Marracash e Persona.
Una maschera per ogni volto, un personaggio al posto di una persona. Al tempo dei greci, la dramatis persona si indossava per favorire la catarsi nelle rappresentazioni a teatro. Tratti marcati, forti e riconoscibili, per aiutare lo spettatore a cogliere le morali tragiche; da lì plasmare una vita retta, rispettosa della natura e degli dei. Volti nascosti dietro uno schermo di sughero, l’artista che fa un passo indietro rispetto al suo personaggio. Il buio della terracotta sugli occhi, per diventare altro da sé stessi; eclissare l’Io in favore di un dio superiore, fino allo spasmo. Fino a dubitare della stessa esistenza, della propria vita. È sangue quello che scorre nelle vene? Oppure si tratta solo di inchiostro, pronto a macchiare le pagine di altri uno, nessuno e centomila copioni?
Ero a due passi dalla rovina, a due spanne dalla follia
A due blocchi dall’Inferno, a due cocktail dalla sua figa
Yo, a due grammi dall’overdose
A due zeri da quella Rolls, che mi colse l’idea improvvisa
Che ero vuoto, senza scopo
Ho il cuore spezzato, tu hai lo stetoscopio
Lo senti, bro? Momenti che era brutta, in cui avrei pregato qualsiasi Dio
Da dove vengo tutto è truffa, e se fossi una truffa anch’io?(Marracash, “Qualcosa in cui credere – Lo scheletro”)
Elisabeth Vogler è un’attrice affermata, famosa e riconosciuta. Ogni sera indossa la maschera di Elettra, e si perde nel buio del teatro, aspettando di ritrovarsi dopo un’ora o poco più. Il confine tra palco e realtà è sempre più labile, ogni sera si sposta un poco più in là. Ogni volta l’attrice si spinge oltre, si avventura di un passo in più nel buio che la maschera spande sul suo spirito, rischiando di perdersi nel bosco ostile degli specchi che ha dentro di sé. E se dovesse smarrirsi per sempre? Se non riuscisse più a tornare indietro, lasciando Elettra a vivere al posto di Elisabeth?
Il dubbio si insinua come edera sul cemento, nei pilastri delle sue certezze; mette radici e poi, troppo pesante per quel castello di sabbia, distrugge tutto. L’artista non riconosce più sé stessa, la persona non si distingue dal personaggio; la consapevolezza si scioglie come neve al sole ed Elisabeth si rende conto che nulla nella sua vita è come lei lo aveva immaginato. Il matrimonio, la carriera, il figlio; passi fatti alla cieca, pur di assecondare una rappresentazione artefatta e posticcia della sua quotidianità. Cosa fare pur di liberarsi dalla rete di aspettative e proiezioni che la attanagliano? Meglio rinchiudersi in religioso silenzio nel tempio della propria anima o ridere ingenuamente della sua tragedia personale.
Io sono contro la felicità
Contro mia madre, le feste e la puntualità
E puoi viaggiare, però resta dentro di te
Non puoi uscire dalla tua pelle(Marracash, “Bravi a cadere – I polmoni”)
Meglio le pareti cieche di una clinica, piuttosto che catene rivestite di libertà. Imprigionare il corpo per liberare la mente, sotterrare il personaggio per far finalmente fiorire una persona. Elisabeth sceglie la follia e il ricovero, pur di sfuggire a quell’incubo da benpensanti in cui si era relegata. Sempre prona alle richieste di tutti, sempre disponibile verso gli appetiti cannibali del pubblico e della famiglia; casa, figli, successo, altari su cui sacrificare sé stessa e le ambizioni di quel sogno disperato di autenticità. Il sogno di guardarsi allo specchio e riconoscersi; viversi in corpo e anima, e non abitare la propria pelle pagando lo scotto di un’esistenza rubata. Nel silenzio della stanza, l’attrice può guardarsi dentro; riesce ora a tracciare il solco in cui far germogliare il seme di una nuova genesi.
