I Diavoli
«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».
(Italo Calvino, Le città invisibili)
Quando si aggredisce il potere, quando se ne minaccia la stabilità, il confronto è duro e la lotta senza quartiere. Il conflitto è fisico, ma soprattutto mentale, per far sì che non solo si riesca a domare il corpo dei nemici dello stato, ma per annullarne anche il seme e cancellarne il messaggio.
Sono numerosi e ripetuti i casi nella storia. La Santa Inquisizione per limitare i culti non conformi ai dettami della Chiesa, il maccartismo statunitense che puniva anche solo il possesso di testi socialisti, o anche come l’ondata repressiva durante gli anni Settanta in Italia, in cui si arrivò ad arrestare e incarcerare anche filosofi, politologi e avvocati, rei di aver diffuso o difeso un messaggio di rivolta.
Punirne uno per educarne cento, questo il motto del potere, ma anche evitare che il punito possa essere esempio per altri. Per questo più che occuparsi di distruggere il corpo, il nuovo paradigma della governance si concentra su come indirizzare le menti.
Di questo parla il film del regista Ken Russell, I Diavoli: la storia che si vede proiettata sugli schermi viaggia in parallelo alla storia lontano da essi.
La sfida alla visione totale e totalizzante della Chiesa e alle aspirazioni di potere e controllo che il prete Urbano Grandier porta avanti nella pellicola, si affianca idealmente alla critica aspra che il film in sè rappresenta e che ha visto protagonista il regista britannico.
Il cineasta avrà sicuramente avuto una sorte meno cruda del prete, ma le critiche e le controversie che hanno tenuto lontano I Diavoli dal cinema e dalle televisioni continuano ancora oggi, nonostante la diffusione di film molto più sopra le righe di questo.
Il motivo, è presto detto, non si trova nelle scene troppo spinte o blasfeme, ma nel senso stesso del film, dove i tagli e la censura non hanno potere. È il messaggio il vero nemico, l’appello fatto in diverse occasioni dal prete messo sotto tortura a non sacrificare mai la propria individualità per cedere alle blandizie del potere.
Proprio nella sua qualità di diffusore di un messaggio difforme, ma anche in quanto impersonificazione di questo messaggio, Grandier è definibile come eroe foucaultiano.
La sua lotta contro il cardinale Richelieu e la sua visione unica di un panottico statale, la messa in discussione dei voti legati alla tonaca, l’esempio che egli stesso porta avanti con la sua vita, sono degli elementi pericolosi e non solo per l’opposizione frontale al re e alla corte.
Sono pericolosi perché possono mettere in discussione dei canoni di obbedienza, su cui quel potere reale si basa e si rigenera. Proprio per questo, non basta soppiantarlo o sostituirlo, ma bisogna mostrarlo come folle o come demoniaco; bisogna creare il mostro, si deve dar vita a quei famosi “demoni” che a conti fatti non esistono, per far sì che nessuno possa identificarsi in loro e a nessuno venga in mente di raccoglierne il testimone.
L’esorcismo, la tortura, il rogo sono solo degli strumenti utili a controllare la mente e gli intenti degli altri, e a cancellare qualsiasi spinta di rivolta. La missione può dirsi compiuta, e anche egregiamente, se si considera che negli annali, la vicenda dei demoni di Loudun è ricordata come il più grande caso di possessione demoniaca della storia, e non come la guerra di potere che è in realtà.