Immaginiamo in perfetto stile Timus Vermes che l’economista e filosofo Karl Marx torni alla vita, si svegli improvvisamente in una strada trafficata di una grande città a più di cento anni dalla sua morte, diciamo nel 1985. Dove pensiate possa rinascere? Nella natia Treviri? Nella Parigi sede dell’incontro con Engels? O nella sua polverosa soffitta londinese, forse la principale realtà dove aveva immaginato la rivoluzione del proletariato? Magari a Mosca, accorso a consigliare un Gorbaciov appena insediato sul da farsi per evitare il disfacimento dell’URSS? Ammesso poi che il progetto politico dell’Unione Sovietica potesse piacere a Marx.
No, la mia immaginazione non è così benevola. Ho ipotizzato un ritorno alla vita con beffa, pagando lo scotto del contrappasso, un Marx che si sveglia nel luogo vessillo contrario alle sue idee: Wall Street, Manhattan.
Troppa crudeltà, forse, nel far rivivere colui che ha incentrato la sua critica sul materialismo dell’economia, della società, della politica e della cultura capitalistiche nel mondo della finanza negli anni Ottanta, intriso di arrivismo, avidità, immoralità e soprattutto di adorazione del mercato libero.
Saltiamo il periodo di assestamento della resurrezione, e da economista di prim’ordine qual era ho concepito una sua ricerca del lavoro per sbarcare il lunario rivolgendosi, appunto, all’empia Wall Street e arrivando così ad avere un colloquio di lavoro addirittura dinanzi al re di quel mondo: Gordon Gekko.
Forse la mia fantasia è andata troppo oltre, eppure ho trovato l’ipotesi di un dialogo tra i due troppo seducente per non scrivere nulla a riguardo. Mi sembra di vederlo, Marx, entrare incerto in uno dei palazzoni in vetro che guardano sulla NY Stock Exchange, identico alla sua tipica immagine barbuta e trasandata, fatto accomodare dinanzi l’ufficio di Gekko da una poco vestita (per i gusti dei suoi tempi) segretaria, e attendere che quella voce adirata, che inanellava insulti al telefono gli intimasse di entrare. Non c’era ansia nella sua brillante mente, solo una tambureggiante domanda: Cosa ci faccio qui?!.
Fu fatto entrare da un assistente e tutto il disagio della situazione lo colse. Strideva, e non poco, la sua immagine nel munifico pavimento di marmo, e quando strinse la mano a un distratto Gekko lo capì ancora di più vedendo Gordon circondato da vari computer a scapocciare un Havana, con capelli impomatati che lo squadra da dentro un abito griffato Fratelli Cerruti.
«Prima di iniziare Mr. Gekko, posso domandarle cosa l’ha spinta a selezionarmi?» affermerebbe un disagiato e curioso Marx.
Gordon Gekko: «Iniziamo male Sprint!»
Karl Marx: «Intendo dire che nei suoi collaboratori è chiaro cosa cerca ma..»
Gordon Gekko: «I più di questi laureati a Harvard non valgono un cazzo. Serve gente povera, furba e affamata. Senza sentimenti. Una volta vinci e una volta perdi ma continui a combattere …tu? Tu, oltre a spacciarti per Marx, sembri essere tutte queste cose. O sei folle o sei un genio!»
Karl Marx: «Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno in modo arbitrario, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalle tradizioni. (…) Non sono gli uomini a determinare la loro vita, ma le condizioni della loro vita che determinano l’uomo».
Un botta e risposta nel quale i due sembrano incredibilmente condividere la stessa visione riguardo alla storia che può fare e/o avere un uomo. Gekko ritiene che un uomo ricco, forgiato dalla seta e con una preparazione di prim’ordine, non abbia la fame e la rabbia di rivalsa sociale di un uomo povero, o almeno di chi non abbia goduto delle stesse fortune. Affermando ciò condivide una posizione marxiana, in quanto gli uomini non scelgono liberamente la propria storia, ma questa è il risultato delle condizioni nelle quali è immerso l’individuo. Per Gekko, un ricco difficilmente avrà lo slancio per gli affari di un povero, Marx direbbe che le condizioni di ricchezza hanno influito sulla sua vita tali da renderlo volente o meno appartenente a quella classe sociale.
Gordon Gekko: «Vuoi un lavoro Sprint?»
Karl Marx: «Un lavoro onesto, io non scendo a compromessi».