Siamo tutti in grinta, siamo in guerra, siamo in Galva
Butto i soldi a terra come il sale sulla pasta (uoh)
Perché fin da piccolo non c’ho capito molto (mai)
Di qual era il bene, il male, chi ha ragione o torto
Ogni cosa che dicevo al prete, il suo responso
Era: “Fammi dieci Ave Maria e sei Padre Nostro(Marracash, “Da buttare – Il c***o”)
Partire dalla Genesi, e riscrivere la sua bibbia da capo, mettendoci dentro la voce di un dio meno inclemente di quelli rincorsi finora. Il denaro o la croce, due divinità cieche e sorde ai lamenti e alle richieste imploranti di milioni di fedeli. Solo ora, eremita dentro la propria psiche, Elisabeth si rende conto della crudeltà di quegli dei a cui ha sacrificato tutto; ora che si è scrollata di dosso il masso che come Sisifo portava sulle spalle, imbelle e sorridente, si rende conto di quanto stupidamente stesse vivendo. Guardando alla tv il seppuku dei monaci buddisti, inorridisce di tanto dolore; di quel sacrificio inutile ed efferato, a fronte del silenzio nel tempio vuoto di una divinità in vacanza.
tutto rolexato e ingioiellato
Per le vecchie strade sembra strano
Acque conosciute in cui nuotavo più a mio agio
Quando anch’io ero un cucciolo di squalo
(Marracash, “Tutto questo niente – Gli occhi”)
Dietro al settimo sigillo, non ci sono gli angeli con le trombe e i diavoli coi tromboni, c’è solo la persona. Elisabeth non crede più in divinità mendaci e illusorie, crede solo nell’uomo. Per ritrovare sé stessa decide di affidarsi alle cure di Alma, un’infermiera molto premurosa conosciuta in clinica, e di spostarsi in campagna; tornare alle origini, riscoprire le radici a contatto con la terra, per ricostruire la sua identità; inseguire quel sogno disperato di autenticità, embrione nel grembo di madre natura. Coccolata e spensierata, si dedica alla lettura e alla fotografia, passioni che aveva riposto in un cassetto per far spazio a cascate di aspettative esterne; l’attrice è tornata bambina, mentre apprende una nuova lingua per superare il suo mutismo, e disegna il mondo che le piace, illudendosi che sia la sola realtà possibile.
Fuori c’è la luna piena
Questa casa è una galera
Esco a bere solo per avere
Un altro vuoto in questa alba nera(Marracash, “Non sono Marra – La pelle”)
All’infermiera invece non fanno bene l’isolamento e il silenzio. Alma è investita di un nuovo ruolo: sostegno materno alla neonata Elisabeth. La parte che le viene affibbiata in questa tragedia umana, le calza a pennello. Lei che madre non è riuscita ad esserlo nella vita vera, si ritrova gestante dello spirito di una donna, si sente responsabile della vita e dell’incolumità di un nuovo essere umano. Trova nel silenzio della donna un porto sicuro in cui nascondersi, delle braccia forti che possono sostenerla e orecchie finalmente pronte all’ascolto e alla comprensione.
Alma ha finalmente liberato la sua anima. Sulle onde dell’ebbrezza del vino, si lascia andare completamente a questo suo nuovo sogno materno, raccontando esperienze di vita mai confessate prima. Si sente a casa con Elisabeth, si sente completa quasi, e aiutare questa donna è un po’ come aiutare sé stessa. Si guarda dentro per la prima volta in vita sua; osserva il vuoto che ha lasciato ogni persona dentro il suo spirito e vorrebbe colmarlo ora con nuove aspirazioni. Vorrebbe essere muta e libera, e perché no, anche famosa.
Le cose care sono solo cose care
Raramente diventano care cose
Nei tuoi sogni non sei così originale
Vuoi sentirti dire le parole
Un giorno tutto questo niente sarà tuo(Marracash, “Tutto questo niente – Gli occhi”)
I sogni si alternano ai deliri dovuti all’alcol; fantasmi che aspettavano il momento giusto per venire fuori. Alma si agita sulle spiagge sassose attorno alla casa come un paguro alla ricerca di un nuovo rifugio, e crede di trovarlo nell’attrice. La vede così forte e così impassibile; sembra un castello in cima ad una rocca in una notte di tempesta, la pioggia batte sulle sue mura, senza scalfirne le fondamenta. Vorrebbe anche lei diventare così: affermata professionalmente; amata profondamente da un marito che ne asseconda voglie e desideri, che non sparge un’ombra sulle sue aspirazioni; madre affettuosa e amata profondamente da un figlio adorante.
