Che I Soprano sia stato un prodotto capace di cambiare per sempre la scena mondiale delle serie tv è fuor di dubbio, risultando uno dei prodotti più influenti della storia della televisione. Allo stesso tempo però, è evidente come la più chiara fonte d’ispirazione per la serie di David Chase non sia di tipo televisivo, ma cinematografico.
La serie arrivava per la prima volta sugli schermi americani alla fine degli anni ’90, decade che si era aperta con uno degli ultimi capolavori occidentali nel genere gangster, Quei bravi ragazzi di Martin Scorsese. Ed è proprio quest’opera del regista newyorchese il più grande punto di partenza per la genesi de I Soprano. Il primo chiaro punto di contatto tra la serie e il film è sicuramente dovuto al cast. Sono infatti ben ventisette gli attori del film che hanno avuto un ruolo nel prodotto della HBO, tra cui spiccano Lorraine Bracco (Karen Hill-Jennifer Melfi) e Frank Vincent (Billy Batts-Phil Leotardo).
Ma i punti di contatto non si fermano certo qui. La creazione di David Chase può essere vista come un’estensione del film di Martin Scorsese, non intesa come sequel, ma in termini di tematiche trattate. Quei bravi ragazzi è stato un film rivoluzionario per la sua capacità di dare del mondo criminale una visione distaccata, quasi documentaristica. La pellicola racconta la malavita nei suoi momenti meno glamour, dandone una rappresentazione molto meno affascinante rispetto a quanto di solito avviene nei gangster movie.
Scorsese cerca di dare una visione più completa dell’ambiente mafioso, dalle dinamiche interne ai problemi familiari. L’approccio scelto, per via delle limitazioni di minutaggio dovute al mezzo cinematografico, è stato, di fianco al maggior numero possibile di situazioni di quotidianità, di utilizzare in maniera sostanziale la tecnica del voice-over. Durante tutto l’arco del film Henry Hill descrive meticolosamente tutto ciò che gli accade, a livello personale, familiare, oltre alle dinamiche interne malavitose. Il suo ruolo, oltre a quello di protagonista, è di compagno di viaggio dello spettatore. Un Virgilio in grado di guidarti dentro le infernali dinamiche mafiose che lui vive sulla propria pelle.
Chase riprende l’idea scorsesiana, ma adattandola a un medium completamente diverso come quello televisivo. Mezzo per molti aspetti perfino più adatto rispetto a quello cinematografico per mettere sotto la lente d’ingrandimento la quotidianità della realtà criminale.
I Soprano mette in scena un autentico microcosmo, dotato di un numero elevatissimo di personaggi, capace anche di confondere inizialmente lo spettatore. Grazie all’elevato minutaggio che una serie televisiva concede, Chase si prende interi episodi per raccontare non solo i protagonisti, ma anche i personaggi secondari. Sono relativamente poche le puntate che danno spazio ai momenti più cinematografici della vita del gangster, nettamente superate in numero da quelle dedicate ai problemi di tutti i giorni.
David Chase non ha bisogno di utilizzare il voice-over per raccontare ogni minimo dettaglio. Può permettersi di applicare nella sua massima estensione l’eterno principio del show, don’t tell, forte delle tante ore a disposizione e del grande successo di pubblico che la serie ha avuto che non ne ha mai messo in discussione il rinnovo.
L’idea di utilizzare il protagonista come chiave di volta per capire le varie dinamiche in gioco non è però totalmente abbandonata all’interno della serie.
Non c’è più un Henry Hill a fare da narratore sostanzialmente onnisciente, ma viene utilizzato un meccanismo diverso, nonché uno dei più grandi punti di forza de I Soprano. Si tratta delle sedute di psicoanalisi del protagonista, Tony Soprano.
Queste regalano nelle sei stagioni diversi dei momenti più memorabili della serie. Ci permettono di entrare nella mente del protagonista nello stesso modo in cui la voce narrante in Quei bravi ragazzi permette di entrare in quella di Henry Hill.
In queste sedute viene fuori il meglio e il peggio di Tony. Un momento ci rendiamo conto di quanto la sua mente sia perversa, lo vediamo per quello che è, un boss mafioso senza scrupoli, un sociopatico privo di empatia. Quello dopo lo sentiamo parlare dei problemi con la madre, la moglie o i figli e sembra di ascoltare le preoccupazioni di un uomo comune.
Questa dualità è il segreto del grande successo della serie. L’approccio antropologico scorsesiano viene ripreso e ampliato, dipingendo dei personaggi che allo stesso tempo riescono a essere persone comuni e spietati criminali. I gangster non sono più figure mitizzate, che sappiamo di dover disprezzare ma che in fondo un po’ ammiriamo. Di quelle il cinema americano ha parlato per anni grazie a figure come Michael Corleone o Tony Montana. Sono uomini comuni con i nostri stessi problemi, per cui a volte si può provare empatia quando alle prese con problemi quotidiani, ma mai ammirazione.
Un ultimo aspetto in cui Chase per molti aspetti è andato oltre all’opera di Scorsese è la struttura data alla storia. Pur affrontando le vicende allo stesso tempo dall’interno e con un certo distacco, Quei bravi ragazzi in termini di trama è un gangster movie canonico. Racconta le peripezie del suo protagonista, la scalata verso il successo nel mondo criminale e la caduta. I Soprano invece è uno spaccato di vita.
Sappiamo che le vicende della famiglia DiMeo non sono certo iniziate con l’episodio pilota e che non si concluderanno con la conclusione. Semplicemente Chase ci ha permesso di osservare alcuni anni della vita di Tony e della sua famiglia, domestica e malavitosa. Ma, nonostante le tante teorie generate dal series finale, la struttura della serie non è tale da dare un chiaro inizio e una chiara fine.
Quei bravi ragazzi è stato un film che ha avuto un immediato, gigantesco impatto culturale. Difficilmente però Martin Scorsese avrebbe potuto pensare, durante le riprese, che la sua pellicola sarebbe stata capace non solo di fare la storia del cinema, ma anche di ispirare un prodotto fondamentale per un mezzo del tutto diverso come quello televisivo.