Gordon Gekko: «Lascia che ti dica una cosa. Mio padre lavorava come un mulo per vendere materiale elettrico e a quarantanove anni lo fulminarono un infarto e le tasse, ti devi svegliare hai capito? Se non ci sei dentro, ne sei proprio fuori, ok? E io non parlo di un impieguccio da quattrocento mila dollari l’anno in Wall Street, di volare in prima classe, di vita comoda, io sto parlando di ricchezza, ricchezza sufficiente per avere un tuo jet, sufficiente per non buttare via il tempo, cinquanta, cento milioni di dollari, Karl. O capitano, o niente».
Karl Marx: «Suo padre era un operaio? Avreste dovuto accorgersi che l’operaio diventa tanto più povero quanto più produce ricchezza: più l’operaio lavora tanto più acquista potenza il mondo estraneo ch’egli si crea di fronte, e tanto più povero diventa egli stesso, il suo mondo interiore. Come nella religione. Più l’uomo mette in Dio, e meno serba in sé stesso. L’operaio mette nell’oggetto la sua vita e questa non appartiene più a lui, bensì all’oggetto. L’operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea merci. La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una immane raccolta di merci e la singola merce si presenta come sua forma elementare».
Le discrepanze della visione marxiana e capitalista iniziano a essere evidenti. La visione di Gekko è individualista, mai d’insieme. Pensa a sé stesso, al denaro come unico modo per misurare il valore. Marx nel Capitale mostra e critica i meccanismi strutturali della società borghese.
La produzione di merce è una delle principali caratteristiche dell’economia borghese, seconda sola alla valutazione della merce. Il valore (s’intende quello di scambio), alla base del prezzo, deriva dal lavoro utile per produrre la merce in questione: infatti più lavoro è necessario, più aumenta il valore di scambio e, quasi sempre, anche il prezzo. Il lavoro è il determinante della merce prodotta. Dunque la fonte dell’aumento del denaro a disposizione del capitalista non va cercata nella merce, ma nella sua produzione. Il c.d plusvalore deriva dalla capacità dell’operaio di produrre un valore maggiore di quello che gli è corrisposto con il salario.
Marx identifica allo stesso tempo l’alienazione dell’operaio nel cedere il proprio tempo e valore (pluslavoro) favorendo il suo “sfruttatore” capitalista, conscio del vantaggio goduto dal lavoro dei propri operai. Concetti assenti nel capitalismo e in Gekko.
Gordon Gekko: «Tu parli di produzione e industrializzazione Sprint? Noi siamo oltre. Il più ricco 1% del paese possiede metà della ricchezza del paese, cinque trilioni di dollari. Un terzo di questi viene dal duro lavoro, 2/3 dai beni ereditati, interessi sugli interessi accumulati da vedove e figli idioti, e dal mio lavoro, la speculazione mobiliare-immobiliare. È una stronzata, c’è il 90% degli americani là fuori che è nullatenente o quasi. Io non creo niente, io posseggo».
Karl Marx: «Persino l’animale produce: si costruisce un nido, abitazioni, come le api, i castori, le formiche ecc. Se non che esso produce solo ciò di cui abbisogna immediatamente per sé o per i suoi piccoli; produce unilateralmente. Mentre l’uomo produce universalmente; sia sotto il dominio del bisogno fisico immediato, ma produce anche libero dal bisogno fisico e, anzi, ormai produce veramente solo quanto manca al bisogno fisico. Beandosi della sua onnipotenza l’uomo riproduce l’intera natura, si pone liberamente di fronte al suo prodotto. L’animale dà forma solo secondo la misura e il bisogno della specie a cui appartiene, mentre l’uomo sa produrre secondo la misura di ogni specie. E lei, come altri, nasconde la mano affermando che non produce. Produce il bene che per lei ha più valore: il denaro. Il denaro, in quanto possiede la proprietà di comprar tutto, di appropriarsi di tutti gli oggetti, è dunque l’oggetto in senso eminente, specialmente qui. L’universalità della sua proprietà costituisce l’onnipotenza del suo essere, esso è considerato, quindi, come ente onnipotente…lei si consideri onnipotente».