In realtà, la vita dell’attrice non è così ricca di affetto e successo. È un guscio vuoto, colmo di tristezza e finti legami; è una vergine di ferro in cui la donna ha imprigionato il suo corpo, troppo prona al successo che tutti agognano. La cima di una montagna da cui ammirare il niente che circonda l’anima, viandante sul mare di solitudine; Alma non si rende conto di tutto questo. Presa nel suo delirio, ossessionata dal voler diventare come Elisabeth, non capisce la miseria che avvolge l’anima di quella donna. Non immagina l’abisso che si porta dentro, fino a che non decide di esplorarne le profondità.
Sono su una tela, Bro, in pinacoteca
Come il Cristo morto, Mantegna(Marracash, “Body Parts – I denti”)
Alma decide di sacrificare la sua persona per Elisabeth; decide di distruggere la propria autenticità, per saggiare fino in fondo il male di vivere che ha costruito il silenzio. Quando il marito dell’attrice, affranto dalla lontananza della moglie, rompe la quiete della campagna l’infermiera indossa la maschera di Elettra e si offre alle voglie di quell’uomo cieco. Solo ora l’ebbrezza svanisce; solo adesso Alma realizza il deserto sentimentale che abita il cuore di Elisabeth. Non la invidia più, non vuole più essere come lei; anzi, ne disprezza la vita falsa e meschina. Alma assiste inerme al crepuscolo della donna eletta divinità; mentre di fronte alla presenza del marito, Elisabeth si scioglie come neve al sole. Ecce Homo: il re è nudo, il dio è morto.
Perché il successo, fra
È come se metti una lente d’ingrandimento su un insetto
Ti fa sembrare gigante
Ma allo stesso tempo rivela sempre il vero aspetto
E spesso sei orrendo, quelle zampette che mi danno i brividi
Un paio d’antenne, mandibole con cui divori i tuoi simili
Cento cose, mi tengo in moto
Riempio il tempo e non colmo il vuoto(Marracash, “Tutto questo niente – Gli occhi”)
Occhi negli occhi, le due donne si confrontano. Si parlano, chi con la bocca e chi con gli occhi, e si riconoscono aride e povere. Nessuna è migliore dell’altra, e il disprezzo per lo scarso amore o il ridicolo per le scappatelle, sono specchi per riflettere sulla propria persona. Essere famosi è solo un’altra maschera dietro cui nascondersi; Alma era sicura che Elisabeth riversasse il suo universo nei personaggi che volta per volta interpretava sul palco.
E invece, scopre che tutti quei volti e tutte quelle persone, servono solo a colmare il vuoto che l’attrice si porta dentro. Lo stesso vuoto che alberga nella sua anima, che lei riempie di attenzioni verso i pazienti e di borghesi speranze di affermazione. Sono due facce della stessa medaglia, due metà dello stesso volto. Piccoli e operosi lombrichi, che si agitano e si industriano, nella vana speranza un giorno di mettere le ali e volare via.
Ai miei occhi appare come una pelle di serpente piena di formiche. Il serpente è già da tempo morto, mangiato, privo del veleno; ma l’involucro si muove ancora, brulicante di esseri viventi. Se osservo quel che accade, nell’essere una di queste formiche, non posso che chiedermi se c’è qualche ragione di proseguire ulteriormente con l’arte: la risposta è sì.
(Ingmar Bergman)
Musica, tu allevi e mantieni l’anima intatta
Dì la parola che sveglia il golem, dai un cuore all’uomo di latta
Fa del palco la mia chiesa, dei testi il mio testamento
Tieni la mia mano ferma se e quando verrà il momento
E dammi voce in eterno e cose vere da dire
Sii il mio punto fermo, qualcosa per cui morire(Marracash, “Qualcosa in cui credere – Lo scheletro”)
Vermi, formiche, scarafaggi, siamo solo insetti che si agitano in foreste di cemento, con la schiena cotta dal sole, sperando in un futuro migliore. L’arte è l’unica risposta, per sfuggire ad una morte miseranda. Pura creazione slegata dal successo a tutti i costi; l’arte come ricerca della poesia, del substrato immanente dell’essere umano. La fantasia come viatico per sfuggire alla morte della carne; la poesia come ponte tra tanti mondi racchiusi in tante menti, come sentiero che porta da persona a persona. Alma ed Elisabeth si dividono, alla fine, ma non per sempre; ognuna porterà con sé, nel proprio domani una lezione importante. Essere protagoniste in un film chiamato vita, ed essere eroine della propria esistenza.