prima che Saul, con i suoi trucchi semplici ma efficaci -come una fionda (!?)- riuscisse  a bruciare tappe e raccogliere consensi.

Chi è Saul adesso? Chi Davide?

Certo è che il protagonista di questa storia, prima che un perfetto truffatore è un debole, che tenta a tutti i costi di sembrare forte proprio come, spesso, chi è debole sente il bisogno di fare. Vuole apparire vittorioso in ogni sfida, e non gli importa sudare per un obiettivo, se sa di poterlo raggiungere senza o, tutt’al più, con il sudore di altri.

Lo spettatore assiste alle sue vittorie: danni collaterali dovuti a un passato che forse non meritava, più che meritati traguardi. 

Non è strano, quindi, che il conflitto tra i due fratelli raggiunga, specie nella terza stagione, tratti taglienti e subdoli da ambe le parti. Non è nemmeno strano che la faglia creatasi, tra soddisfazione che trasuda superiorità e invidia da cui traspare disillusione, abbia estremizzato i comportamenti di entrambi, rendendoli la peggiore versione di loro stessi. 

Infine non è strano che Vince Gilligan (ideatore, regista e produttore esecutivo di entrambe le serie) – e cresciuto a stretto contatto con un gruppo di studio della Bibbia a Richmond – una volta disse in un intervista:

«Sono praticamente agnostico a questo punto della mia vita. Ma trovo difficile capacitarmi dell’ateismo, quanto del Cristianesimo. Perché se non esiste qualcosa come la giustizia cosmica, quale motivazione rimane per essere buoni? Questa è l’unica cosa che nessuno mi ha mai spiegato. Perché non dovrei andare a rapinare una banca, soprattutto se sono abbastanza intelligente da farla franca? Cosa mi sta fermando?».

(Vince Gilligan)

Mike, interpretato da Jonathan Banks, in una scena con Saul

Jimmy, in questa scena, sembra risolvere l’interrogativo del suo ideatore e creatore, con non poche conseguenze derivanti dalle sue future azioni.

Il riferimento al Saul biblico in Better Call Saul, a ogni modo, non è l’unico ravvisabile: san Paolo, era Saulo prima di ritrovarsi sulla via per Damasco. Era Saulo prima di convertirsi e smettere di perseguitare i cristiani.

Forse era intenzione dell’autore sottolineare il cambiamento antitetico dei due Saul? Paolo, accecato dalla luce divina e poi primo e più grande evangelista, e James Mc Gill, che la luce l’ha lasciata alle sue spalle all’inizio del cammino? Certo è che l’intera serie è pregna dell’idea di cambiamento, o meglio del relativo ideale prodromico.

Chuck McGill è interpretato da Michael McKean

Si dice che al tempo sopravvivono solo i vincitori, gli unici a essere ricordati ai posteri: chi ricorderemo alla fine fine di questa storia?

Leggi anche: Breaking Bad – La mortale patologia dell’insoddisfazione

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