Gekko afferma la propria indipendenza da un sistema di industrializzazione, ha la presunzione d’innocenza del finanziere, del broker. Pensano solamente di spostare numeri su uno schermo, come se non influenzassero imprese, posti di lavoro, famiglie. Il denaro delle azioni sembrerebbe crearsi da uno scambio virtuale, non dal lavoro inteso da Marx. Egli però inizia a individuare il movente di Gekko così come lo scovò a suo tempo nella società borghese. La smania del denaro, del possedere più del necessario, del bearsi nell’avere e non della produzione, pur indirettamente beneficiandone. In più di cent’anni di storia non è cambiato molto nei borghesi, tendono sempre a fagocitarsi a dismisura a scapito del povero o del succube dello schema capitalistico. Invece più di cent’anni prima, Marx era cosciente di come l’economia fosse un unicum, tutto collegato, dal lavoro manuale del modesto operaio alle scalate azionarie di Gekko
Karl Marx: «Lei è molto famoso. Famoso per le sue ricchezze e per la smania di averne altre. Ma quando è che basta?»
Gordon Gekko: «Non è questione di bastare. Il denaro c’è ma non si vede, qualcuno vince, qualcuno perde. Il denaro di per sé non si fa né si perde, semplicemente si trasferisce da un’intuizione a un’altra, magicamente. Tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri seduti si stanno chiedendo come diavolo abbiamo fatto! Quel quadro lì lo comprai dieci anni fa a sessantamila dollari, oggi potrei venderlo a seicentomila. L’illusione è diventata realtà e più reale diventa più accanitamente la vogliono. Il capitalismo al suo meglio!»
Karl Marx: «Da qui deriva la magia del denaro. Il comportamento degli uomini: semplicemente atomistico nel loro processo sociale di produzione, l’operaio, di godimento, il borghese, e perciò la forma di cose dei loro stessi rapporti di produzione, non legata al loro controllo e al loro conscio agire da individui, appaiono innanzitutto nel fatto che i prodotti del loro lavoro prendono in genere la forma di merci. Da qui l’enigma del denaro è solo l’enigma della merce, resosi fin troppo evidente. La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, si presenta come una «immensa raccolta di merci» e la singola merce appare come sua forma elementare. La merce è prima di tutto un oggetto esterno, una cosa che per mezzo delle sue proprietà soddisfa bisogni umani di qualunque specie. La natura di tali bisogni, che derivino dallo stomaco o dalla fantasia, non fa alcuna differenza. Qui non si tratta neanche di come la cosa soddisfi il bisogno umano, se immediatamente, come mezzo di sussistenza, cioè come oggetto di piacere, oppure indirettamente, come mezzo di produzione».
Gekko si erge in tutta la sua atomicità, egli gode nel riuscire a moltiplicare, gode nella sua maestranza da illusionista e nel vincere, a suo dire gode nel percepire nella spizzata di un estraneo l’ammirazione e un mal celato timore nel sapere che ha incrociato Gekko il Grande. Non è il denaro di per sé e neanche l’accumulazione, è il processo di guadagno e l’influenza della ricchezza sugli altri che fa alle persone. Marx lo guarda invece come un moderno Mazzarò, non capisce che le sue teorie non hanno antidoto, poiché Gekko non ha coscienza economica è un atomo scommettitore che si bea della sua abilità. La dottrina marxiana parla a chi può intenderla, all’uomo come elemento economico, punta a creare una coscienza sociale di massa. Gekko non ha coscienza.
Gordon Gekko: «Sprint mi guardi con tanto d’occhi. Ma come non capisci?! L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità».
Karl Marx: «Lei sembra non capire. Il difetto principale d’ogni materialismo fino a oggi è che l’oggetto, la realtà, la sensibilità vengono concepiti sotto la forma di oggetto o di intuizione, ma non come attività umana sensibile, ormai sono prassi mai percepite soggettivamente, soprattutto dai borghesi. Non capisce che la sua ricchezza deriva da un processo di produzione capitalistico? Questo procedimento, considerato nel suo nesso complessivo, cioè considerato come processo di riproduzione, non produce dunque solo merce, non produce dunque solo plusvalore, ma produce e riproduce il rapporto capitalistico stesso: da una parte il capitalista, dall’altra l’operaio salariato. Questi ultimi possono lavorare solo col loro permesso, e quindi possono vivere solo col vostro permesso. Sono ancora alienati in questo momento, ma se stimolati possono giungere all’autocoscienza di classe. Rendersi conto dell’appartenenza al proletariato e a quel punto non c’è che una strada, mostrata dalla ciclicità della scienza: rovesciarvi e creare una società senza classi».
