Her.
«Prima di allora vivevo la mia vita pensando di sapere ogni cosa, e a un tratto è arrivata una luce abbagliante che mi ha svegliato. Quella luce eri tu».
Con queste parole inizia il film, con queste parole inizia la magica esperienza che il regista Spike Jonze ci permette di vivere insieme al nostro protagonista, Theodore (interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix). Parole apparentemente ininfluenti ai fini della vicenda che verrà narrata, che però saranno la chiave di lettura di tutto il lungometraggio. O comunque la lettura che noi ne daremo.
Her, un film come ogni altro che vuole trasmettere emozioni che non si concludano entro gli stretti limiti della durata della pellicola, ci mostra un lato nascosto di tutti noi. Noi, convinti di aver ormai avuto tutto ciò che la nostra esistenza potesse offrirci, scopriremo invece qualcosa che non avremmo neanche potuto immaginare.
Parole ininfluenti all’apparenza dunque, perché con il perpetuarsi dell’effetto acustico del timbro della voce di Theodore mentre le legge, apprenderemo che queste non sono inerenti direttamente a lui, ma destinate a persone estranee. Capiamo quindi che il nostro protagonista è un ghostwriter, scrive lettere personali d’amore per conto di terzi.
Ed ecco Theodore che, nel grigio di un futuro a noi decisamente prossimo, è devastato emotivamente a causa della fine del suo matrimonio, perdendo Catherine (Rooney Mara), la donna con la quale ha trascorso i migliori momenti della sua vita. Una fine dovuta alla sua incapacità di gestire la propria sfera emotiva.

Un uomo che conosce cosa siano le vere emozioni, incapace però di esprimere le più importanti: le proprie. È molto depresso, sconsolato dalla vita, convinto che ormai essa gli abbia donato tutto quello che potesse offrire. Tanto che ripete a sé stesso una frase che sarà il punto di partenza della nostra storia: «Penso di aver provato tutti i sentimenti che potessi provare e che d’ora in poi non proverò più niente di nuovo, ma solo versioni inferiori di quello che ho già provato». Ben più che una semplice assonanza rispetto a quelle “ininfluenti” prime parole del nostro protagonista.
Riconosciamo comunque in Theodore un personaggio che non è completamente alienato, anzi, ha amici, continua a essere molto empatico (le sublimi lettere che scrive lo dimostrano), si veste in modo eccentrico, tanto da essere l’unico colore rosso in una Los Angeles grigia e triste.
Una città contraddistinta dall’essere abitata da una comunità sfuggente, nella quale i sentimenti sono inevitabilmente desiderati, ma mantenuti a distanza, con occhi davanti a uno schermo e orecchie tappate da auricolari.
In questo mondo, caratterizzato magistralmente da immagini e musiche che ti permettono di esserne parte, il nostro protagonista acquista l’ultima novità tecnologica: un sistema operativo estremamente sofisticato dotato di coscienza propria. Sistema capace di instaurare rapporti, colloqui, discorsi formali e non con i propri possessori.
Ed ecco che entra in gioco Samantha.

Theodore avvia con l’innovativa intelligenza artificiale una relazione sempre più profonda, intensa, ma soprattutto vera. «Tu sei reale per me Samantha» dice Theodore a quella che sarà per lui l’inizio di un’esperienza indescrivibile. Il modo in cui lui la ama la fa sembrare davvero reale, anche se la tematica centrale non è inerente al concetto di realtà. Spike Jonze non intende celebrare ingenuamente il rapporto uomo-macchina, non affronta la questione in modo moralistico. Qui si sta parlando di tutt’altro. Qui si sta parlando di Amore.
È possibile quindi affezionarsi a una voce senza aspetto, senza mani da stringere, senza occhi in cui immergersi, senza labbra da sfiorare, senza un corpo da abbracciare?
Sì, è vero, Samantha è una voce in un sistema operativo, ma è altrettanto vero che questa voce non è impersonale, né anonima. Samantha ride, si imbarazza, scherza, si emoziona, esprime vera intelligenza, vero desiderio, insomma, reagisce come fosse un vero e proprio essere umano. Così riesce a bilanciare quello che potrebbe essere l’impedimento più grande, ossia l’impossibilità di una relazione fisica, l’inesistenza di un corpo da toccare, abbracciare, coccolare e sognare.
È un amore normale quello di Her? Assolutamente no. Tutto ciò è razionale? Neanche per sogno. È decisamente una follia. Ma come ci dice Amy (Amy Adams), la storica amica di Theodore: «Io dico che chiunque si innamori è un disperato. Innamorarsi è una pazzia, è come se fosse una forma di follia socialmente accettabile».
Con il perpetuarsi della relazione tra i due qualcosa cambia. L’Amore, umano o meno (poco importa), fa evolvere Samantha in modi inimmaginabili, «Mi hai cambiata, e non si torna indietro. Mi hai risvegliata», gli dice. La medesima cosa accade a Theodore che, attraverso l’amore di Samantha, inizia a dire “Sì” alla vita, comincia ad agire attivamente, guarda il mondo con altri occhi, è felice.
L’Amore tra Theodore e Samantha in Her c’è, è lì, si vede, è tangibile. Su questo non ci sono dubbi. Il loro è Amore, qualunque esso sia.

Vero Amore, non quello delle fiabe. Amore che ti permette di vivere la tua vita in tutt’altro modo, di osservare il mondo da una prospettiva diversa. Ma soprattutto quello che ti consente di rimettere in gioco te stesso, affrontando paure, dubbi e insicurezze. Amore che, analizzando il proprio passato, avvalora la possibilità di raggiungere una consapevolezza, che permette di agire nel migliore dei modi di fronte al futuro.
Ed è sostanzialmente questo che accade al protagonista di Her. Esperendo un Amore che mai aveva provato prima, riesce finalmente a prendere le redini della propria vita, acquisendo una consapevolezza tale da imparare a gestire la propria sfera emotiva, quella che gli era costata la fine del suo matrimonio. Ciò gli permette di scrivere una lettera, la sua lettera, all’ormai ex moglie. Una lettera vera, umana, sincera, autentica che rappresenta essenzialmente ciò che Theodore, grazie all’infinito amore di Samantha, è diventato.
«Cara Catherine, ho pensato tanto a tutte le cose per cui ti vorrei chiedere scusa, a tutto il male che ci siamo fatti, a tutto quello di cui ti ho accusata, a tutto ciò che avevo bisogno che tu fossi o dicessi. Ti chiedo perdono. Ti amerò sempre perché siamo cresciuti insieme e mi hai aiutato a essere chi sono. Voglio che tu sappia che ci sarà sempre un po’ di te dentro di me e ti sono grato per questo. Chiunque tu sia diventata, in qualunque parte del mondo tu sia, ti mando il mio amore. Sei mia amica per sempre.
Con amore, Theodore»
La relazione tra Theodore e Samantha inevitabilmente si concluderà, per circostanze allo spettatore sconosciute. La presenza dell’uno nell’anima dell’altro rimarrà però scolpita per l’eternità.

Chi l’ha detto che il vero amore debba durare per sempre? Alle volte è sufficiente un attimo.
Theodore: «Non ho mai amato nessuno come te».
Samantha: «Neanche io, ora sappiamo cosa vuol dire».
Si diranno i due innamorati.
Possiamo concludere dicendo che sì, «Quella luce sei tu, Samantha».