Gekko getta la maschera, il sistema si regge sull’avidità e sul gusto per pochi di poterla soddisfare a seconda dei propri limiti. Gordon si giustifica sempre, tende a eguagliarla alla brama di vita o di conoscenza, ma queste non hanno effetti collaterali. Marx contrappone la sua tesi, quella del Manifesto, la concezione della storia come un’incessante lotta tra classi, dall’antichità all’era del capitalismo, esso si restringe a uno scontro tra la borghesia, classe ricca e dominante, e il proletariato, la classe operaia. L’epoca della borghesia si distingue dalle altre per aver semplificato i conflitti di classe e l’intera società si va sempre più scindendo nei due gradi schieramenti. Marx sostiene che il proletariato sia destinato a generare una rivoluzione sociale con la quale finirà ogni forma esistente di sfruttamento delle persone e del loro operato. La borghesia produce i propri becchini. Il suo tramonto e la vittoria del proletariato per il filosofo tedesco sono egualmente inevitabile.
Gordon Gekko: «Magari hai ragione su quella stronzata dei borghesi. Non saprei se definirmi così, quello che so è che noi facciamo le regole, le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo. Per questo forse hai ragione. Ma ancora non hai afferrato il concetto: è tutta una questione di soldi, il resto è conversazione. Non sarai tanto ingenuo da credere che viviamo in una democrazia, vero? È il libero mercato e tu ne fai parte!»
Karl Marx: «Lei si culla in un senso di sicurezza che non può che essere transitorio. Chiaramente l’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante e lei ne è degno rappresentante. Ma conferma tutti i miei ragionamenti e i miei timori. Se al capitale non gli vengono posti dei freni lavora senza scrupoli e senza misericordia, per precipitare tutta la classe operaia a questo livello della più profonda degradazione. Mi riverisco soprattutto ai capitali privati di voi borghesi».
Gordon Gekko: «Questo è vero! Il capitale lavora senza misericordia, ma il tuo problema è che non esiste più classe operaia. Ho parlato di avidità, forse ho dimenticato l’aggiunta dell’invidia. Lascia che ti spieghi. I signori degli Hedge Fund se ne andavano a casa con cinquanta, cento milioni di dollari l’anno, così anche il banchiere si guarda attorno e dice “mica sono l’ultimo imbecille” e comincia a usare la leva finanziaria sugli interessi fino a quaranta, cinquanta a uno. Con i soldi dei correntisti, non con i suoi. Con i loro. E glielo lasciano fare, tanto sono loro che hanno fatto il mutuo. E il bello della faccenda è che nessuno è responsabile. Il fatto è che crediamo tutti alla stessa favola. L’anno scorso il 40% di tutti i profitti societari americani era costituito da proventi finanziari, non dalla produzione o da qualcosa che avesse comunque a che fare con le necessità delle persone. La verità è che ci siamo tutti dentro. Banche, consumatori, tutti muoviamo la giostra dei soldi. Prendiamo un dollaro, lo pompiamo di steroidi e lo chiamiamo “leva finanziaria”. Il problema non è neanche più il capitalista, è il finanziere! Sei arrivato in ritardo Sprint non esiste più il tuo mondo, ripeto o ci sei dentro o ci sei proprio fuori!»
Marx inizia a interrogarsi se davvero la sua visione fosse obsoleta, se davvero la storia avesse nuovi protagonisti? Gekko glieli ha indicati come finanziere e debitore correntista; ma davvero esiste un legame tra questi e le sue due categorie contrapposte? Sono evoluzioni che mantengono una dinamica simile o completamente nuovi soggetti all’interno del panorama socio-economico?
Certo è che Marx non si aspettava una conversazione così stimolante. Due cose apparivano chiare: il capitalista/finanziere odierno ignora come il suo singolo operato influisca sulle categorie più deboli e che la conversazione era terminata.
Marx fa per congedarsi ma Gekko china il capo, avvolto ormai nel fumo del suo sigaro. Quando ormai è sulla soglia della porta Gordon riprende.
Gordon Gekko: «Surreale che un comunista sia venuto a chiedere lavoro a Wall Street, a me poi. Ho un conflitto emotivo a lasciarti andare, come se Larry Wildman schizzasse giù da un burrone sulla mia Maserati. Un peccato, perché riconosco la tua intelligenza, ma forse è la cosa giusta».
«Comunista…» masticò Marx.
Karl Marx: «Voi lo temete perché ci vedete solo la fine della vostra ricchezza, questo è il vostro comunismo. Il mio comunismo è la vera risoluzione dell’antagonismo tra la natura e l’uomo, tra l’uomo e l’uomo, la vera risoluzione della contesa tra l’esistenza e l’essenza, tra l’oggettivazione e l’autoaffermazione, tra la libertà e la necessità, tra l’individuo e la specie. È la soluzione dell’enigma della storia, e spero nel tempo possa essere consapevole di incarnare questa soluzione».